Simone Cristicchi classe 1977 romano da generazioni è il prototipo del cantautore sopra le righe, ironico e surreale. Capace di guardare il mondo nelle sue sfumature più nascoste e spesso contrastanti. Giunto al suo quarto lavoro in studio, con “Album di Famiglia” uscito lo scorso 14 febbraio, porta il gusto del vintage che non rinuncia a temi scomodi e impegno sociale. Dopo due anni di spettacoli teatrali, con un Cristicchi in veste di attore, conferma la sua maturazione esaltando i suoi caratteri più densi e la sua formazione cantautoriale d artistica di razza con oltre dieci anni di attività e successi. Lo incontriamo per una intervista in esclusiva nei camerini di un concerto per pochi amici a Brescia, nello spazio Culturale Latteria Artigianale Molloy, circolo ben conosciuto negli ambienti Indie ed alternativi di qualità.
Come mai Brescia e questo circolo?
Perché i ragazzi della Latteria Artigianale Molloy sono amici di lunga data, con cui ho condiviso una parte del mio viaggio artistico
E’ passato qualche mese da quando hai cantato le tue canzoni al Festival di Sanremo. Come hai vissuto il nuovo meccanismo della scelta tra le due canzoni in gara. Sembrava una situazione da canzone di serie A e di serie B?
Ci sono artisti che come me sono stati penalizzati da questo meccanismo, non perché non puntassi su tutti e due i brani. Alla fine ho presentato due facce differenti di me. Probabilmente il pubblico ha premiato la canzone in cui ha rivisto il mio stile da teatro canzone, quasi alla Jannacci e alla Gaber, canzone quasi parlata come in “La prima volta che sono morto”. Io puntavo su “Mi manchi” perché è la canzone che meglio racconta il nuovo disco che ho realizzato “Album di Famiglia”, un disco molto acustico, quasi romantico per certi aspetti, vintage. Detto questo poi insomma la cosa bella è che le radio, anche le grandi radio, hanno iniziato a passare la canzone esclusa quindi hanno avuto tutte e due i brani hanno avuto una bella visibilità.
Nel nuovo disco ci sono e si avverte con forza la tua parte attoriale, interpretativa. Almeno è quello che ho percepito. Era voluto?
Si in effetti quattro anni di teatro sono stati importantissimi, mi hanno cambiato comunque, e quindi quando mi sono messo a scrivere le canzoni chiaramente il teatro è finito dentro queste canzoni. Addirittura c’è un brano, quello che chiude il disco, “Il sipario”, che parla proprio del teatro, in particolare di piccoli teatri che stanno chiudendo. Quindi una realtà che io vivo ogni giorno. Addirittura ho adottato un teatro, il teatro Giuseppe Verdi di Poggibonsi. E ho scritto questa canzone proprio per quel teatro. Poi ci sono diverse parti parlate all’interno del disco che si chiude con la poesia “Testamento”. C’è una poesia sull’esodo Istriano che chiude “Magazzino 18”. Quindi insomma hai percepito bene.
Infatti l’atmosfera e proprio quella del teatro, quasi commedia
La stessa Magazzino 18 è un monologo del mio spettacolo “Mio nonno è morto in guerra”, e forse questa sera la farò come introduzione alla canzone.
Spesso utilizzi del parallelismo con Sergio Endrigo. Hai anche avuto la possibilità di duettare con lui. Che cosa ritrovi di tuo in Endrigo e di Endrigo di te?
E’ vero. Sono talmente appassionato di Sergio Endrigo che l’estate scorsa ho realizzato un progetto molto ambizioso. Con un’orchestra sinfonica abbiamo riprodotto fedelmente gli archi degli arrangiamenti delle sue canzoni e abbiamo fatto questo primo esperimento nel Teatro Romano di Fiesole in una cornice meravigliosa cantando il repertorio delle canzoni più famose di Endrigo. Per me è stato un onore aver duettato con lui nel mio primo album nella canzone “Questo è amore”, un pezzo meraviglioso. Cosa rivedo di me in Endrigo? In Endrigo io mi ritrovo perché lui è stato un artista che si è reinventato sempre. Se pensi che ha vinto il Festival di Sanremo con “Canzone per te”, una canzone super romantica e poi ha collaborato con grandissimi artisti da Vinicius de Moraes a Pierpaolo Pasolini. Quindi un artista che si è sempre messo in gioco e la cosa che più mi piace è stata che abbia pensato hai bambini. Cosa che noi cantautori spesso dimentichiamo. Abbiamo anche una platea di bambini che ci ascoltano. Io in particolare rimango stupito ogni giorno da bambini che cantano le mie canzoni e mi mandano i loro video. Questi bambini che s’innamorano delle mie canzoni, non so per quale motivo. Guarda, questo me lo ha mandato un amico – Simone prende il suo smartphone e ci mostra il video di un bambino che dal salotto di casa, canta la canzone Sanremese “La prima volta che sono morto”. Sorridiamo!
