Non hanno tradito le aspettative i Bon Jovi ieri sera allo stadio Meazza di San Siro. Con il loro Sogno Americano targato Rock AOR (acronimo di Album Oriented Rock) il tuffo nel passato è durato più di tre ore incalzato da hit ormai famose da restare sulla pelle come un vestito. Dopo due anni dal loro ultimo concerto italiano ad Udine, il Because We Can tour ha toccato nuovamente il nostro stivale per quest’unica data Italiana.



Grande assente il comandante in seconda ed alter-ego  Richie Sambora, lo storico chitarrista che insieme al leader Jon Bonjovi è cuore e motore della band. Causa ufficiale, uno stato di salute un po’ “fragile”. Quella ufficiosa, probabili incomprensioni e dissapori sugli eccessi alcolici di Sambora che, a suon d’interviste sulle più famose testate americane, smentisce ed accusa il compagno di una fortunata carriera. Separazione definitiva o momentanea? Per il momento non sappiamo. Nel frattempo è degnamente sostituito dal chitarrista canadese Phil X, noto all’anagrafe canadese come Philip Theofilis Xenidis, già alla chitarra solista negli show di due anni fa, quando Sambora fu costretto a rientrare in patria per i suoi problemi di alcool. I 50.000 di San Siro hanno sperato fino all’ultimo di trovare sul palco lo storico chitarrista Sambora fino all’accensione delle luci del palco e del muso della grande Cadillac azzurra targata Bon Jovi che imperava sul gigantesco palco, vera grande americanata della serata. Il capello più corto, qualche ruga che non guasta, la voce non sempre all’altezza dei tempi ma con una grinta ed una forma da fare invidia, Jon Bonjovi con i suoi 51 anni,  David Bryan alle tastiere e Tico Torres alla batteria, hanno offerto agli oltre 50.000 fans presenti allo stadio San Siro il sogno americano. Quello a stelle e strisce che il suo giubbotto ha ben disegnato, rivisitando i dorati e spensierati anni’80, quei tempi così lontani della crisi attuale. Jon ancheggia, salta, corre e non si risparmi per tutto lo show. La scaletta è una carrellata di successi lunga trent’anni di rock’n’roll, in equilibrio tra nuovo e passato. L’inizio è dirompente con un trittico che lascia il pubblico del Meazza senza fiato: What The Water Made Me, You Give Love a Bad Name e Rise Your Hands. C’è spazio per pescare sin dagli esordi del gruppo con Runaway arrivando fino al nuovo album della band What About Now uscito qualche mese fa. Sulle note di Because We Can, il pubblico di San Siro sfodera la chicca della serata. La coreografia denominata Operazione Destination San Siro, organizzata dal Bon Jovi Club Italia e Bon Jovi punto it, trasforma San Siro in una gigantesca bandiera a stelle e strisce, proprio come successe a Udine nel 2011, e che ha piacevolmente sorpreso la band americana e commosso il leader Jon Bon Jovi fino alle lacrime. E poi ci sono le canzoni che hanno rappresentato una generazione al grido di You Give Love a Bad Name, It’s My Life, Bad Medicine, Wanted Dead or Alive. I 50.000 di San Siro cantano a squarciagola tutte le canzoni e lo stadio è praticamente incontenibile. Poi arriva l’inno di una generazione di “capelloni cotonati” Livin’ On a Prayer, la strappalacrime Always, These Days e This Ain’t A Love Song. Insomma un’esplosione di vita collettiva. Tre ore dense di musica, ricordi ed emozioni che hanno fatto sognare un popolo da 50.000 fans, ri-accendendo, anche se per un breve tempo, la luce dei tempi che furono. Quella spensieratezza che ancora cerchiamo e forse troveremo… al prossimo concerto dei Bon Jovi! 

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