“Quando mi drogavo diventavo un mostro”: così ha detto di se stesso in una recente intervista Elton John, vittima soprattutto della cocaina per oltre vent’anni. Un mostro, ma anche un pessimo autore di canzoni: quello che era stato uno dei più brillanti musicisti della sua epoca, dall’esordio nel 1969 più o meno fino all’uscita del disco “Blue Moves” nel 1976 (in mezzo capolavori della storia della musica moderna come il disco con il suo nome del 1970, “Tumbleweed Connection”, “Madman across the water”, “Goodbye Yellow Brick Road”, “Captain Fantastic” e altri ancora) finì perso in una dozzinale e plastificata musichetta da Mtv. E’ interessante notare che a fronte delle vendite plurimilionarie in tutto il mondo del suo primo periodo, in Italia Elton John è conosciuto maggiormente per il suo periodo peggiore, quello degli anni 80 e 90, il che forse suggerisce una cosa o due sui gusti di massa del pubblico italiano.
Ma tornando a Sir Reginald, essere riuscito a disintossicarsi e a frequentare gli ambienti giusti, quelli ad esempio di musicisti giovani come Ryan Adams che lo hanno spinto a ripensare al suo periodo d’oro, piuttosto che stilisti di moda e principesse – anche quelle morte – lo ha riportato magicamente a fare nuovamente ottima musica. Certo, non paragonabile a quella della prima metà degli anni 70, ma il disco “Songs from the West Coast” del 2001 fu uno sbalorditivo ritorno alla forma con una collezione di canzoni di invidiabile classe. Alcuni dischi interlocutori, ma comunque di livello dignitoso quali “Peachtree Road” e “The Captain and the Kid”, poi nel 2010 una delle sue incisioni migliori di sempre, insieme al pianista Leon Russell, un altro gigante dei primi anni Settanta, oggi dimenticato, “The Union”: un disco che ci ha detto che Elton John, quello migliore, quello più autentico, era tornato fra noi e pure per restarci.
Questo ultimo scorcio del 2013 ci offre un altro asso da poker, calato quasi con indifferenza, che a John non interessano più le classifiche o Mtv, ma solo fare buona musica. “The diving board” prodotto come “The Union” dal miglior produttore americano, T Bone Burnett, per quanto riguarda i suoni vintage, ci offre un Elton John come nei suoi momenti migliori profondamente immerso nelle storie e nelle ambientazioni musicali del profondo sud degli States, a cavallo fra cultura gotica alla Flannnery O’Connor e memorie di un passato antico e scolorito, color seppia, dal vecchio West fino all’America degli anni Quaranta. Insomma una sorta di redivivo Randy Newman. Un disco profondamente malinconico dove con i testi del compagno di mille avventure Bernie Taupin John abilmente mescola le carte fra la propria cifra personale e quella di altri, portandoci in giro tra le strade polverose dell’Alabama o le chiesette di campagna della Georgia. Un disco dove il pianismo del musicista è messo in primo piano – ci sono ben tre brevi strumentali – come raramente in passato. Canzoni perdute nella memoria che evocano ombre e fantasmi, come quelli che abitano A town called Jubilee o quello del grande scrittore irlandese in Oscar Wilde gets out. Non ci sono brani di facile ascolto, c’è invece quella tensione fra mestizia, rimpianto e tanta, tantissima nostalgia. Il paragone che viene più spontaneo è allora quello con lo straordinario “Tumbleweed Connection”, altra ode magistrale a un’America uccisa dalla propria presunzione.
Strumentazione al minimo: basso, batteria, pianoforte, qualche tocco di chitarra elettrica, cori di colore in grande spolvero che tributano omaggio al gospel così profondamente nell’anima di Elton John. Colori autunnali dunque, il disco perfetto per questo scorcio dell’anno, da ascoltare di notte con un bicchiere di bourbon del Kentucky in mano con la dolcissima bellezza di The new fever waltz o il country appena accennato di Can’t stay alone tonight.
Un disco montato e smontato numerose a volte, chiuso e riaperto, segno della sana irrequietezza che a quasi 70 anni di età ancora anima Elton John. Disponibile anche in versione deluxe con alcuni dei pezzi eseguiti dal vivo. The bitch is back, come diceva Elton in un suo vecchio classico, solo che oggi non è più “the bitch”. E’ solo un anziano signore di campagna che ama raccontare storie antiche, e noi le ascolteremo con grande piacere.