Calangianus. Quando penso a Claudio Chieffo, all’amicizia che vi era tra noi pur abitando a centinaia di chilometri di distanza, mi convinco sempre più che è stato un gran dono quello che il Signore mi ha fatto, mettendolo sulla mia strada. E ogni volta che penso a lui capisco quanto sia vero ciò che dice Papa Francesco in un suo scritto “ amiamo la nostra storia”.
La nostra è un amicizia che nasce all’improvviso alla fine degli anni ‘70. Claudio, turista in Sardegna, viene a sapere che c’è una piccola comunità di CL in Gallura, nel nord dell’isola. Ci vuole conoscere. Arrivò, nel mezzo di una giornata di convivenza, con la sua famiglia, su un camper, in un giorno di luglio. Fu subito immediata simpatia. Fui ben felice di incontrarlo perché, senza conoscerlo ancora, le sue canzoni ti aiutavano a sentire il fascino e la bellezza della esperienza cristiana che ti era stata proposta, a liberarti di moralismi inutili, ad apprezzare la fede dei padri, a guardare con nostalgia, profonda ma vera, e ad amare ancor più la realtà dove vivevi, la gente che incontravi. Fu un incontro davvero straordinario. Lui di te condivideva tutto e te lo attestava con un gusto e una prossimità non comune. Così parlavamo, dialogavamo sulle nostre famiglie, sulla vita di insegnanti di lettere alle medie e se gli chiedevi qualcosa sulla sua esperienza di cantautore, subito chiedeva a te della tua vita e delle tue passioni. Stupende le estati trascorse insieme con le famiglie, con la sua immediata disponibilità a cantare per i comuni amici. Se presentava le sue canzoni, anche alla fine di una cena, niente era per lui scontato. Perché le sue canzoni, con quelle parole, innanzitutto interrogavano lui: più le ripeteva e più voleva approfondirne il significato. Se ne sentiva sempre provocato. Ti accorgevi che dentro il cuore qualcosa lo scuoteva, non voleva tradire le sue canzoni, ciò che gli nasceva dentro. Voleva far fruttare al meglio quei talenti che il Signore gli aveva dato. Per me vederlo, anche nelle cose semplici, così teso verso l’ideale, costituiva una grande lezione di serietà verso la mia storia, verso l’esperienza che si viveva, verso le cose che nella vita ti gratificavano. Se prendeva la chitarra, mai una esibizione fine a se stessa, ma cantava prima per sé e tu che ascoltavi, non potevi non porti qualche domanda.
Quando per me ci fu il gran dolore per la morte di mio figlio Antonio di 5 anni, Claudio mi fu tanto vicino e dedicò, anche a mio figlio, una canzone: Gloria. Un abbraccio grande d intenso il suo che superava le distanze.
Se parlava di don Giussani mostrava una sensibilità straordinaria di figlio, un grande affetto, quello che si ha verso un padre amato e stimato. Quanto invece soffriva, se intuiva che una sua azione, per qualcosa che aveva detto o fatto, vivendo gli innumerevoli rapporti per i suoi concerti in ogni dove, potesse amareggiare don Giussani.
Poi un giorno, mi arrivò una sua telefonata, improvvisa e tremenda, e ho capito allora quanto era vera la sua amicizia: “Pietro sono malato, prega per me”. Mi sentii morire dentro e pensavo alle parole che in tante occasioni fra noi ci eravamo scambiati: era arrivato il tempo di verificarle. Volevo andare a trovarlo a Forlì con mia moglie ma lui “ Guarda – mi disse- devo scendere verso Roma. Vieni con Paola su, ci incontriamo a mezza strada così festeggiamo con Marta l’anniversario di nozze”. Che entusiasmo anche allora, pur segnato dal male. Nel suo cuore sempre una grande speranza e poi quel grazie ripetuto per il dono di Marta e dei figli, davanti all’ultimo dei suoi amici, in un pranzo di festa. Concludemmo la giornata andando con le mogli a Vitorchiano. Per me quelle ore in monastero furono come una consegna che mi diede: occorre mettersi davanti al Signore; la strada è difficile per ognuno di noi, ma occorre ogni giorno lodare il Signore e chinare la testa davanti al Mistero. Poi arrivò il 19 agosto 2007.
Mesi dopo, mia moglie Paola iniziò il suo calvario. Si spense due anni dopo, anche lei, il 19 agosto. Questa coincidenza del 19 agosto è qualcosa che mi ha interrogato da subito e mi lega sempre più a Claudio. La fede mi provoca a uno sguardo diverso su una data che ha ancor più attualizzato la nostra amicizia, che mi sprona a perseverare e cercare la verità di me con quello spirito di purità e di grande sensibilità che Claudio aveva nel cuore.
Che bello sentire ancor viva nell’oggi la sua amicizia e riascoltare, nelle stagioni della vita che scorre, le sue canzoni. Talvolta la sua voce me lo riporta davanti, mi aiuta a capire le parole di don Giussani così come siamo provocati da don Carron . Le sue canzoni mi invitano a penetrare ancor di più il Mistero, mi richiamano nell’anno della Fede a permanere in questa strada ed ogni volta che le sento, mi aiutano a fissare lo sguardo in alto, a capire ciò che conta nella vita. Chi le ha pensate, scritte , musicate, cantate per la prima volta alimentava dentro di sé un’ascesi per vivere al meglio la proposta affascinante che da giovane gli era stata fatta. Pensare a Claudio oggi è anche avere davanti la testimonianza di ciò che ci veniva mesi fa richiamato: “La sequela è il desiderio di rivivere l’esperienza della persona che ti ha provocato nella vita della comunità, è il desiderio di partecipare alla vita di quella persona”. Questo metodo della sequela, che viene oggi a noi riproposto da don Carron , l’ho visto presente nella vita di Claudio quando si riferiva a don Ricci e don Giussani. Ogni sua nuova creazione era una ricerca del vero senso delle cose, ben consapevole dei suoi limiti. Alcune delle più belle canzoni di Claudio allora sono, anche oggi, in una condizione di vita ben diversa da quella in cui ci incontrammo, un attuale e serio aiuto al mio vivere. Ne ringrazio il Signore. Mi descrivono nella fatica, negli entusiasmi, nei tradimenti, nello smarrimento, nelle pause, nel mio andare verso la Verità. Dove Claudio è già.
(Pietro Zannoni)