In tempi non digitali, quando usciva un disco che interessava si correva ad acquistarlo il giorno dell’uscita, così da poterlo commentare subito con amici, colleghi, musicisti. Come comprare il giornale alle tre del mattino, appena arrivato in edicola, e credere di essere in anticipo sulla vita.

Riti ormai dimenticati. Negli anni mi ero stabilito delle priorità, naturalmente legate ai miei gusti. Alcuni autori andavano acquistati a scatola chiusa. Il mio podio di imprescindibili era così composto: Weather Report, Pat Metheny, Sting. Non necessariamente in un ordine terzo-secondo-primo. Ma Gordon Sumner era lì. Così all’uscita di questa nuova prova del sessantaduenne artista di Wallsend, vicino Newcastle, non ho esitato ad ascoltare l’album tutto d’un fiato, come ai vecchi tempi. Non a caso ho puntualizzato subito sessantaduenne e di Newcastle, perché questi sono i due argini su cui si snoda il lavoro: un’età – anagrafica ed artistica – matura e un tuffo consistente nelle proprie radici.



Non è quest’ultimo un dato nuovo: a intervalli più o meno regolari i riferimenti autobiografici sono stati sempre presenti nella produzione di questo artista, come pure i riferimenti a mondi musicali folk, nel senso più lato che si possa immaginare. Piuttosto recente è il lavoro “If On A Winter’s Night”, uscito a Natale 2009, in cui uno Sting barba-munito e dotato di regolare maglione a collo alto ripescava canzoni tradizionali in veste rigorosamente acustica. Inoltre strumenti acustici e tradizionali sono presenti a sprazzi in tutte le sue produzioni. Ma il lavoro a cui questo “The Last Ship”  è legato a filo doppio è senza dubbio “The Soul Cages”, del 1991, che oltre ad aprirsi fin dal primo solco con il suono delle amate Uileann Pipes – cornamusa a mantice dal suono evocativo e malinconico – era incentrato sugli stessi temi portanti: la nave, il padre, il viaggio, la vita. I cantieri navali in via di dismissione e il padre che vi aveva speso la vita; il figlio che vorrebbe prendere il padre e condurlo in un ultimo grande viaggio; tutto questo era già presente 22 anni fa nella bellissima Island of Souls, brano di apertura di Soul Cages, andate ad ascoltarla, oggi si può con un click.

Il legame è esplicitato dallo stesso autore, che come si sa ha sempre amato le autocitazioni: l’isola e la gabbia dell’anima appaiono nel testo di Language of birds, canzone centrale del disco, di sapore fortemente celtico, in cui Sting disegna una sorta di suo paradiso, l’approdo del viaggio cominciato più di venti anni fa.

Come già accennato, il lavoro si snoda soprattutto facendo leva su atmosfere folk. Per sua stessa ammissione – se masticate un po’ di inglese, guardate su you tube il video in cui Sting presenta il lavoro – questo è il colore generale che si è voluto dare al disco, facendolo suonare un po’ come se fosse stato realizzato in un pub. I puristi storceranno il naso, perché questa potrà sembrare – ed in effetti un po’ è – l’ennesima operazione intellettuale. In ogni caso il clima è azzeccato in brani come Ballad of the Great Eastern, oscura ballata dedicata al grande ingegnere vittoriano Isambard Brunel, e soprattutto in What Have We Got, in cui appare come ospite Jimmy Nail. Altro duetto di spessore è quello con la voce vellutata di Becky Unthank nella bellissima So To Speak, in cui si parla della fine della vita di un malato, fra terapie e macchine, in un dialogo con questa voce femminile, che continuamente rimanda al tema della nave e dell’ultimo grande viaggio. Alla fine di questa canzone mi sono ritrovato con le lacrime agli occhi. E ho dovuto cercare ancora.

Scavando più a fondo, si scopre che il malato in questione è Father O’Brian, un prete, un personaggio che fa parte di una storia più ampia. Le canzoni di The Last Ship faranno parte di un musical che debutterà a Broadway nell’autunno 2014, la cui trama parte proprio dai cantieri navali di una città come Wallsend, che stanno per chiudere. Sarà proprio questo prete, Father O’Brian, a convincere gli operai a tornare nel cantiere e costruire la nave per il viaggio della vita.

Questo il disegno globale, che però ci è dato conoscere solo frammentariamente. Tornando alle canzoni, in And Yet sentiamo echi dell’amata bossanova, incastrata in riff di basso mascherati da Police. Poi troviamo un paio di delicati valzer-ballata, I Love Her But She Loves Someone Else e The Night The Pugilist Learned How To Dance, chitarra, fisarmonica e violino a farcire delicati bozzetti a pastello.

Mi accorgo di aver citato quasi tutte le canzoni, lasciando volutamente per ultimi i due capolavori maggiori. Practical Arrangement è una pura jazz-ballad, testo da brividi, implorazione di un uomo che chiede alla moglie di restare insieme anche se ci sono una serie di problemi. Un pezzo che può senza dubbio figurare fra i più grandi standard jazz, e non solo. E poi, a pari merito, o forse un gradino sopra, August Winds, confessione solitaria di un uomo che, contando le barche che escono dal porto e poi vi rientrano, in completa solitudine finalmente toglie la maschera che è stato costretto ad indossare per tutta la vita.

È ora di concludere, ho scritto anche troppo. Nell’intervista già citata Sting ad un certo punto dice che in questo lavoro racconta la sua storia attraverso la vita di altre persone. Guardatelo mentre lo dice, mentre finisce la frase indossando la faccia da furbetto che ben conosciamo. Dirà sul serio o per l’ennesima volta vestirà i panni di uno dei suoi personaggi? Quello che è certo è che in ogni caso qui quello che è fatto, è fatto veramente bene. A dieci anni dall’ultimo lavoro di inediti, l’ormai dimenticato Sacred Love, dopo le scorribande fra pezzi per liuto, dischi natalizi e pomposi ri-arrangiamenti orchestrali dei propri hits, Sting è tornato a sfornare canzoni con la C maiuscola, pezzi in cui i suoi mondi musicali di riferimento si sposano con la sua scrittura testuale scorrevole e pregiata, ricca di immagini poetiche, colorate magistralmente da suoni e arrangiamenti. Vedremo poi come tutto questo si incastrerà nel lavoro teatrale. Per ora godiamoci queste profonde canzoni: il disco esce oggi, vado a comperarmi l’edizione deluxe con 17 pezzi. Magari ci sarà altro ancora da scoprire. Tipo un ulteriore duetto con Brian Johnson, il cantante degli AC/DC. Allora buon viaggio anche a voi!