“È difficile capire cos’è ma dev’essere strada”. È una strada che Francesco De Gregori conosce bene, una strada che ammalia e tiene stretti a sé, una strada che diventa palcoscenico sera dopo sera, anno dopo anno, in un tour infinito e sempre emozionante. ‘Sulla strada’ apre con il suo ritmo serrato il concerto al prestigioso Arcimboldi di Milano del cantautore romano, ennesima tappa del tour 2013 legato al suo ultimo disco, ben due serate tutto esaurito.
Ne avevamo avuto una convincente anteprima all’Alcatraz di Milano lo scorso novembre, in una sorta di prova generale della tournée. Se l’atmosfera all’Alcatraz era sicuramente più underground e intima, date anche le dimensioni del club, agli Arcimboldi la contropartita è offerta dall’acustica impeccabile per la quale il teatro è giustamente famoso. De Gregori guida la sua band in uno spettacolo di quasi tre ore, che prende il via con quattro pezzi nuovi, per poi spaziare tra molti gioielli del passato più o meno recente.
‘Passo d’uomo’ avvolge con il suo incedere morbido, la voce inconfondibile del cantautore che si muove su un intreccio di chitarre e batteria, chitarre – quattro in molti dei brani – che dominano decisamente il sound di una band ormai ampiamente rodata. “E non c’è niente da nascondere, niente da svelare, niente da tenere stretto, non c’è niente da lasciare”, canta il povero cuore come uno straniero in una terra abbandonata. Solo voce e pianoforte ‘Guarda che non sono io’, bella melodia ancorata a un testo che offre molteplici letture, dalla più semplice riferita a chi confonde le canzoni del proprio idolo con la sua persona, a più complesse considerazioni sull’impossibilità di conoscere veramente l’altro da sé: “Guarda che ti stai sbagliando, guarda che non sono io”. Il violino che si unisce nel finale caratterizza parecchie delle esecuzioni da quando Elena Cirillo è entrata a far parte della band.
‘Titanic’ è il primo passo di una lunga escursione nel passato del cantautore, che esegue in modo sempre nuovo alcune delle sue composizioni più famose. Canzoni connotate da nuovi ritmi, arrangiamenti e parole, canzoni che cambiano con il passare degli anni, come è giusto che sia, dato che passa il tempo e niente resta uguale a prima. Il ritmo lento di ‘Viva l’Italia’, chitarra acustica e armonica a bocca in primo piano e solo in seguito gli altri strumenti, lascia spazio alla velocissima ‘Il panorama di Betlemme’, tra i brani recenti più riusciti, liriche secche e taglienti su un ritmo che non ammette requie costellato dagli splendidi assoli di chitarra di Paolo Giovenchi. ‘Generale’ viene rivisitata con un arrangiamento molto lento, ondeggiante, dominato dalla voce solista e dall’armonica a bocca, parte integrante di molte delle interpretazioni. Un pubblico fatto anche di giovanissimi applaude e canta insieme a De Gregori “il treno che è mezzo vuoto e mezzo pieno, e va veloce verso il ritorno, tra due minuti è quasi giorno, è quasi casa, è quasi amore”. Parole vecchie e note, eppure sempre nuove. Che fanno riflettere sul valore dell’originale, impermeabile all’usura del tempo, ma anche sulla grande abilità di fare e disfare le canzoni per dar loro nuova veste, propria del cantautore romano.
È la volta di ‘Atlantide’, una delle sue composizioni in assoluto più affascinanti, puro incanto di parole, immagini e note avvolgenti: “Ditele che l’ho perduta quando l’ho capita, ditele che la perdono per averla tradita”. Uno dei momenti più intensi di un concerto come sempre di altissimo livello.
È ancora l’amore – un amore dalle mille facce perché ‘l’amore insegna ma non si fa imparare’ – il fil rouge che unisce ‘Compagni di viaggio’, più veloce dell’originale, alle successive ‘Bellamore’ e ‘Sempre e per sempre’, emozionante, solo voce e pianoforte. “E il vero amore può nascondersi, confondersi ma non può perdersi mai, sempre e per sempre dalla stessa parte mi troverai”.
Altra perla è ‘Santa Lucia’, che si apre soffusamente per poi dispiegarsi con l’ingresso di chitarre e batteria: “Per chi vive all’incrocio dei venti ed è bruciato vivo, per la nostra corona di stelle e di spine”. Il pubblico applaude un cantautore sicuramente unico nel panorama italiano, così vicino e così lontano da Dylan, idolo dichiarato da sempre. Così vicino per la sensibilità musicale, per l’inesauribile vena compositiva, per il sound che predilige le chitarre, per quell’abitudine alla scrittura lirica che accosta continuamente il poetico al concreto, che spesso procede per ossimori. Così lontano per la sua voce dal timbro splendido, voce che migliora inspiegabilmente col passare degli anni. ‘Buonanotte fiorellino’, l’omaggio più diretto a Dylan, viene eseguita due volte, prima in versione di valzer come la conosciamo e poi in versione rock. Il concerto si chiude con ‘Rimmel’, ennesimo encore del generoso De Gregori per un pubblico entusiasta che vorrebbe trattenerlo sul palco all’infinito.
(Clara Zambetti)
(Foto di Cecilia Paesante)