Artiste friulane atto secondo. Dal folk ultracontaminato e pluriarmonico di Elsa Martin al tocco semplice e a portata di battiti di Giulia Daici. Questo non deve ingannare. Friulana della medio-alta udinese che si distende tra Artegna e Gemona, cavalca le difficoltà del linguaggio pop sfidandone le insidie, le adulazioni come le diffidenze, imboccando una strada che tenta la difficile e spesso ardita coniugazione tra elementi folk e mainstream. Roba grossa e molto più disseminata di tranelli di quanto sembri. A chi è riuscito in passato di domare questa audace flessione tra melodia ad alta cantabilità e schegge di tradizione? Vengono in mente fra gli altri nomi come Carpenters, Fleetwood Mac, Bangles e The Corrs.
La nostra si scopre ospite abituale ed attenta di quest’ultimo convoglio dove l’attenzione si fa paziente studio in cerca di un’educazione e un’espressione musicale che faccia rivivere l’impatto di questi grandi esponenti dell’alfabeto pop.
Nel primo album “E poi vivere” (2011) le influenze si combinavano con certo confidenziale d’autore, melodia italiana spruzzata di venature rock ed echi di espressioni giovanili di grande presa come Michelle Branch. In questo secondo lavoro – complice la lingua friulana che riveste tutte le canzoni del disco – l’accento si sposta con maggiore frequenza su coordinate folk talora genuine talaltra fugaci come in un gioco di sponde. Un compito non da poco che a conti fatti sembra segnare la possibile direttrice di svolta della scrittura di una Daici la cui intima natura appare catturata in tutta la sua forza e fragilità nella copertina dell’album. Figura esile dagli occhi grandi che rivelano un marcato impeto vitale e un’inesauribile curiosità.
“Lidris di armonie” apre il disco con la migliore sortita tra i lidi colorati e socievoli della family band irlandese. Un’ispirata ricognizione che tiene in grembo una seconda ed inattesa vita della celebre Runaway dove – come nei casi migliori e più fecondi dell’arte – il referente si svela e si nasconde tra le note con sottile maestria.
La canzone che intitola il lavoro Tal cil des acuilis prosegue discretamente sulla stessa linea ed è preludio alla intensa ballata popolare Non val mica poc firmata dall’alter ego musicale e cursore sonoro Simone Rizzi. Su una struttura alimentata dal solo tappeto acustico la Daici si accompagna al conterraneo duo folk Deja giovandosi dell’apporto di Andrea Varnier alla chitarra e della vocalist Serena Finatti. Un serrato duetto con la nostra che avvince per le continue stoccate ed intersezioni all’insegna della brillantezza e della lucida appropriazione dei suoni delle origini. Due voci che sembrano una sola come quegli schizzi su tela dove terra e cielo confondono e armonizzano i propri riflessi.
Mentre la sezione centrale – pur mediata da piccoli inserti folkie e con la gradevole puntata nei Corrs più scanzonati di Breathless e Give Me a Reason – tradisce a tratti una deviazione furtiva sulle coordinate più viscerali e zuccherine della pop band di Dundalk, è il finale che riporta il lavoro al livello del lessico musicale più preciso e consistente della sua prima parte.
Serenade di lus è una canzone che profuma di piccola fiaba d’antan con il prezioso apporto corale dei bambini di Artegna e Buttrio mentre Gnots d’unvier fa riemergere in forma d’acquarello atmosfere popolari e suoni di foresta ultracentenaria combinati felicemente al quattro tempi melodico.
La direzione sonora dell’album va a digradare in un dolce e assorto diminuendo finale con due piccole perle composte dalla stessa Daici. La ninna nanna dal sapore antico di Aiar unisce un assorto giro chitarristico al dolce e profondo garbo delle modulazioni vocali di Giulia mentre la ballata finale di No tu ses è un ideale congedo da folksinger. Una linea melodica a disegnare nostalgie dove rocce carniche e corsi d’acqua del profondo entroterra americano sembrano cantare all’unisono il desiderio del ritorno a un incrociarsi continuo di sguardi e cuori come sa essere quello di una casa eterna.
In una di quelle arie che trascinano con sé affezioni e parole precise prima della loro stessa lettura e traduzione (“No, non ci sei qui con me, ma oggi su quella tua cima sulle montagne sei una stella in cielo”), possiamo trovare la chiave di lettura del disco. E allora possiamo dire di essere ben contenti di condividere con Giulia questa lunga e indomita traversata verso quell’agognato ritorno.