Strana traiettoria artistica, quella di Neko Case. Inserita più o meno forzatamente in quel calderone che negli USA definiscono dell’”alternative country”, era arrivata alla ribalta delle scene quando l’etichetta Anti-, una delle label più lungimiranti ma anche più in voga del panorama musicale indipendente, l’aveva messa sotto contratto. Alla firma, la giovane musicista canadese ci era arrivata grazie alla pregevole fattura di Blacklisted, dato alle stampe nel 2002 e riedito proprio dalla Anti- nel 2007. 



Blacklisted era stato un piccolo gioiello. Un disco oscuro e vagamente desertico, dove ad assistere la rossa chanteuse si alternavano i leader di due delle formazioni che più hanno saputo unire la tradizione e le spinte indipendenti negli ultimi quindici anni. Stiamo parlando di Joey Burns e John Convertino dei Calexico e di Howe Gelb dei Giant Sand. E chi dei lettori non li conosce, dovrebbe correre seduta stante a catturarne l’intera discografia.



Di suo, la Case – auto definitasi artista “country-noir” ci aveva messo un piglio da storyteller non comune, una buona dose di sensualità e la capacità di costruire melodie non banali ma al contempo dirette e mai troppo arzigogolate. Il risultato era stato un ottimo disco, che le spalancava le porte della critica e le offriva un contratto nuovo di zecca da firmare senza pensarci troppo.

Il nuovo sodalizio con la Anti- avrebbe portato i suoi frutti quattro anni più tardi. È il 2006 quando la Case dà alle stampe l’eccellente Fox Confessor Brings The Flood, un disco ancora più maturo del precedente dove la musicista canadese appare ancora più sicura del passato come autrice, sfoderando una scrittura magnetica e con gli stessi riverberi misteriosi di un opale nero. Ad accompagnarla erano gli stessi protagonisti dell’album precedente più un ospite d’eccezione, ossia Garth Hudson. La presenza del poderoso e barbuto tastierista, protagonista della rivoluzione musicale portata avanti fra la seconda metà dei Sessanta e la prima dei Settanta da quel gruppo seminale e grandissimo che fu The Band, sembrava il battesimo nel mondo dei grandi. Fu un giusto successo di critica e tutto sommato anche di pubblico, che premiò il disco della Case come il quarto disco indipendente più venduto dell’anno. 



Nel frattempo, interessanti sono le comparse della rossa cantautrice nei dischi dei New Pornographers, formazione canadese dall’organico aperto e con la quale fra il 2000 ed il 2010 realizza cinque ottimi dischi di power pop, almeno uno dei quali, Challengers (uscito nel 2007), sarebbe da procurarsi ad ogni costo. E proprio l’esperienza coi New Pornographers avrebbe contribuito alla svolta imminente dello stile della Case.

Il suo nome cominciò a circolare non più nella stretta cerchia degli appassionati ma si fece largo anche fra il grande pubblico. Così, quando nel 2009 la canadese dà alle stampe il nuovo disco Middle Cyclone, questo debuttò sorprendentemente raggiungendo la posizione numero 3 di Billboard. Un risultato quasi inimmaginabile per un disco indipendente. Peccato che Middle Cyclone fosse artisticamente un gran bel bluff. Un vero e proprio passo falso, dove la scrittura profonda, meditativa e oscura della Case cedeva il passo ad un piglio più pop ma al contempo più sfocato, dove anche il lavoro musicale degli illustri collaboratori (ancora una volta Gelb e Hudson, cui stavolta si aggiunsero M. Ward e Lucy Wainwright Roche) veniva sepolto sotto una produzione a grana grossa, che non aiutava le già fragili canzoni del disco. 

Ed eccoci ai giorni nostri, con il freschissimo The Worse Things Get, The Harder I Fight,Tthe Harder I Fight The More I Love You, laddove la lunghezza quasi esasperante del titolo fa da contraltare ad un disco che definire a due facce è poco. Già, perché la Case – che nel frattempo ha subito una metamorfosi anche estetica, lasciando da parte le movenze sensuali che ne caratterizzarono i primordi della carriera (con tanto di servizi fotografici realizzati quasi in desabillée per alcune riviste musicali) e passando a più rassicurante casalinga coi capelli scarruffati che interviene a programmi di cucina in televisione – da un lato persevera nel cercare soluzioni decisamente figlie del pop del precedente Middle Cyclone, orientate ad un suono decisamente mainstream e quasi radiofonico, ma dall’altro mostra nei testi – e, in parte, in una scrittura più a fuoco dell’episodio precedente – un’inquietudine che accompagna come filo rosso i dodici brani del disco (fra i quali una cover di Afraid di Nico, canzone della quale l’anno scorso la torinese Lalli realizzò una versione memorabile nel live “Èlia in concerto” che, pur non c’entrando nulla con Neko Case, è un dovere morale procurarsi).

Difficile comprendere come si possano conciliare la rabbia che trasuda dal testo di Man con una musica sciocchina ed inutilmente gonfiata, o le suggestive immagini di City Swan con quella batteria pompata ed i magniloquenti tappeti di tastiere. 

Altrove, invece, come nella scarna e quasi minimale Nearly midnight Honolulu o nella iniziale e meditativa Wild Creatures (che soffre tuttavia degli eccessi produttivi di tutto il disco), la Case sembra tornare a centrare il bersaglio come in passato, sebbene le atmosfere e l’orientamento generale sembrano ormai più orientati alle atmosfere pop, figlie certamente anche della ricca esperienza con i New Pornographers, che al country gotico di Blacklisted Fox Confessor Brings The Flood, certamente i lavori più suggestivi e personali dell’artista canadese. 

Insomma, The Worse Things Get, The Harder I Fight,Tthe Harder I Fight The More I Love You è un disco non perfettamente a fuoco ma che offre comunque momenti interessanti e piacevoli, nell’attesa di scoprire la direzione verso la quale la Case si muoverà nell’immediato futuro. Direzione che, ci sentiamo di dire conoscendo l’istintività e la imprevedibilità dell’artista, potrebbe riservarci per il futuro delle sorprese migliori.

(Gabriele Gatto)