I re del metal sono tornati, il Maiden England World Tour è giunto anche nella nostra penisola. Quale occasione migliore per i fan di lungo corso per vedere la line up classica degli Iron Maiden circa trent’anni dopo le origini del mito? E per i fan dell’ultima ora, cosa chiedere di più se non di assistere al meglio del repertorio dei Maiden degli anni ottanta?
Il successo era già annunciato, oltre trentacinquemila biglietti sono stati venduti solo in prevendita per l’ingresso al Sonisphere, il “one day festival” Internazionale del Metal che ha avuto luogo alla Fiera Milano di Rho con la partecipazione di band del calibro di Megadeth, Mastodon e Ghost. Gli headliner, nonché i veri catalizzatori del pubblico, sono stati gli inossidabili Iron Maiden, i Totem del Metal, che per l’occasione hanno registrato il loro record personale di spettatori in Italia.
Il tour mondiale è partito nel giugno dello scorso anno dalla Carolina del Nord e coinvolgerà festival importanti come il Donington (dove i Maiden avevano esordito come headliner nell’88) e il Rock in Rio (per loro 250.000 presenze nel 2011) per terminare il prossimo ottobre a Santiago del Cile. Nessun nuovo album da promuovere, l’occasione è la celebrazione del 25° anniversario del Maiden England ’88 e la riedizione del relativo DVD/CD/LP live registrato all’Arena di Birmingham durante il Seventh Son Of A Seventh Son Tour.
Nessun segreto ma grandi emozioni. Come previsto circa due terzi dei brani eseguiti nella serata sono stati i medesimi presenti in scaletta nell’originario Maiden England la cui base portante era il settimo album della band inglese: Seventh Son of a Seventh Son, tra i lavori più apprezzati dai fan. Si tratta di un concept album legato ad un’antica profezia per cui “il settimo figlio di un settimo figlio avrà in sé poteri da far tremare il mondo” ed è caratterizzato da un suono più progressive rispetto ai precedenti grazie all’innesto delle tastiere e all’impiego nella band, divenuto nel tempo in pianta stabile, di Michael Kenney, per anni tecnico del basso di Steve Harris.
La scenografia è in perfetto stile Maiden. Un palco imponente, allestito come se fosse l’Artico con la presenza spettrale di Eddie che imperversa stabilmente sulla band inglese, il che ne fa di lui il protagonista assoluto. Come già detto si è presentata la formazione classica degli anni ottanta: Harris, Murray, Smith, McBrain e Dickinson con l’aggiunta di Janick Gers, ex chitarrista del gruppo solista di Ian Gillan dei Deep Purple, che si è unito alla band solo nel novanta.
In perfetto orario, e come da copione, il concerto si apre con Moonchild seguita dalla melodia accattivante di Can I play with Madness con l’attacco cantato da Bruce insieme a Steve e a Adrian. Two Minutes to Midnight accende gli animi e The Trooper, una storia sull’audacia in tempi di guerra, è ben rappresentata da Bruce che, con l’immancabile casacca rossa, si dimena in un patriottico sventolio della Union Jack. The Trooper è anche curiosamente il nome coniato per la birra dedicata agli Iron Maiden, creata e commercializzata in accordo con i distillatori inglesi Robinson. The Number of the Beast è tra le più apprezzate dal pubblico mentre con Phantom of the Opera coraggiosamente si va a pescare nel primissimo repertorio della band che Dickinson, pur non essendoci fin dagli inizi, dimostra di conoscere e di interpretare al meglio. Bruce infatti è subentrato a Paul Di’Anno solo nell’ottobre 1981 esordendo con i suoi primi cinque concerti con i Maiden proprio in Italia. Durante Run to the Hills si materializza sul palco un Eddie gigante, vestito da Generale Custer che, brandendo la sua spada, duella contro il basso a mitraglia di Harris e con tutta la linea di chitarre. Non mancano poi altri classici come Wasted Years e The Clairvoyant, una bordata roboante contro i chiaroveggenti.
I quattro strumenti a corda sono schierati in posizione di fuoco pronti a sparare raffiche sonore. Alle spalle, quasi completamente nascosto dalla sua batteria, Nicko McBrain, in perfetta tenuta da mare (canottiera e bermuda! Un mito!) come a proteggere le retrovie. Bruce nella parte alta del palco non si risparmia e macina chilometri di palcoscenico. E’ il vero mattatore della serata: dimostra di metterci il cuore e adegua il suo look di scena al contesto delle canzoni. Insolitamente poco loquace nell’introdurre i brani, si limita invece ad invocare il coinvolgimento del pubblico: “Scream for me Milano, Scream for me Italia”. La folla puntualmente risponde a bacchetta con un boato. Tutti conoscono e hanno potuto apprezzare l’estensione vocale sviluppata di Bruce, ma a distanza di tempo, la costanza della qualità continua a sorprendere. La tenuta della sua voce ricca di vibrato e simil operistica è stata davvero la sorpresa della serata.
Per l’occasione del tour sono state rispolverate delle canzoni che non venivano eseguite dal vivo da parecchio tempo: anzitutto la title track Seventh Son of a Seventh Son, intermezzo epico di oltre dieci minuti che mancava nelle setlist proprio dall’88. Si perde invece nei primi anni novanta l’ultima performance della bestiale The Prisoner, mentre degli interrogativi sulla Guerra del golfo di Afraid to Shoot Strangers (bentornata!) se ne era quasi persa la memoria. Quest’ultima, insieme a Fear of the Dark, sono gli unici pezzi post Maiden England ‘88 nonché tra gli ultimi brani interpretati da Bruce Dickinson prima della sua temporanea dipartita nel 1993.
La chiusura del set è riservata ad Iron Maiden, un vero e proprio inno oltre ad essere un marchio di fabbrica. Gli Iron Maiden hanno sicuramente perso l’irruenza e la carica degli anni ottanta ma non sono nemmeno finiti con Fear of the Dark come alcuni maligni pensavano. The Final Frontier, quindicesimo album pubblicato tre anni fa, si è piazzato ancora una volta ai primi posti delle classifiche mondiali. Nati nel pieno del punk inglese e sopravvissuti al fenomeno della NWOBHM (New Wave Of British Heavy Metal), negli anni ’80 hanno soppiantato i Black Sabbath e i Deep Purple come emblema dell’heavy Metal e dell’hard rock. Hanno resistito al fragore e alla velocità dei Metallica, Megadeth, Slayer, Anthrax da un lato e hanno retto l’onda d’urto e la rabbia del Grunge dei Nirvana, Pearl Jam e Soundgarden dall’altro.
Infine, dopo una breve pausa, c’è spazio per tre bis. Ridisceso dall’impalcatura su cui si era arrampicato durante l’esecuzione di una cattiva e bellica Aces High, ma con ancora in testa la cuffia in pelle da aviatore, un Dickinson divertito intona la classica The Evil That Men Do. La conclusione è per un’aggressiva Running Free: primo singolo e primo brano ad entrare in classifica, è una cavalcata sonora che ha contribuito alla nascita della leggenda dei Maiden.
Ancora una volta gli Iron Maiden non sono scesi a compromessi e hanno continuato a seguire la loro strada. La battaglia non è ancora terminata, ma ricordatevi che i Maiden non fanno prigionieri: “Iron Maiden wants you for Dead”!