Si è scatenato un tale putiferio che si sono sentiti in dovere di intervenire anche i parlamentari della cosiddetta “ala renziana” del Pd. Gli hanno scritto una lettera aperta: “”Caro maestro, ti preghiamo di riprovare a ‘crederci’, di tornare a leggere i giornali, di ricominciare a seguire la politica e il Partito Democratico. Noi conserveremo l’intervista, la ricorderemo come un errore e una critica eccessiva, tenendo a mente che non è da un calcio di rigore sbagliato che si giudica un giocatore”.
L’intervista incriminata è quella che Francesco De Gregori ha concesso ieri al Corriere della Sera: già colpisce l’uso della terminologia “errore”. Sembra il linguaggio dei tempi dello stalinismo, o meglio, dei primi anni 70, quando bisognava “correggere il compagno che sbaglia”. Rimettterlo in riga insomma. E ancora: “Sono passati tanti anni, siamo invecchiati tutti, sicuramente lo siamo noi, ma non possiamo credere che il nostro maestro sia invecchiato così male da dirci ‘Il verbo credere non dovrebbe appartenere alla politica”. Invecchiato male? Mah, sarebbe da discutere, averceli intanto 62 anni come li porta lui, fisicamente e artisticamente visto che negli ultimi tempi ha pubblicato anche alcuni dei dischi più belli della sua carriera ed è in forma fisica splendida. Ma questo è niente davanti all’ondata di post anti De Gregori che per tutta la giornata di ieri sono piovuti sui social network e anche sulla pagina ufficiale Facebook del cantautore romano. Qualcuno (letto con questi occhi) si è spinto a lamentarsi che quel 2 aprile 1976 al Palalido di Milano De Gregori non sia stato preso a bastonate vere e proprie. Insomma, che la giustizia proletaria non l’avesse messo a tacere per sempre. Già, quel 2 aprile 1976, quando durante un concerto Francesco De Gregori venne sequestrato con le pistole dai camerini, portato sul palco e sottoposto a un “processo proletario”. L’accusa? Aver tradito i compagni ed essere diventato un cantautore borghese, di destra, un fascista. In realtà di cominciare ad avere successo commerciale.
Sono passati più di trent’anni ma evidentemente certe persone sono ancora in giro. Ma cosa ha detto di grave De Gregori in questa intervista? Ormai l’avrete letta tutti: ha detto di non riconoscersi più in questa sinistra, in questo Pd e – udite udite – di non voler votare mai più. Non lo ha detto in realtà: la frase esatta è stata “Probabilmente non voterei. Con questo sistema, tanto vale scegliere i parlamentari sull’elenco del telefono”. E’ una ingiuria così grave davanti al fallimento totale di una politica che fa realmente passare la voglia di andare a votare? No, non lo è, è una ammissione di stanchezza come ce l’abbiamo tutti oggi, tanto più un uomo di una certa età che a certe ideologie e stagioni politiche ha dedicato l’anima e non se le ritrova più.
L’accusa, velata ma mica tanto, è quella di tradimento. Dicono infatti i parlamentari che gli hanno scritto la lettera: “De Gregori, però, non è un semplice artista: De Gregori è la nostra storia, anzi ‘la storia siamo noi’. Le prime manifestazioni, le prime feste, i primi funerali (come quello di Peppino Impastato)”. De Gregori appartiene a quel partito dunque e la colpa più grande di De Gregori è allora quella di dichiararsi uomo libero, uno che, pur definendosi in quella stessa intervista ancora uomo di sinistra e credere ancora negli ideali fondanti della vecchia sinistra, sa anche prenderne le distanze e criticare quello che ritiene sia criticabile. Farebbero bene costoro a riascoltarsi una splendida canzone intitolata Celebrazione che De Gregori pubblicò proprio nel quarantennale del 68:
“Ci sono posti dove sono stato
Mi ci volevano inchiodare
Ai loro anni ciechi e sordi
Ai loro amori raccontati male
A una canzone di quattro accordi
Ad una stupida cantilena
Ma tu davvero non te lo ricordi
Quando parlavi e sbadigliavi in scena”
E ancora:
“Ci sono posti dove sono stato
Dove il Piave mormorava
E la sinistra era paralizzata
E la destra lavorava
In certe stanche stanze
Dove discutono di pischiatria
Di terrorismo e di fotografia”.
