Se non possedevi un impianto stereo (almeno quello del Reader’s Digest) dovevi darti da fare con gli amici per farti riempire di musica le cassette C60. Ma, nel 1975, un quindicenne appassionato sapeva bene che anche la radio poteva regalarti ottime cose (un appuntamento fisso era Popoff con Michelangelo Romano). E sapeva anche cosa stava accadendo sulle frequenze FM. 



Dalle nostre parti pompava Radio Milano International, ma la musica faceva schifo. Smanettando col cursore avevo scoperto Radio Milano Centrale (Montevecchia sarebbe nata più tardi) che trasmetteva dall’appartamento di Mario Luzzatto Fegiz. Io ci stavo attaccato tutti i pomeriggi: a mettere dischi passavano Finardi, Camerini e Massimo Villa. Dentro quelle stanze sembrava transitare tutta la “musica ribelle”, quella che ti piaceva da un po’. 



Uno di quei pomeriggi rispondo a un quiz e vinco il singolo di “Pane Quotidiano”. Prendo il pullman e lo vado a ritirare in Via Mameli. A consegnarmelo è proprio Camerini che, vedendomi un po’ ingenuo e sbalordito davanti a quella pigna di dischi sparsa sull’enorme tavolo, mi dice se non voglio dargli una mano a sistemarli sullo scaffale. “Se vuoi posso venire tutti i giorni…”. Non so cosa mi sia uscito dalla bocca timida e balbuziente, fatto sta che, per qualche mese, mia mamma pensa che io esca per andare all’oratorio o in biblioteca, mentre dalla Brianza raggiungo Corso XXII Marzo e poi la stanza dei sogni.



Alberto insegna chitarra al Centro Sociale Santa Marta e quindi lo seguo anche lì, per dare un senso alle mie prime strimpellate. Voglio imparare “Mexico” di James Taylor… E’ in quella stanzetta di via Festa del Perdono che conosco la sua ragazza, Donatella Bardi (che ritroverò magicamente molti anni dopo, ma questo merita un racconto a parte). Ed è lì che conosco anche Claudio Rocchi, passato per caso a portare delle cose ad Alberto, prima di partire. 

Claudio è magico per davvero, è diverso. Quasi un estraneo rispetto all’ansia di usare la musica per fare politica forte. Forse per questo non è nemmeno ben visto. All’epoca i musicisti impegnati dovevano rendere conto al pubblico (ne sa qualcosa De Gregori) e chi si estraniava per andare in oriente era considerato una specie di traditore. Anche tra i colleghi. Finardi e Lucio Fabbri ci hanno scritto una canzone sull’argomento (“Afghanistan”). Ricordo ancora la presentazione, e la versione eseguita dal vivo al Palalido pochi minuti prima di assistere al debutto assoluto di De André su un palco. 

Il disco che mi regala Donatella, (“Volo Magico n. 1”) è quello che ascolto più di tutti. Non so ancora bene cos’è la psichedelia, ma quella suite mi rapisce. E poi, è anche la sigla di Radio Milano Centrale… Di Claudio mi rimane impresso il sorriso, la pacatezza, la gentilezza. 

L’ho risentito un paio di anni fa al telefono: un amico di Rimini sognava da tempo di farlo suonare nel suo piccolo locale. “Riesci a far qualcosa tu?”. Chiamo Claudio sul cellulare e cerco di capire se è disponibile o meno a fare sta cosa. Ha voglia di andare in giro a suonare, mi dice. Parliamo un po’ dei vecchi tempi e mi assicura che lui è rimasto la stessa persona che ho conosciuto quel pomeriggio. Gli dico, con tanta fatica, che il budget non è granché e che mi spiace dover tirare sul prezzo proprio con lui. “Ti accoglieranno come un Dio” aggiungo. Claudio si mette a ridere, dicendomi che Dio è una cosa un po’ più seria. Poi vuole sapere la storia dell’incontro con Donatella del 1996, della sua voglia di tornare a cantare e rimettersi in gioco. “Ti abbraccerei per quello che le hai fatto…” dice chiudendo la telefonata. E mi dà appuntamento per il concerto di Rimini.

Io a quel concerto non ci sono potuto andare e quell’abbraccio non l’ho potuto ricevere. Adesso però mi manca…        

(Pier Angelo Cantù)