Un vero evento, di portata internazionale, è la presentazione a Roma, per la prima volta in versione originale (e non nella pessima traduzione di Arrigo Boito) di Rienzi, l’ultimo dei tribuni di Richard Wagner. Non solamente è, credo, la seconda volta che viene rappresentata a Roma: la prima fu nel lontano 1969 in un’edizione non solo ridotta ma in cui il ruolo di uno dei personaggi centrali, Adriano Colonna, scritto per il “soprano anfibio” (in grado, quindi, di raggiungere un registro da contralto) Wilehlmine Schröder-Devrient, veniva affidato a un tenore lirico, spostando il registro di un paio di ottava. Un’operazione analoga era stata fatta alla Scala nel 1964 nel lussuoso allestimento di Nicola Benois con l’allora giovane Raina Kabaivanska nel ruolo di Irene (la sorella del protagonista) e Gianfranco Cecchele in quello di Adriano Colonna. Il lavoro è così poco noto in Italia che la recente Guida al Teatro d’Opera curata da Aldo Nicastro per la Zecchini Editore non ha una voce su di esso.



Questa opera giovanile di Wagner ha per argomento la storia di Cola di Rienzo, tribuno del popolo che nella prima metà del Trecento, si contrappose al potere dei nobili della città con il sogno di ripristinare la Repubblica sul modello dell’Antica Roma e, in seguito a una congiura dell’aristocrazia, tragicamente deposto dallo stesso popolo che voleva guidare a una nuova stagione di prosperità e di democrazia. Wagner aveva 27 anni quando lesse il romanzo di Edward Bulwer-Lytton (uno dei campioni delle narrativa romantica britannica) da cui è tratta l’opera. A quell’epoca, soprattutto era imbevuto dalle letture di Bakunin che lo portarono ad essere uno dei leader della rivoluzione di Dresda per cui subì una condanna a morte ed un lungo esilio dalle terre tedesche. Sotto il profilo della poetica musicale, allora i suoi “maestri” erano Bellini, Donizetti e Auber; quindi, il “bel canto” italiano e il “grand opéra” francese. Wagner vivente, l’opera ebbe grande successo (duecento repliche solo a Dresda tra il 1842 ed il 1908) in tutta la Germania, arrivò al Metropolitan nel 1878 e a Londra nel 1879. Venne, però, “ripudiata” dal suo autore che non permise che venisse rappresentata a Bayreuth in quanto la considerava frutto di uno stile vecchio che poco si adattava al musik drama verso cui andò da Der fliegende Holländer in poi. In effetti, dal 1910 quasi sparì dai palcoscenici od apparve in edizioni mutilate e rimaneggiate.



E una mera leggenda metropolitana (ripresa da alcune testate in questi giorni) che fosse l’opera di Wagner favorita da Hitler (che ne avrebbe custodito gelosamente il manoscritto nel bunker dove si suicidò) perché il compositore aveva poca considerazione per questo suo lavoro e, come si è detto, le versioni che giravano nell’Ottocento erano profondamente alterate: dopo la prima a Dresda, che secondo l’autobiografia di Wagner, sarebbe durata oltre sei ore,venne spesso rappresentata in due sere (Il Trionfo di Rienzi e La Caduta di Rienzi) o si eliminarono varie parti, specialmente il lungo balletto che prende gran parte del secondo dei cinque atti. La leggenda metropolitana è stata aggravata dal fatto che un allestimento del 2010 alla Deutsche Oper di Berlino presenta una versione mutilata del lavoro, ambientandolo in epoca fascista (la regia è di Philipp Stölzl con Thorsten Kerl mascherato come Benito Mussolini ne Il Grande Dittatore di Charlie Chaplin). Viene spesso mostrata nei canali specializzati della televisione anche italiana.



In effetti, dopo decenni di oblio, l’edizione filologica della partitura è stata ripresa a Dresda (ne esiste una registrazione integrale; la versione è quella che trionfò nel 1842) da Heinrich Hollreiser nel 1975 e a Monaco ( senza balletti) nel 1983 da Wolfgang Sawallisch. Ebbi la fortuna di ascoltare dal vivo l’edizione diretta da Eve Queller nel 1980-81 a New York ed a Washington; anche in questo caso i balletti erano tagliati. L’orchestra era rafforzata non solo da “aggiunti” ma anche dalla banda della Guardia Costiera dello Stato di New York. Soprattutto Eve Queller (ancora oggi è spesso direttore ospite del Festival pucciniano a Torre del Lago) aveva la chiave interpretativa giusta: è un grande lavoro di un ventottenne rivoluzionario dalla testa calda che si ispira ai modelli di maggior successo in quegli anni ma ha già , in alcuni momenti, il germe della “rivoluzione musicale” che avrebbe attuato. Rienzi è un’opera di rara esecuzione, totalmente “romana” nel soggetto ma nel contempo anticipatrice della rivoluzione musicale dell’autore del Parsifal. A Roma sul podio ci sarà un direttore in sintonia con la complessità della musica wagneriana, Stefan Soltesz (applaudito a Roma nel 2010 per Elektra di Richard Strauss). Regia, scene e costumi sono firmati da Hugo de Ana, che nel suo allestimento si sofferma sul profondo legame dell’opera con la storia e i simboli della città eterna.“L’opera è di enorme complessità e offre grandi possibilità ad un regista –spiega de Ana – Vorrei che il pubblico potesse arrivare a vederla come l’opera romana per eccellenza […]. Quest’opera potrebbe diventare un simbolo della città eterna, che in tante fasi della sua storia e attraverso i secoli, ha vissuto delle agitazioni rivoluzionarie, disordini e sommosse, sotto diversi governanti: tribuni, imperatori o dittatori”.

I movimenti mimici sono di Leda Lojodice, il maestro d’armi è Renzo Musumeci Greco. Maestro del Coro dell’Opera di Roma, è Roberto Gabbiani. Nel cast: Cola di Rienzo è Andreas Schager (Carsten Suess 16) Irene sorella di Rienzi, è Manuela Uhl (Carola Glaser 16), Stefano Colonna è Roman Astakhov, Adriano è interpretato da Adriano è interpretato da Angela Denoke (Chariklia Mavropoulou 16). Rienzi, dopo la prima del 9 maggio, alle 19 viene replicato al Teatro dell’Opera domenica 12 (16.30), martedì 14 (19.00), giovedì 16 (19.00), sabato 18 maggio (18.00).