Qui da noi è forse noto per la sua presenza sui dischi e nei concerti di Vasco, peraltro consistente e determinante un sound corposo e massiccio. O forse qualcun altro ricorderà che ha sposato la bellissima Maddalena Corvaglia, che un paio di anni fa gli ha anche regalato una figlia.
Tutto questo è realtà, ma soprattutto Stef Burns (all’anagrafe Stephan Birnbaum, classe 1959) è un musicista di razza, chitarrista elettrico di spessore e qualità, che vanta collaborazioni di alto livello. Oltre al già citato Vasco Rossi, se ne citi un poker di tutto rispetto: Sheila E., i Berlin (ricordate Take My Breath Away, su cui tutte avete sospirato in Top Gun?), Alice Cooper, Huey Lewis and the News.
Trentacinque anni di carriera, festeggiati in questo inizio di 2014 con l’uscita di un nuovo album solista, a nome Stef Burns League, che sarà nei negozi il prossimo 21 gennaio. Membri portanti del progetto, insieme a Stef alla voce e alle chitarre, sono il batterista olandese Juan van Emmerloot ed il tastierista italiano Fabio Valdemarin, a cui si aggiunge il bassista Fabio Tiranti. Sul disco appaiono anche altri tre bassisti, Faso (da Elio e le Storie Tese), Paolo Costa e il californiano Dan De Shara, oltre al tastierista Alberto Rocchetti, già con Vasco.
Il titolo Roots & Wings dice della volontà sia di scandagliare le proprie radici, essenzialmente rock, che di tentare aperture diverse, verso i vari mondi che fanno parte del gusto e del ventaglio di possibilità espressive di questo chitarrista.
Così si passa, in maniera per la verità molto godibile, dal rock sostenuto e coinvolgente del primo singolo (e brano d’apertura) What Doesn’t Kill Us, agli arpeggi eighties della successiva Something Beautiful, che ricorda qualcosa fra Bryan Adams e gli Yes di quell’epoca; continuando poi con lo scenario vagamente esistenzialista della strofa di Miracle Days, che esplode in un ritornello di yeah yeah yeah aperto ed ottimista, che alterna però subito un riff scuro che lancia poi un tipico assolo. La ballad farcita di archi Home Again indulge un po’ manieristicamente sul sentimento, aprendosi ad uno straight rock nel finale. Interessante anche se non originalissima, ma montata bene, la progressione armonica di Paper Cup, dagli echi vagamente funky. Con Cover You si torna invece ad un riff possente e rock, appena levigato nel pre-chorus da interessanti impasti vocali. Sky Angel aperta da un pianoforte con archi proveniente direttamente dall’era analogica, è il primo brano strumentale presentato, e ci fa ricordare che fu Steve Vai a raccomandare Stef ad Alice Cooper che stava cercando un chitarrista. Validi, ma meno notevoli i due brani successivi, Heaven is blue e Roots & Wings che pure dà il titolo all’intero lavoro, ma si appoggia su un riff rock-blues troppo già sentito. Altresì Us è il secondo ed ultimo brano strumentale prima della conclusiva Patience. Forse i due brani più riusciti del disco, la prima con accenni jazz-fusion, diversi cambi di scenario ed un notevole assolo di tastiera, la seconda che chiude il lavoro fra reminiscenze beatlesiane mescolate in un composito caleidoscopio di influenze.
In conclusione, un lavoro piacevole, che si ascolta volentieri ed in cui è divertente sia andare a rintracciare le diverse radici cui il titolo fa riferimento, che tentare di scoprire dove e quando le ali effettivamente prendono il volo, creando qualcosa di interessante e nuovo. In un tempo in cui i guitar heroes non riscuotono più il successo dei tempi in cui sui muri di Londra i fans scrivevano Clapton is God, Stef Burns prosegue per la sua strada, fatta di radici, di assoli ben strutturati e convincenti, del lavoro di un chitarrista che sa cantare, comporre e che speriamo ci farà apprezzare la sua musica forse anche maggiormente dal vivo, nell’imminente annunciato tour. Long live Stef!