Riuscirà il decreto legge “Salva Cultura” a tirare le fondazioni liriche fuori dal dissesto finanziario? Gli economisti sono scettici: dalla metà degli anni Sessanta, insegnano il “morbo d Baumol e Bowens” – teorizzato da William Baumol in un appartamento di Trastevere durante un anno sabbatico a Roma. Ambedue appassionati (Baumol appassionatissimo) di teatro d’opera, ne vedevano il declino: in un settore dove non c’è progresso tecnologico si diventa sempre meno competitivi rispetto a quelli dove invece c’è. Oggi per mettere in scena un’opera di Verdi o Wagner, ci vuole lo stesso organico di quando i compositori le redigevano (e gli spettatori non si accontentano più di scene dipinte) ma in termini reali i costi di produzione sono aumentati vertiginosamente. Ergo, secondo Baumol e Bowens, se non si vuole chiudere bottega,è essenziale il supporto pubblico. Il supporto è difficile averlo se il pubblico non è assuefatto a questa forma di spettacolo, oppure se non è pronto ad affollare i teatri, pagando di tasca propria e sostenendo il supporto politico.
In Italia da anni sta cominciando a mancare il pubblico perché le nuove generazioni non sanno cosa è l’opera. Un quadro ben diverso in Estremo Oriente (dove si stanno completando cento nuovi teatri per l’opera e la sinfonica occidentale), in Germania ed Austria (dove in sei settimane ci sono stati 286.000 spettatori, circa 30 milioni di euro di incassi di biglietteria, elargizioni liberali de-fiscalizzate per 15 milioni da sponsor ed “amici” e contributi pubblici per 13 milioni) ed in Europa centrale (a Budapest ci sono due spettacoli d’opera al giorno, a Praga tre).
Tuttavia, la tecnologia (specialmente quella digitale) sta apportando innovazioni che Baumol e Bowens non potevano prevedere. Si è iniziati con scene non costruite ma proiettate: ricordo ancora una bellissima Aida concepita da Giancarlo Del Monaco a Washington e che ha fatto il giro del mondo in un Cd-rom in cui le scene erano geroglifici da tombe egiziani ed un coro di venti persone dava l’impressione che in scena ce ne fossero 200. Hanno, poi, iniziato i cinema: specialmente in piccole città (un ruolo importante hanno in Italia il circuito ‘Microcinema’ e il circuito ‘Nexodigital’) hanno iniziato con serate di teatro in musica utilizzando DvD in una prima fase e poi riprese dirette (non sempre di buona qualità visiva). Circa cinque anni fa, il Metropolitan Opera ha cominciato una “stagione” di 12 opere l’anno in HD in diretta ed in 1700 sale. La prossima inizia l’8 ottobre con Eugene Onegin di Tchaikovsky , e prosegue con Il Naso, Tosca, Falstaff, Rusalka, Il Principe Igor, Werther, La Bohème, Così Fan Tutte, La Cenerentola; per sale e prenotazioni rivolgersi a www.microcinema.eu .
Un’altra strada è stata quella di regie affidate a registi cinematografici per spettacoli destinati ad essere rappresentati in teatro ma presentati, sia in contemporanea che successivamente, nella sale cinematografiche ): tre anni fa la “Lucrezia Borgia” di Gaetano Donizetti è stata presentata dall’ English National Opera (Eno) in diretta TV HD e 3D in mondovisione.
L’allestimento, affidato a Mike Figgis, regista cinematografico della “nuova scuola” britannica ma già molto noto a livello internazionale, è stato concepito per il tridimensionale: i cantanti sono stati scelti anche perché hanno le physique du rôle, l’impianto scenico accentua prospettive profonde e brevi filmati illustrano l’antefatto e mostrano ciò che sul palcoscenico è difficile fare vedere (nella fattispecie, le orge del 70enne Papa Borgia con alcune ninfette). Visto dal vivo, nel vittoriano Eno, lo spettacolo ha senza dubbio effetto e porta un pubblico nuovo al teatro, nonostante “Lucrezia” sia uno dei titoli meno noti della vasta produzione di Donizetti e abbia un intreccio difficilmente plausibile. Una curiosità: per la prima rappresentazione dell’opera alla Scala nel 1833, l’orchestra venne sistemata in buca, per la prima volta, come lo è adesso.
In effetti, non basta prendere un DVD anche di qualità e proiettarlo in televisione e nelle sale. Lo spiega a tutto tondo Patrice Chéreau in uno dei DVD del cofanetto relativo Der Ring Des Nibelungen, realizzato (allora con molto clamore) nel 1976-80 ed adattato nel 1980 al canale culturale franco-tedesco ARTE; occorre ripensare lo spettacolo per il nuovo strumento e se del caso concepirlo sia per la scena sia per il video come è stato fatto per il Don Carlo presentato a Salisburgo, privilegiando speditezza dell’azione, tempi minimi per i cambi scena, la possibilità di primi piani e di piani all’americana. Essenziale, poi, avere cantanti con l’aspetto fisico adatto ed in grado di recitare in video e scene, anche semplici, ma che siano efficaci.
Il decreto andrebbe emendato: meno supporto per tenere esuberi in masse anche artistiche, maggiore enfasi sulla produzione e all’innovazione e premi alle fondazioni che innovano ed attirano nuovo pubblico.