Ci sono ancora dei “talenti” che possono fare a meno dei “talent show”. E’ un buon segno, se una ragazza italiana viene contatta personalmente da professionisti della musica inglese (che, insieme agli Stati Uniti, hanno inventato come si sa il concetto di “popolar music”) perché colpiti dalla sua bravura. E’ la storia di Cecilia Quadrenni, toscana di Arezzo, che innamorata da sempre della musica scrive canzoni da quando aveva 15 anni. Ma per lei l’espressione artistica è a tutto tondo: ha infatti studiato violino, mimo e recitazione tanto da esordire nel rifacimento del “ Concierto De Aranjuez”, composizione di musica classica di Joaquin Rodriguez, interpretato da cantanti lirici, quali Carreras e Bocelli. “En Aranjuez Con Tu Amor”, cantata in lingua spagnola, è infatti l’unica versione rivisitata in chiave squisitamente pop e grazie tramite al web gode di un ottimo riconoscimento in paesi come la Spagna, nei paesi Arabi e dell’America Latina. Nel 2011 l’avventura inglese, che le permette di farsi le ossa su quei difficili palcoscenici per poi pubblicare un mini album, “Molto personale”, con alcune cover di artisti pop come Lady Gaga e Mika ma in versione rigorosamente acustica. Adesso arriva un nuovo ep, “To Summer”, che invece contiene quattro brani autografi e una cover, il classico della tradizione inglese Scarborough Fair. Un disco molto ben fatto, dominato dalla bella voce malinconica di Cecilia e da melodie di grande fascino, arrangiate in modo moderno e personale. Ilsussidiario.net l’ha incontrata.



Come mai un mini cdi di soli cinque brani invece di un album intero?
E’ un antipasto del lavoro che sto facendo, sto lavorando all’album che dovrebbe uscire in autunno che conterrà altri brani scritti da me e anche qualche cover.

Tu canti in inglese, molto bene. A parte casi rarissimi come Elisa, però, cantare in inglese non ha mai aiutato ad avere successo in Italia.
Il fatto è che generalmente non do molta importanza ai testi. Una lingua è un suono come lo è un arrangiamento. Non escludo infatti in futuro di usare altre lingue: adoro il greco moderno e mi piacerebbe usarlo. Poi forse anche l’italiano, dipende se il testo si abbina bene alla musica. In questo caso i testi anche di altri autori non si confacevano al mio modo di essere mentre in inglese invece sono riuscita a utilizzarli meglio.



Parecchi però qui da noi sostengono che se non capiscono il testo di una canzone non possono apprezzarla. E’ un problema di provincialismo, di mancata educazione musicale o che altro?
Per quanto mi riguarda è vero il fatto che non sono un’amante dei testi d’amore. Proprio non mi vengono, trovo sempre che il concetto che poi esprimono tutti è lo stesso, le pene d’amore, la sofferenza… Io preferisco esprimere sentimenti più spirituali, ad esempio verso la natura. Cantando le mie canzoni in italiano mi sono accorta che mancavano di quel qualcosa che potesse renderle attraenti, in inglese sono riusciti a esprimerli meglio. Quando una persona si sente che sta dando quello che ha dentro va sempre bene, a prescindere dalla lingua.



Infatti i tuoi quattro brani inediti sono dedicati a diversi momenti: l’estate, la pioggia, il vento. Quale di questi momenti è quello che senti appartenenti di più?
To Summer è quella che si avvicina a ciò che ha caratterizzato da sempre la mia esistenza e cioè il desiderio di fuga. Non tanto da un posto preciso, ma da rapporti che generalmente ti fanno diventare falso. Una fuga verso l’estate dove uno ritrova la sua vera essenza. A livello musicale invece mi ritrovo più vicina a New Wind e It’s Just Rain come possibilità di modulare la voce in modo un po’ malinconico. Ma in un modo o nell’altro mi appartengono tutti.

Hai inciso una cover del tradizionale Scarborough Fair: come mai?

E’ un pezzo che avevo preparato per le mie esibizioni a Londra. mi piace anche per le mie caratteristiche vocali. Per Londra comunque mi sembrava carino cantare qualcosa vicino a loro e poi ci sono affezionata: Le canzoni sono sempre un po’ dei figli e ho voluto che rimanesse parte del mio lavoro. 

Come è stata l’esperienza inglese? 
E’ stata bellissima anche perché venivo da un periodo in cui ero stata un po’ ferma. E’ stato uno sbocco e una sferzata di energia e poi per la professionalità che hanno lassù. In Italia è difficile trovare lo stesso modo di lavorare. Ma devo dire che mi piace lavorare anche in Italia perché ci sono piazze e ambienti che non sono certo come i pub inglesi sempre un po’ bui e tristi. Il mio sogno è cantare in Italia d’estate, una atmosfera surreale che non ha paragoni al mondo. 

Certe tue ambientazioni musicali, l’uso della voce, fanno ricordare quel periodo d’oro degli anni 70, la riscoperta del folk, in particolare quello inglese. Una riscoperta che oggi va molto di moda. 
Amo le canzoni in generale, non le classifico quasi. Tra i miei favoriti mi vengono in mente John Denver e Simon and Garfunkel che ho ascoltato tantissimo però ascolto davvero di tutto. Non cerco di classificarmi, sono allergica a queste cose, mi confondono. Anche quando facciamo gli arrangiamenti mi chiedono in che direzione musicale vorrei andare, ma è una domanda che non mi piace. 

A proposito di arrangiamenti, qual è il tuo contributo? 
Posso dire di aver arrangiato io le canzoni. Non sono brava a suonare strumenti però lavoro sempre a contatto con l’arrangiatore. Il brano nasce da zero e lo finiamo insieme, se qualcosa non mi piace la faccio cambiare. Alessandro Sgreccia dei Velvet che ha lavorato con me in questo disco e spero anche nel prossimo è riuscito a capire perfettamente dove volevo arrivare. 

Oggi i cantanti di successo arrivano tutti o quasi dai talent show. Come mai non hai scelto anche tu quella strada? 
Credo che quello dei talent sia un modo del tutto sbagliato di approcciare la musica e lo sanno anche quelli che ci lavorano dentro. Nel corso degli anni qualcuno di questi cantanti mi è piaciuto, ad esempio Nathalie. Va bene che ci siano i talent show, ma non ci possono essere solo quelli: le cose stanno cambiando, la gente cerca la qualità, è più intelligente di quello che sembra.