Non è la prima volta che Paolo Jannacci viene al Meeting di Rimini. C’era venuto per accompagnare il padre Enzo in un applaudissimo concerto, c’era venuto con i suoi musicisti per presentare la sua musica, un jazz di alta classe che da sempre lo contraddistingue. Quest’anno però, a soli cinque mesi dalla scomparsa di Enzo Jannacci, la sua presenza avrà ovviamente un sapore particolare. “Non pensavo di riuscire a venire” racconta a ilsussidiario.net “perché in quel periodo ero già altrove con la mia famiglia. Ma ho deciso di venire lo stesso, al costo di prendere tre aerei per riuscire a essere a Rimini in quei giorni”. Dal primo momento che ci sono venuto, dice ancora Paolo, “il pubblico del Meeting è stata subito una scoperta inaspettata, una grande gioia nel trovare un tipo di ascolto così attento, educato, trovare amici così interessati e intensi. Ci vado sempre volentieri ed ecco perché non potevo mancare anche questa volta”.



Hai da poco pubblicato un nuovo disco, ci spieghi che tipo di approccio musicale hai affrontato questa volta? 
Si intitola “Allegra” che è il nome di mia figlia e infatti è dedicato a lei. Diciamo che è una evoluzione del disco precedente, e anche una evoluzione della mia formazione classica, il tiro, perché questa volta è stato inciso con molti ospiti diversi. In un brano c’è anche una orchestra. Ospiti eccellenti come Enrico Intra.



In che senso lo definisci una evoluzione? Una evoluzione sonora? 
Nel senso che la base è quella solida, quella del tiro con cui ultimamente abbiamo sviluppato un suono ulteriormente raffinato. E poi evoluzione perché avendo potuto contare su tanti ospiti diversi ci sono più suoni, è più articolato.

Da sempre ti sei esibito in formazioni diversi: in trio, in duo, in quartetto… qual è la dimensione dove ti trovi più a tuo agio? 
La dimensione preferita è senz’altro quella in cui meno si è e più c’è intimità. Il trio e il duo sono le dimensioni che in questo momento mi piacciono di più.



Spiegaci cosa intendi esattamente. 
E’ una cosa che vale sia in studio che dal vivo. Con il trio non ci guardiamo neanche più negli occhi, suoniamo con un affiatamento talmente pazzesco che le cose vengono da sole. Sono suoni diversi, ma il grado di intimità e di intensità è molto forte anche con il duo.

Sarai ospite nella serata conclusiva del Meeting, ci puoi anticipare che cosa farai? 
Farò senz’altro due o tre brani. Uno sarà legato alla storia del Paradiso perduto di John Milton che mi piace molto. Sai, la storia di questi due arcangeli, uno più luminoso dell’altro direbbero i teologi, che litigano e uno dei due viene cacciato dal paradiso e regna sulla terra, ma sulla terra vive con il dolore del senso di perdita del Paradiso. E’ il poema di Milton che ho ripreso e musicato alla mia maniera ovviamente. Farò senz’altro anche un omaggio a papà, ma ancora non so quale pezzo farò. E poi voglio fare una sorta di augurio.

Un augurio? Che tipo di augurio? 

Un augurio a tutti noi di trovare il sereno dopo le varie tempeste che ci affliggono, quindi vorrei farei Over the Rainbow che in questo periodo faccio spesso e quindi la proporrò anche al Meeting. 

 

Al Meeting ci sei venuto con tuo padre, ci sei venuto da solo. Adesso ovviamente sarà diverso dalle altre volte, sarà emozionalmente un momento particolare, visto il legame che c’era tra il pubblico del Meeting ed Enzo. Cosa significa per te tornarci? 
Il Meeting sin dalla prima volta è stata una scoperta da subito, una grande gioia nel trovare un tipo di ascolto e di amici così interessati e intensi. Ci vado sempre molto volentieri, infatti non potevo perché ero già via con la mia famiglia ma prendo lo stesso tre aerei e vengo lo stesso.
 

 

In questi mesi successivi alla scomparsa di Enzo per vari motivi mi è capitato di ascoltare un suo disco in particolare, “Milano 3 6 2005”. Credo che in questo disco ci siano le interpretazioni più forti e più commoventi di tutta la carriera di tuo padre. Anche per te che lo hai prodotto è così? 
E’ un disco che nacque per un progetto preciso, papà voleva rifare tutti i suoi pezzi cantati in milanese, almeno quelli che a lui piacevano di più. Lui li ha rifatti come li avrebbe voluti fare negli anni  ‘60, con la voce più sostenuta e più ricca timbricamente che aveva allora. Ha fatto un capolavoro grazie alla maturazione quarantennale, ha ricantato le sue cose, quello che era il suo territorio all’ennesima potenza. Personalmente ho cercato di fare la cosa più semplice e più forte dal punto di vista emotivo legata alle dimensioni degli strumenti acustico. Credo sia il disco più bello che mi sia venuto e sono felice che tu abbia centrato questo aspetto: è il mio fiore all’occhiello e lo tengo sempre nel cuore. 

 

C’è un artista italiano oggi che ti piacerebbe produrre? 
La musica quando è fatta con il cuore è bella tutta. Non ho avuto nessun tipo di richiesta da parte di cantanti forse perché pensavano fossi legato a papà e basta, però non ho preclusioni, a parte Paolo Conte che è quello più vicino a Enzo e con cui mi piacerebbe lavorare, non ho nessuno da escludere. 

 

A diversi mesi dalla scomparsa di Enzo abbiamo ancora tutti davanti agli occhi quelle immagini formidabili della camera ardente e del funerale, quando un popolo intero si è mosso per recargli l’ultimo saluto. Gli artisti sono tanti, ma pochi riescono a toccare così la coscienza di un popolo come ha fatto Enzo. Secondo te perché è riuscito in questo? 
Perché ha dimostrato di essere coerente con le sue scelte. Papà non è mai cambiato in nulla, è sempre stato fedele alle sue convinzioni. Ha dato un esempio che è quello di cui la gente ha bisogno, l’esempio a chi invece vive nella confusione che c’è oggi in Italia. La gente ha detto: ecco una persona di solidi principi. Ha sempre dimostrato rispetto per gli altri e poi ha fatto brani che a molti anche se non lo conoscevano o consideravano dal punto di vista personale, consideravano invece le sue canzoni. Ha accontentato tutte le persone di qualunque fede o idea politica, e ha sempre guadagnato il rispetto della gente.

(Paolo Vites) 

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