C’è un talento raro e prezioso che vaga per la penisola in cerca di essere definitivamente scovato e reso patrimonio dell’Italia musicale e della musica tutta.  Chiara Canzian, autentico cigno dello show-biz, figlia d’arte già protagonista di un disco musicalmente assai bello, l’intenso “Il Mio Sangue” del 2011, si appresta a rientrare nel consunto giro dello star-system e a restaurarne le bellezze andate perdute con un album nuovo di zecca previsto per l’autunno a venire e precorso da anteprime varie esibite in concerto nei due anni passati.



Il tutto viene anticipato come fulmine a ciel sereno dal singolo Camelie e margherite disponibile nei migliori circuiti instant da I-Tunes a Spotify.  Preannunciato a sorpresa il 16 maggio scorso, viene pubblicato nel giro delle ventiquattro ore successive – accreditato a nome e nickname di Chiara Candra Canzian – in un rapido vortice di annunci e controannunci.



Si tratta di un brano positivo e solare nel senso vivo e persino provocatorio del termine.  Il dono della cantautrice veneta è di quelli insoliti e al contempo attesi come pane quotidiano.  Unire forme, espressioni musicali e tendenze artistiche in un composto forte e consistente, coerente e lucido nel valorizzare al massimo le singole influenze che lo costituiscono.

Quel che ne esce è una canzone dolce e vivace, allegra e maliziosa ma gravida di nobili referenti d’autore.  Un docile e sorridente dettato di piano ribattuto è preludio a un fiume sonoro che ingloba in agile combinazione retrò e psichedelia anni ’60, mitteleruropa, decorazioni soul incrementate da handclaps, mediazioni electro-noise, discreti arrangiamenti di fiati che sussurrano arie d’antan.    



Il tutto incorniciato da liriche che viaggiano su un’apparente spensieratezza che unisce sorrisi e nostalgie ma con una limpida apertura sul desiderio di gioia come dimensione naturale e inscritta nelle vite di ciascuno.  Una grande canzone che sconta il peccato originale dell’essere stata partorita in un’epoca dove abortire il bello è diventato regola non scritta ai confini del diktat. 

Musica e parole della Canzian stanno lì a ricordarci che è sempre possibile rialzarsi ed assistere allo spettacolo delle rinascita di ciò che si sarebbe detto sepolto e dimenticato.