Per una di quelle rare coincidenze del destino, proprio sabato 21 settembre, mentre un grande compositore contemporaneo, Krysztof Penderecki, si apprestava, nel Chiostro della Basilica Inferiore di Assisi (un’area raramente aperta al pubblico), a celebrare i propri ottanta anni con un concerto nell’ambito della Sagra Musicale Umbra, un altro grande musicista, compositore e musicologo, venuto dall’est, Roman Vlad, terminava a 93 anni la propria avventura romana. Pochi giorni prima, Vlad aveva donato alla Fondazione Cini il suo immenso archivio –fonte essenziale per studiare l’evoluzione della musica nella seconda metà del Novecento.



Ci sono, naturalmente, differenze ma anche nessi tra queste due gigantesche figure del mondo della musica che in Occidente e in Italia (Vlad diventandone cittadino nel 1952) tanto hanno dato. Il più “anziano” si trasferì a Roma nel 1938 per studiare (con Casella) all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Il più anziano, nella Polonia “a socialismo reale”, riuscì a fare il suo primo viaggio all’estero, grazie a una borsa di studio, proprio nel nostro Paese. Vlad ha scelto l’Italia come sua Patria (dopo la seconda guerra mondiale, la città dove era nato era stata ceduta all’Ucraina). Penderecki, diventato ancor giovane uno dei protagonisti della musica contemporanea mondiale (ricordo agli inizi degli Anni Settanta il successo nella sua Passione Secondo San Luca alla National Symphony di Washington), doveva essere “tollerato” dal regime comunista in Polonia, nonostante fosse amico intimo di Lech Walesa e di Karol Wojtyla, e lasciato essenzialmente libero di concertare in tutto il mondo e di comporre anche un’opera per il bicentenario della Costituzione degli Stati Uniti d’America. Penderecki parla perfettamente italiano, è stato spesso in Italia sia in visita del suo grande amico Wojtyla sia come direttore d’orchestra (è stato spesso sul podio dell’Orchestra Sinfonica di Roma) per gli allestimenti di sue opere – ricordo una dozzina di anni fa “I Diavoli di Loudon” al Regio di Torino).



C’è un nesso più profondo. Vlad e Penderecki hanno attraversato la storia musicale della seconda metà del Novecento, un periodo ancora tutto da approfondire che ha visto il breve spazio della seconda scuola di Vienna e della dodecafonia (Vlad ha scritto un saggio fondamentale in materia), il sorgere di esperienze come Darmstadt e l’Ircam, il minimalismo, le influenze dall’Estremo Oriente, un rilancio della “musica dello spirito” (a cui la Sagra Umbra è dedicata), la nascita della live electronics e dell’elettro-acustica (e il loro ridimensionamento) e l’approdo di numerosi compositori verso un linguaggio post-romantico pluralista (che attira il pubblico nelle sale da concerto e nei teatri d’opera).



Ed è proprio da questo linguaggio che il vostro “chroniqueur” vuole prendere lo spunto per parlare del concerto di Penderecki. Il compositore ha scelto sue composizioni soltanto nella prima parte, spulciando tra quelle apparentemente di più facile ascolto (Serenata per orchestra d’archi, Adagietto dall’opera “Paradise Lost”, Sinfonietta n.2 per flauto e orchestra), ha dedicato la seconda parte alla Seranata in mi maggiore di Antonin Dvorák (un autore da lui profondamente studiato) per concludere con un “fuori programma”: la Ciaccona per Papa Giovanni. Penderecki ha diretto con grande sapienza l’Orchestra da Camera da Perugia, sottolineando la severità della Passacaglia nella Serenata per Archi , il tono elegiaco turbato da inquietudine nell’Adagietto, i contrasti nei quattro movimenti (eseguiti senza soluzione di continuità) della Sinfonietta, gli echi di musica folcloristica slava nella Serenata di Dvorák. Davvero commovente e toccante l’inattesa Ciaccona per Papa Giovanni. Grande successo mentre sulle colline e sulle piane dell’Umbria di San Francesco (il concerto è durato dalle 16,30 alle 18) rosseggiava un magnifico tramonto.