Bellissimo!
Tutto a memoria! Da bambino mi ricordo che mi divertivo a giocare con un vecchio mangia dischi rosso di mia madre. Forse il fatto che lei ascoltasse i dischi di Sergio Endrigo, i dischi di Tenco e Gino Paoli, di Edoardo Vianello, quindi degli anni 60 per me sono stati una bella scuola.
Le tue canzoni restano subito in mente, sono semplici, dirette e con un grande lavoro autorale dietro, in poche parole popolari. Questo è uno degli stimoli che ti fanno scrivere di musica?
Il mio pregio, forse difetto nello stesso tempo, è quello che mi sono innamorato spesso di tante cose, a volte troppe forse. Quindi da una parte ho costruito un percorso molto stimolante sempre alla ricerca, sempre pronto a migliorarmi e ad imparare, come ho fatto con il teatro. Mi sono misurato con cose difficilissime come il monologo. Ecco da una parte mi sono costruito questo percorso bellissimo dall’altra ho confuso forse le idee al grande pubblico che per certi versi mi vede ancora oggi, solo come cantautore. Mentre tutto il lato teatrale mi ha portato a ricominciare da capo, nel vero senso del termine, con prime da 20 spettatori fino ad arrivare a 270 repliche con teatri pieni. Quindi per me é stato proprio come ripartire da capo e costruirmi un altro pubblico che non é necessariamente quello che mi segue nella musica . Esempio questa sera c’è un pubblico che ama le mie canzoni ma magari non é mai venuto a vedere un mio spettacolo teatrale.
Qualche sera fa sei stato protagonista all’Auditorium Parco della Musica di Roma con un tuo concerto molto speciale e ricco di sorprese. Ce lo racconti?
E’ stato il “Concerto di famiglia”, prendendo spunto dal titolo del mio nuovo disco. Per me questo concerto era molto importante perché tornavo a cantare nella mia città, Roma, dopo tre anni e mezzo in cui ho fatto sopratutto spettacoli teatrali. La musica l’avevo un pochino parcheggiata, facendo concerto sopratutto d’estate, come tutti gli altri “normali” cantautori. Quindi ho voluto preparare un programma ricco e pieno di sorprese. Eravamo quasi 40 persone sul palco. C’erano i Funk off, la più travolgente marching band italiana con 18 elementi tra fiati e percussioni che salteavano, balleavano, suonavano, insomma facevano di tutto. E poi il coro dei minatori di Santa Fiora che rappresenta il mio amore per la musica popolare. Poi ho invitato quello che per me è il mio fiore all’occhiello, cioè mio zio Ennio, 80 anni, che si diletta a cantare nei circoli di Trastevere le canzoni della tradizione romanesca, perché si meritava di salire su di un palco così prestigioso.
Ci spieghi come fa Simone Cristicchi a conciliare tutte queste attività, queste cose con la sua vita privata?
Essendo spesso molto in giro, sempre in viaggio quando torno a casa dedico tutto il mio tempo ai miei figli e a mia moglie. E’ la qualità del tempo che conta più della quantità, almeno in chi fa un lavoro come il mio. E poi molto spesso uso Skype. La tecnologia aiuta.
Tournée?
Parte a metà maggio e proseguirà per tutta l’estate nelle piazze e nei teatri d’Italia fino al 22 di ottobre quanto debutterò in teatro con il terzo capitolo della mia trilogia sulla seconda guerra mondiale che si chiama “Magazzino 18”.