Un viaggio, una meta, un’utopia, qualcosa che magari non è esattamente reale ma lo può diventare grazie a ciascuno di noi. Perché un viaggio lo si può fare anche da fermi, muovendo però, e con forza, cuore ed anima. Basterebbe già questo a cambiare molte delle cose che ci circondano.
Ecco l'”Happy Island” di Hernandez e Sampedro, duo assai promettente che pubblica il suo disco d’esordio e lo fa parlando di posti più “mentali” che geografici. Posti che come ci suggerisce già la copertina, non vogliono raggiungere da soli, ma vogliono che qualcuno ce li accompagni, che l’autostop con il quale si spostano li circondi di compagni di viaggio pronti come loro a costruire, oltre che trovare, questa isola felice.
Un disco uscito qualche mese fa in maniera del tutto auto prodotta, che ha colpito subito nel segno e da poco è riuscito in veste più curata e con due pezzi in più per l’etichetta Route 61.
Il mare, questo è un protagonista importante; non è la west coast, forse è più semplicemente il mare adriatico, non l’oceano, magari è la riviera romagnola, ma che importa? Di certo i suoni rimandano a quelle coste e a quella musica: suoni aperti, ritmi quasi indolenti, note che si susseguono come amanti in contemplazione di un tramonto in riva al mare; già da qui parte il viaggio di Hernandez e Sampedro, dalla ricerca di musiche, tempi ed intensità lontane, tutti elementi dimenticati, forse sepolti nella frenesia dei nostri giorni sempre di corsa.
Il brano di inizio ci fornisce già alcune coordinate di questo viaggio: Turn on the light parla di oscurità, ma anche e soprattutto del momento di svegliarsi e di scrollarsi di dosso il buio, semplicemente accendendo la luce; si continua poi con una cavalcata in spazi aperti, Don’t give up your dreams, perché ci sono dei chilometri da fare, non importa come, se a cavallo o su una moto, quindi ecco un perfetto mix tra country e rock stradaiolo a farci dare gas e a portarci avanti, perché biosgna spostarsi e correre se non vogliamo rinunciare ai nostri sogni.
La title track è emblematica di tutto il messaggio che permea l’album: il riferimento all’isola allude alla protezione che deriva dall’essere circondato dal mare, ma anche ad una solitudine da combattere, riempiendo l’isola di persone, di quelle persone che come noi cercando dalla vita determinate cose, non così facili da ottenere. Solitudine che è ben più facile trovare nell’asfalto e nel cemento della nostra attualità che non in mezzo alle onde.
È importante sottolineare la bellezza delle armonie vocali dei due cantanti: due voci che si fondono perfettamente assieme, completandosi, quasi a voler dare per primi l’esempio di come, per raggiungere un obbiettivo, una meta, l’unione e la collaborazione facciano sempre la forza.
Cielo ed acqua la fanno da padrone in Sky, Water and me, ma quel “ed io” che fa capolino dal titolo è una chiara dichiarazione di esistenza, io ci sono, io sono vivo, in questa isola circondata da cielo ed acqua, io, uomo, mi prendo cura dei miei sogni, perché grazie a loro vivo e sopravvivo; ecco allora che l’isola in questo caso è sinonimo di me stesso, io sono la mia isola, io devo difenderla e difendermi, grazie alla forza con la quale proteggo i miei sogni.
Gli elementi della natura vengono spesso richiamati, già dai titoli delle canzoni, proprio per rimandare a epoche in cui era la natura stessa a dettare i tempi, epoche in cui la vita si affrontava con maggiore serenità, anni in cui si era capaci di fermarsi e vivere davvero cosa ci accadeva attorno, invece di vederlo di sfuggita come da un finestrino.
Non può mancare quindi la pioggia, che lava, che nasconde o amplifica il nostro dolore, che spazza via cose, buone e cattive, che trasforma ciò che si sta attorno, che dà vita, come potrebbe mancare la pioggia nella nostra isola felice?
Esattamente come la pioggia, ecco la luce, che rifacendosi al buio del brano di apertura viene salutata come illuminante, non solo per gli occhi: un raggio che ci apre verso l’altro, per l’amicizia, la complicità e l’amore che servono per andare avanti ogni giorno. Una luce che ci fa trovare la strada anche nei momenti più difficili, quando appunto il buio sembra imbattibile.
Arriva però anche il freddo, arriva anche al mare. E qui non si tratta di film in bianco e nero visti alla tv, qui parliamo di freddo dell’anima, di quel freddo che ci gela il cuore, in questa città così dannatamente ghiacciata (Cold cold cold in this town) da renderci immobili e incapaci di vivere ma solo di provare a resistere al clima.
Serve una svolta, serve una botta di vita, serve una Kinky Queen: signore e signori, una cavalcata elettrica tra Neil Young e Johnny Cash, per sciogliere il ghiaccio dentro il cuore, un saloon malfamato, del pessimo whisky su tavolacci di legno ed un violino che cerca di calmare la tensione che c’è nell’aria; tutto inutile, scoppierà inevitabile la rissa tra ubriachi, gente dal cuore spezzato, ladri e fuggitivi, mentre la band continua a suonare il suo ritmo incalzante.
Nel contrasto tra la parte più dolce e quella più dura (di una donna, di una scelta, di una vita) si cela forse il segreto della felicità, nel saper trovare l’equilibrio tra gli estremi; saper affrontare il risveglio dopo una notte di eccessi, nonostante la sbronza e rimettersi in cammino, saper continuare a guardare avanti con ottimismo nonostante le delusioni.
E immancabile arriva lui, l’oceano, il mare, l’immenso catino dove perdersi, affogare, ma anche sparire e reinventarsi. Un luogo dove possiamo affrontare la quotidianità, la realtà, ma anche uno spazio immenso che può contenere i nostri sogni.
Una chiusura meravigliosa, per un album affascinante: davanti all’oceano, mentre sfumano le note, Hernandez e Sampedro recuperano e riscrivono in chiave acustica (ed ovviamente seventies) I believe in miracles dei Ramones, perché alla fine sta tutto lì, nel credere ai miracoli e nel lavorare duro perché questi avvengano. Sappiamo che esiste un’isola felice, è dentro ognuno di noi e sta solo a noi tornarci il più spesso possibile, facendoci arrivare più persone possibili, affinché non più di isola, ma di arcipelago si possa parlare. Un percorso lungo, difficile ma terribilmente affascinante, simboleggiato dall’inserimento della frase di Iggy Pop: sono un passeggero, e viaggio, e viaggio. Non sono più un uomo solitario, cantava la famiglia Ramone, ed è questo il miracolo che ci può portare tutti nell’isola felice, il rendersi conto che nella confusione dei nostri giorni, nessuno di noi deve sentirsi solo, ma circondato da più persone possibili che come lui hanno negli occhi e nel cuore un pezzo di terra circondato da un mare di amore e tranquillità.
(Il Cala)