Quella di Roberta di Lorenzo è la storia di una persona che è stata fortemente voluta e desiderata. La nascita dell’amore che impegna una vita o – come figlia attesa e inaspettata – qualcosa di cui prendersi cura e sulla quale scommettere. E’ quello che ha fatto Eugenio Finardi in veste di vero e proprio padre artistico della cantautrice molisana. E’ stato il grande cantautore milanese a scoprirla e ad accompagnarla nei suoi primi importanti passi. Inizialmente l’ha voluta con sé sulla strada poi ne ha prodotto l’esordio “L’Occhio della Luna” (2010), infine ha interpretato una canzone interamente scritta da lei, l’interessante E tu lo chiami Dio per il Sanremo del 2012.
Proprio quest’ultimo brano ha segnato una tappa ancora intermedia nella costante evoluzione dell’artista termolese. Quel primo album che nell’impronta ancora naif di certi episodi esibiva piccole perle come Anima dolce liquida e Faccia, viene seguito nel 2012 da “Su Questo Piano che si chiama Terra”, lavoro che comincia a metterne a frutto talenti e nessi musicali.
Un modo di porgere il canto che in maniera squisita ed elegante edita un tono dove fanno capolino i nobili riferimenti di Turci e Mannoia. E ancora un velato profondo e un assortimento di note lunghe che personalizzano quella frontiera tra sorriso, riflessioni e malinconie proprie di un’artista brava e misconosciuta dei nostri tempi come Andrea Mirò. Quest’ultima, ironia della sorte duetta con lei in una delle migliori e più ispirate canzoni del disco Menti distratte, un acquarello dolceamaro vestito di sottile ironia. In generale la scrittura assume una veste più definita e coerente in vari episodi degni di nota come Da qui, La vita che passa e Vivo di vento.
Ma è nell’anno appena trascorso che l’evoluzione musicale della Di Lorenzo sembra segnare un deciso punto di svolta. Il tema duro, scottante e sempre più tristemente attuale del femminicidio le ispira la musicalissima Polsi, grande prova d’autore dove i riferimenti del proprio curriculum danno vita ad un brano potente ed evocativo reso alla sua maniera, quella di una dignità profonda, asciutta e per certi versi trasfigurata piuttosto che quella dello scontro aperto tra mondi in opposizione.
Sulla strada che porta alla realizzazione del nuovo disco, questo inizio di 2014 vede la pubblicazione di un altro singolo che presenta un volto differente, divertito e più scanzonato, situazione appena sfiorata dalla produzione precedente della nostra. Esaurimento da web è un ritratto frizzante, vivace e pungente di una realtà come quella dell’immersione nell’interazione social che riguarda pressoché tutti, nessuno o quasi escluso ognuno con le proprie forze, debolezze, azzardi e vanità. Ne risulta canzone pop fresca, contagiosa e di agile e sottilissima scrittura come forse ancora mancava nel suo canzoniere. L’abbiamo incontrata in occasione della pubblicazione di questo singolo.
“Esaurimento da web” presenta il tuo modo di scrivere in forma inedita. In precedenza qualche momento più solare non era mancato ma non con questa vivacità che esibisce un piglio più sicuro e ironico. Qual è stato il percorso che nei due anni dal precedente disco ti ha portato a questa nuova fase?
Mi sono promessa di non volermi annoiare mai… Ho realizzato un disco classico “ L’occhio della luna” fatto di romanticismo e visioni oniriche, due anni dopo un disco esperimento, che io ho definito “pop innamorato “ con collaborazioni importanti. Avevo bisogno di una doccia refrigerante, di una pioggia di suoni nuovi, più grezzi , acustici , dal retrogusto rock.
Quando mi sono trovata in studio, da sola, di fronte al pianoforte, con Esaurimento da Web nella testa sapevo che avrebbe dovuto prendere una forma diversa e ho iniziato a ballare con il piede sinistro e a sentire un groove di batteria come fosse già scritto.
Com’è avvenuto l’incontro con Eugenio Finardi e qual è stato il suo contributo alla tua evoluzione come musicista e autrice? Prima di questo incontro ne avevi una conoscenza artistica approfondita o è stata per te una scoperta?
Mi sembra una vita fa, comunque un giorno che non dimenticherò mai. Conoscevo Finardi , ma molto di più lo conoscevano i miei genitori, Musica Ribelle, Extraterrestre, la Forza dell’amore. Poi una sera chiamai mia madre e le dissi: c’ è un Finardi che forse ignorate, un signore che fa Teatro, che interpreta Vysotsky con la passione per il volo e quindi cominciai ad appassionarmici veramente. Fu L’anticamera di un secondo tempo della mia vita, visto che arrivavo dal teatro e dal canto a cappella. I maestri servono a questo, ad accompagnarti fino ad un certo punto per poi farti proseguire da sola, è così è stato. Nel 2012 ho scritto per Eugenio “ E tu lo chiami Dio “ l’avventura Sanremese ha chiuso un ciclo e ne ha aperto un altro.
La tua personale espressione artistica sembra ben formata su riferimenti importanti come Paola Turci e Andrea Mirò, non solo per il canto ma anche nell’uso intimista e marcato degli intrecci piano-chitarre. La seconda ha pure collaborato al tuo ultimo album. E’ stato un ascolto che ha segnato la tua formazione musicale o un’influenza solo parzialmente consapevole?
Beh, da bambina, mentre scoprivo il rock intimista e incazzato di PJ Harvey, imitando una rauca “ Come on Billy” ho ricordi di innumerevoli ascolti di musica italiana, tra cui Paola Turci. “Stato di calma apparente” penso mi abbia spinto verso la chitarra infinite volte. La Mirò, cantautrice di indiscutibile bravura, duetto con me nel 2012 in Menti distratte. Un connubio vocale a quanto pare ben riuscito, di cui vado fiera. Nella maggior parte dei casi, assorbiamo involontariamente gli stili musicali con cui cresciamo, gli ascolti di cui ci innamoriamo ci entrano dentro e in qualche modo si manifestano nelle canzoni che scriviamo. Mi lusinga l’accostamento alle due donne in questione, per la stima che provo per entrambe.
Polsi è un brano che rappresenta una svolta. Si sente un modo particolare di dettare il movimento delle note e dell’armonia con una spiccata forza melodrammatica nel senso positivo del termine, qualcosa che in embrione si intravedeva nei precedenti di Ai tuoi occhi e Vivo di vento. E’ stato un salto nel vuoto oppure il risultato di un percorso preciso?
Polsi è il frutto di un percorso musicale… la drammaticità del testo mi suggeriva un esecuzione pianistica con note in levare, suonato in modo ritmico, dove le note inciampano, un modo che spiegasse i sussulti dell’anima, visto il tema che andavo a trattare. In più l’arrangiamento è davvero spoglio, a impreziosire solo il tappeto di archi perfettamente eseguito da i GnuQuartet, motivo per cui il pianoforte volevo che si muovesse e che facesse da padrone. Polsi parla della violenza, violenza sulle donne, e violenza che ci si infligge quando non ci si perdona qualcosa. Nessun salto nel buiosapevo di affrontare un tema delicato e diffuso, ho cercato di farlo con discrezione, senza ferire la sensibilità dei coinvolti.