Spaziano dalla musica folk alla Lambada, dai Pink Floyd agli Iron Maiden e soprattutto a Elio e le Storie Tese. La Cantina dei Bardi è un gruppo veneto nato nel 2010 e vanta al suo attivo il demo Offerta Libera. Le loro musiche sono spesso imprevedibili e stranianti, e dal vivo danno il meglio di sé. La formazione è composta da Elisa “Erin” Bonomo, chitarra e voce, Giulia “Gatto” Ortolan, violino e diamonica, Marco “Straw” Barbieri, basso e cori, e Cristian “Baga” Bagattin alle percussioni. Ilsussidiario.net ha intervistato Bagattin.
Per quale motivo la vostra musica punta sulla scelta di mixare generi completamente diversi tra loro?
La Cantina dei Bardi nasce come una formazione folk-cantautorale. Per indole siamo quattro giocherelloni e abbiamo gusti musicali molto variegati, e giochiamo molto sull’elemento dell’ironia tipica degli antichi bardi nel raccontare le storie. Spesso arricchiamo i nostri spettacoli con delle cover conosciute, e ci piace fare degli abbinamenti forti come passare dai Pink Floyd a Maracaibo di Lu Colombo, piuttosto che intonare gli Iron Maiden in versione folk. Amiamo stupire per comunicare degli stimoli e soprattutto non annoiarci mai.
Vi siete definiti una “folk acoustic trash band”. Perché trash?
Nei nostri brani trattiamo tematiche sociali importanti, quali la mafia, la prostituzione o la tortura, e poi abbiamo questi momenti trash in cui io indosso la parrucca rosa e canto Chiara Galiazzo. Altre volte suoniamo la Lambada o ci travestiamo da polli. La nostra band ha questa dimensione teatrale che ci porta a dare il meglio di noi soprattutto dal vivo.
Su Facebook avete scritto che la vostra band è adatta ai fan di Elio e le Storie Tese. Di Elio non ne basta già uno?
Di Elio ne basta assolutamente uno e guai a paragonarci a lui, perché per noi è un “mostro sacro”. Ad accomunarci a lui è soprattutto l’elemento dell’ironia, e sicuramente per questo motivo molte persone che ascoltano Elio apprezzano anche i nostri spettacoli.
Quanto conta il vostro Dna veneto nella musica che suonate?
Noi cerchiamo di attenerci alle nostre tradizioni, tanto è vero che ci piace suonare le nostre canzoni popolari. Purtroppo però sul palcoscenico veneto in questa fase la musica folk non ha molta presa. Chi fa parte della nostra band proviene da diverse aree geografiche, siamo molto distanti tra di noi e abbiamo una formazione culturale molto variegata. Siamo quindi veneti di nascita, e alcuni di noi anche di cultura, ma cerchiamo di essere italiani a 360 gradi.
Le vostre canzoni sono caratterizzate anche dall’impegno sociale e politico. Come riuscite a coniugarlo con l’ironia che vi caratterizza?
Si ride e si scherza ma ci piace anche far riflettere, sempre con un tocco di ironia, quanti sono disposti ad ascoltare attentamente i nostri testi. Parliamo di tematiche sociali, di crisi e di alcuni momenti della vita in cui è difficile prendere le decisioni giuste. Affrontiamo temi impegnativi, come per esempio la tortura, con un atteggiamento umile ma facendo in modo che chi ascolta possa dire di non avere sentito le solite rime “sole, cuore e amore”. La canzone piace, è bella e ha un contenuto importante, anche se poi spetta sempre a chi ascolta interpretare il testo.
Che cosa preparate per il futuro?
Noi stiamo puntando molto sui concerti, perché il pubblico che ci vede dal vivo resta colpito. Spesso chi ha ascoltato i nostri brani registrati, o su Youtube, e in un secondo momento ha partecipato ai nostri eventi live ha dovuto ammettere: “Non avevo capito come eravate veramente”. L’impatto emotivo che cerchiamo di comunicare dal vivo è sicuramente più importante, e per questo stiamo cercando di fare sempre più concerti. Poi per il resto è la musica che parla, ed è difficile che una persona che è stata a un nostro spettacolo resti indifferente. Di solito o ci odia o ci ama.
(Pietro Vernizzi)