A guardarlo da vicino, Giovanni Lindo Ferretti è ancora il punk che molti hanno conosciuto: capelli lunghi, felpa scura, i jeans con le cerniere alle caviglie. Lo sguardo profondo e il sorriso aperto, però, descrivono il profondo cambiamento del cuore, rispetto alla sua storia del passato, quella che fa rima con i CCCP, il primo gruppo punk rock italiano, espressione di musica sperimentale e follia visionaria, di cui è stato fondatore e leader.
Alla vigilia dei 60 anni Ferretti è un reduce, un combattente tornato a casa, dopo un viaggio lungo tutta una vita, iniziato nella semplicità della campagna emiliana, passato attraverso il delirio di libertà e la ribalta del palcoscenico. Il racconto di questo viaggio è stato al centro di una serata del ciclo “Narrar degli uomini, parlar di Dio”, promossa dall’oratorio della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri di Roma, in un incontro frutto di un lungo corteggiamento, di attesa fiduciosa, di speranza; perché “scendo molto malvolentieri in città” dice lui stesso, che ora vive in solitudine in un paesino di montagna, senza telefono né computer.
Racconta la sua vita, l’infanzia semplicissima in campagna, con i nonni, in una famiglia povera, ma in cui “avevo tutto quello che mi serviva”. La scuola in collegio salesiano, vicino a Reggio Emilia, lo studio, l’educazione tipica dei bambini cattolici di qualche generazione fa; poi l’amore per la modernità, la scoperta di mondo che sembrava promettente: ” era il 1968, ero un ragazzino, era facile rimanere preda di sogni e predicazioni folli – racconta con pacatezza – La mia famiglia non era in grado di reggere la mia smania di protagonismo. Ho fatto tutto il percorso della mia generazione, credendo davvero che gli uomini possedessero la forza di organizzare il mondo meglio di quello che è”.
Il paradiso in terra, la giustizia sociale, un mondo nuovo costruito con la giusta dose di violenza: queste le verità in cui credere e per cui combattere, abbracciando l’ostilità alla Chiesa, considerata la causa di tutti i mali sociali. Con i CCCP, fondati nel 1982 con Massimo Zamboni, raggiunge il successo, fatto di creste colorate, performance d’avanguardia, e di canzoni rimaste famose tra gli appassionati del genere, da “Io sto bene”, a “Tu menti” ( con il passaggio “io sono anarchia, ecco il nuovo anticristo” tributo a Sid Vicious dei Sex Pistols,), da “Stati di agitazione”, a “Madre”, dedicata alla Madonna, che segna già nel testo l’inizio, o la conferma di una svolta profonda nella vita di Giovanni Lindo Ferretti.
“Facendo i conti niente mi tornava – confida – era evidente anche ad un occhio stupido come il mio che nessuna risposta all’esigenza di un cuore umano era sfiorata dal mondo e dal modo in cui vivevo. Quello che io cercavo non era quello che io avevo nella mia vita; l’unica strada possibile era tornare a casa”. Tornare a casa vuol dire tornare alla tradizione, alla famiglia, alla vita da montanaro, e tornare anche alla casa del Padre, a quella educazione cattolica mai dimenticata: “Quando ero bimbo, mia nonna mi ha insegnato a fare l’esame di coscienza; sono stato abituato così a non raccontarmi le bugie. Quando le cose hanno cominciato a non funzionare più, ho ricordato questo, poi ho ricominciato a dire le preghiere”.
Da qui il recupero delle tradizioni, dei ricordi , del senso di appartenenza ad una terra, e ad una famiglia, il ritorno alla fede radicata, perché seminata bene nel passato, diversa dalla conversione “che riguarda i cattolici ogni giorno”. Da qui la presa di consapevolezza del valore della vita, la schiettezza per affrontare i deliri di onnipotenza della giovinezza, la preoccupazione per la crisi antropologica, per dissoluzione delle comunità e della famiglie, per la deriva di un mondo che non vuole più essere specchio del Dio e che si circonda di nuove tecnologie, capaci allo stesso tempo di connettere e di creare profondissime solitudini.
E se il palco del primo maggio a Roma è diventato casse di risonanza di atteggiamenti blasfemi e di atti irrisori contro la Chiesa, Ferretti racconta come proprio dal palco e dalla musica sia iniziata la sua rinascita: “Considero l’’esperienza sul palco con i CCCP l’inizio del mio ritorno a casa. I CCCP per me sono già fonte di guarigione, il peggio era prima, il fatto di poter esprimere i miei pensieri e le riflessioni sul palco , voleva dire che essere già sulla buona strada”. Lui che di viaggi e di percorsi se ne intende, confida di essere stato un bestemmiatore di professione, “fino a vergognarmi profondamente di me” e che “il viaggio più lungo che ho fatto è stato da casa mia al confessionale, la prima volta che sono tornato a confessarmi; un viaggio molto molto difficile, ancora oggi”. La vera trasgressione è oggi la mancanza di paura dei giudizi negativi, il gusto da vecchio punk per il confronto con chi lo accusa di essere un traditore, l’accettazione dell’esperienza del passato.
Perché la vita, ogni vita è dono, e la sua è in questo viaggio, in questo canto di uomo da offrire a Dio come unico, vero tesoro.
(Maria Elena Rosati)