De Gregori a quei posti non appartiene più, ha scelto la sua strada. Ha osato dire che il 68 non ha portato solo rose e fiori, anzi. Ma se dici così, in una Italia dove il muro di Berlino non è ancora caduto e probabilmente non cadrà mai, sei di destra. Non l’ha mai mandate a dire nelle sue interviste peraltro rare così come nelle sue canzoni che assai raramente toccano la politica: le cose che pensa, le dice. Il problema è che un cantante, un artista, non dovrebbe esprimersi proprio secondo quanti ieri lo hanno criticato. Vanno bene le canzoni, ma non si deve parlare. In molti, anche sul blog di Gad Lerner, lo hanno accusato di aver espresso dei concetti banali tipo questo, a proposito di cosa è oggi la sinistra: “È un arco cangiante che va dall’idolatria per le piste ciclabili a un sindacalismo vecchio stampo, novecentesco, a tratti incompatibile con la modernità. Che agita in continuazione i feticci del “politicamente corretto”, una moda americana di trent’anni fa, e della “Costituzione più bella del mondo”. Che si commuove per lo slow food e poi magari, “en passant”, strizza l’occhio ai No Tav per provare a fare scouting con i grillini”. Banali? Fastidioso sentirselo dire, certamente, ma assolutamente realistico. Una sinistra che è buona per tutte le stagioni e per tutti i trend modaioli. Dà fastidio probabilmente che in questa intervista De Gregori dica anche che alle ultime elezioni ha votato alla Camera per Monti e al Senato per Bersani: orrore, si legge, un uomo di sinistra non può votare per Monti. Meglio Grillo.
Dà fastidio che De Gregori dica che si sia perso più tempo dietro a Noemi invece che dietro l’Ilva di Taranto. Dà fastidio che dica “Pensare di eliminare Berlusconi per via giudiziaria credo sia stato il più grande errore di questa sinistra. Meglio sarebbe stato elaborare un progetto credibile di riforma della società e competere con lui su temi concreti, invece di gingillarsi a chiamarlo Caimano e coltivare l’ossessione di vederlo in galera”. Dà fastidio che dica: “Sono stufo del fatto che, appena si cerca un accordo su una riforma, subito da sinistra si gridi all'”inciucio”, al tradimento. Basta con queste sciocchezze. Basta con l’ansia di non avere nemici a sinistra”.
Banaiità? Vecchio saggio sputa sentenze? Ma per favore: quanto realismo e intelligenza invece. Qualcuno ha anche tirato fuori una sua vecchia canzone, Il cuoco di Salò, auccusandolo di aver sdoganato i repubblichini in passato. Era una poesia invece, dedicata al dolore di tutti gli italiani. Se poi vogliamo metterla su questo piano,che piano non è ma è pura interpretazione ideologica di parte, ricordiamo allora che De Gregori ebbe uno zio, partigiano cattolico, ucciso dai partigiani di sinistra. Quanto rancore, quanto astio. Si spiega solo con il fatto di aver detto di rispettare il governo Letta-Alfano, l’unico che, dice, era oggi possibile. No, non si può: il compagno che sbaglia va corretto nell’errore.
Dà fastidio che ci sia gente ancora libera, magari di dire cose su cui non si è d’accordo, ma che è impegnata fino in fondo a cercare la sua libertà e la verità: “Ma viene il momento in cui la realtà cambia le cose, bisogna distaccarsi da alcune vecchie certezze, lasciare la ciambella di salvataggio ed essere liberi di nuotare, non abbandonando per questo la tua terra d’origine” dice ancora. Parole formidabili che nessuno dice più. Non le dicono i politici, non le dicono gli intellettuali dei salotti televisivi. Dà fastidio chi ti sbatta in faccia la realtà in poche parole. La realtà ci deve piacere sempre, se no non è accettabile. Questa intervista è piuttosto l’analisi lucida di un uomo che aveva dei sogni e quei sogni sono stati adattati di volta in volta alla realtà, hanno dovuto prendere la propria via. La realtà è quella che dice lui, piaccia o no. De Gregori quando fa un’intervista crea sempre scompiglio, perché ci sputa in faccia la realtà. Ma alla fine di tutto forse quello che dà più fastidio è che De Gregori delle persone a cui crede e che gli piacciono ne ha ancora. Lo dice lui: “Papa Francesco, la più bella notizia degli ultimi anni. Ma mi piaceva anche Ratzinger. Intellettuale di altissimo livello, all’apparenza nemico del mondo moderno e in realtà avanzatissimo, grande teologo e per questo forse distante dalla gente. Magari i fedeli in piazza San Pietro non lo capivano. Ma il suo discorso di Ratisbona fu un discorso importante”.
Compagno De Gregori: perdoniamo il tuo errore, torna a cantare alla festa dell’Unità, le salamelle ti aspettano, il sol dell’avvenire sorgerà e nessuno ci dirà che la vita, quella vera, sta andando da un’altra parte.