Il Maggio Musicale Fiorentino è, con l’Arena di Verona, uno dei più antichi e prestigiosi festival musicali italiani. Nasce nel 1933 come manifestazione multidisciplinare (in cui la musica viene coniugata con il visivo e con la prosa), dura circa due mesi. In base a una normativa del 1936 sui teatri lirici come enti autonomi comunali, ha avuto la missione di “riscoprire” grandi lavori del passato (mentre una parallela manifestazione veneziana veniva dedicata alla musica contemporanea). Ora alle riscoperte sono affiancati lavori dei giorni nostri, spesso in prima esecuzione mondiale, e si dà spazio anche a repertorio, però con allestimenti innovativi. L’edizione iniziata oggi 2 maggio versa in guai seri. Avrebbe dovuto essere inaugurata con un nuovo allestimento, curato da Luca Ronconi, della versione detta “di Modena” in cinque atti del Don Carlo di Giuseppe Verdi, che invece verrà presentato e replicato sino al 12 maggio in forma di concerto; difficile capire perché non è stato rispolverato l’allestimento di Luchino Visconti (nato inizialmente al Teatro dell’Opera di Roma) ma che proprio a Firenze, nel dicembre 2004, ha avuto un grande successo; pare che scene e costumi siano stati distrutti.
Il capolavoro di George Benjamin, Written on the Skin, che il luglio scorso ha trionfato al festival di Aix-en-Provence, è stato depennato. Viene presentato, in forma scenica, ma solo per due sere Farnace di Vivaldi, un lavoro che dal 1739 si è visto unicamente a Madrid in una versione spuria. L’atteso nuovo allestimento del rossiniano Barbiere di Siviglia viene sostituito da una ripresa de Il Cappello di Paglia di Firenze di produzione interna all’ente. È mantenuto Macbeth di Verdi (versione filologica del 1847, che proprio a La Pergola ebbe la prima mondiale) come inizialmente programmato. Tagli e modifiche (di minore impatto) sono previste per la danza e la sinfonica. Già nel 2009 il programma del Maggio Musicale è stato drasticamente modificato poiché i costi previsti non sarebbero stati coperti dalle entrate (la biglietteria copre meno del 10%), dai contributi pubblici e dagli sponsor. E’ la seconda volta nell’arco di meno di dieci anni che si deve ricorrere a un commissario per l’operativa dell’ente e per tentarne il risanamento. Si sono levate varie voci – ivi compresa quella di Riccardo Muti da Chicago – per rappresentare il danno all’arte e alla cultura italiana di un’eventuale liquidazione della manifestazione (e delle due stagioni liriche, in autunno e in inverno, che si tengono a Firenze). Claudio Abbado concerterà gratis un atteso concerto il 4 maggio. Numerose le altre espressioni di solidarietà. Era già avvenuto alcuni anni fa, quando si dovette ricorrere al commissariamento e si paventò la chiusura dei teatri fiorentini dedicati alla lirica e alla musica “colta” in generale. Il primo maggio il Ministro dei Beni Culturali, Massimo Bray, ha ‘tweetato’: Salviamo il Maggio. Il 2 maggio, prima di iniziare lo spettacolo Zubin Mehta e l’orchestra hanno fatto un appello Non Fateci Morire.
Resta da chiedersi se una città di 360mila abitanti possa sostenere i tre teatri che appartengono alla fondazione (il Nuovo, il Comunale e il Goldoni) e altri due (La Pergola e il Verdi) dove pure si fanno opere e concerti. Ci si è messi su una strada impervia quando si è deciso di realizzare il Nuovo Teatro (incompleto e a costi maggiori delle stime iniziali) senza avere una destinazione alternativa per il Comunale. «Insieme con tutta la città – ha commentato ieri sera il sindaco Renzi – cercheremo di risolvere i problemi del Maggio musicale fiorentino». L’unica proposta concreta da Piazza della Signoria è di accendere un mutuo con una banca internazionale, dando ‘in garanzia reale’ il parco ‘Le Cascine’. Secondo le mie stime, saldati i 35 milioni di debiti, per fare funzionare la macchina ci vogliono 5-6 milioni di euro in più ogni anno ed una riduzione drastica nel personale non artistico: di 400 dipendenti, la metà è coro e orchestra ed un centinaio sono amministrativi in varie funzioni (il resto tecnici).
Sul Sussidiario del 9 aprile , in occasione della rappresentazione del ‘Don Carlo’ a Torino ci siamo soffermati sulle tre principali edizioni del lavoro verdiano – sottolineando come quella del 1867 in francese (una commissione de l’Opéra) venga raramente rappresentata anche per ragioni di durata. Mentre la versione scaligera in quattro atti del 1884 (quella più rappresentata in Italia) è un dramma compatto e cupo contro il potere della politica e delle gerarchie ecclesiastiche, il tema di fondo dell’edizione in cinque atti (curata a Modena nel 1886 e considerata da Verdi quella definitiva) è la ricerca dell’utopia: dall’incontro dell’infante di Spagna e della principessa di Francia nella foresta di Fontainebleau nel primo atto (che si svolge anni prima del resto dell’opera), al loro arrivederci nell’accorata preghiera finale. La partitura del 1886 è più ariosa di quella del 1884. E’ stata rappresentata a Modena e Reggio Emilia lo scorso autunno in una produzione ‘povera’ sotto il profilo sia drammaturgico che musicale. A Firenze, dato che (per quanto detto) si è stati costretti ad optare per un’edizione da concerto, il critico si sofferma sugli aspetti musicali. A 76 anni Zubin Mehta accentua i colori giovanili (l’amore tra Carlo e la principessa andata poi in sposa a suo padre, l’amicizia tra Carlo e Rodrigo) e regala un grande arazzo musicale, in contrasto con le tinte cupe della parte politico-religiosa. L’orchestra ha suonato magnificamente (notevoli i fiati). Tra le voci spiccano i due giovani amanti, Massimo Giordano e soprattutto Kristin Lewis (giunti però esausti al duetto finale Giordano ha ‘ingolato’ alcune tonalità), e i due bassi, Dmitry Beloselskiy e Paata Burchuladze segnatamente nel grande duetto del quarto atto. Di grande bravura. come sempre, Ekaterina Gubanova. Un po’ legnoso Gabriele Viviani. Bravi i numerosi comprimari. Eccellente il coro. Dopo quattro ore di spettacolo, dieci minuti di standing ovation. Un buon augurio. Che però comporta anche un serio dimagrimento.