A volte quello che ci vuole veramente è un po’ di rumore, aveva detto qualcuno anni fa. Quella che segue è una storia di rumore, quando il rumore è l’unica cosa che resta per farsi sentire, o per sentire se stessi.
Alla fine degli anni 60 una canzone tracciava le coordinate dell’apocalisse imminente così come la percepivano milioni di americani. All along the watchtower, scritta e incisa da Bob Dylan e pubblicata sul disco “John Wesley Harding” uscito nei primissimi giorni del 1968, l’anno in cui l’apocalisse sembrò davvero diventare ipotesi reale tra massacri in Vietnam e paese in preda alla rivoluzione, era una inquietante ballata acustica dai versi misteriosi sostenuta da un’armonica quasi impossibile da ascoltare, tanto lancinante e acida suonava nelle orecchie degli ascoltatori. Ispirata a diversi passaggi dell’antico testamento, essa sembrava esprimere una inquietudine potente, difficile da decifrare. Chi erano i messaggeri che stavano arrivando? Cosa portavano con sé, quale annuncio di morte e di paura? Chi erano il joker e il ladro, che studiavano come abbandonare una città troppo confusa e assassina? La vita ormai non era diventata altro che una beffa? In pochi versi scarni ed essenziali, Bob Dylan descriveva la pazzia che aveva avvolto la società americana, quella della guerra in Vietnam, e si tirava fuori da tutto ciò: io e te, si dicono il joker e il ladro, ci siamo già passati e non è questo il nostro destino, non diciamo falsità, l’ora sta diventando tarda.
Pochi mesi dopo Jimi Hendrix prendeva in mano questa canzone e la faceva esplodere con una deflagrazione elettrica devastante: se il pezzo dell’autore annunciava e sottintendeva l’apocalisse, Hendrix faceva esplodere questa apocalisse senza possibilità di salvezza o di replica. La fine del mondo era cominciata, anche il ladro e il joker avevano perso.
Trent’anni dopo altri fantasmi tornavano a popolare la coscienza sempre traballante degli americani. Un fantasma in particolare a cui Bruce Springsteen dava forma e voce in una ballata acustica dominata anch’essa da una armonica terrorizzante, era quello di Tom Joad. Per molti, esattamente come quando uscì Watchtower di Dylan, The Ghost of Tom Joad fu una canzone difficile da decifrare. Scritta e incisa in piena era clintoniana, di ottimismo e buonismo rampante, appariva come una accusa fuori luogo e fuori tempo massimo, una denuncia rivolta a non si sapeva a chi. Con la canzone di Dylan aveva in comune un minimalismo acustico tesissimo e una armonica dolorosa. Nei versi c’era però una domanda forte: benvenuti nel Nuovo ordine mondiale, quello astutamente inventato dalla famiglia Bush e raccolto senza recriminare da Bill Clinton. L’America aveva stabilito le coordinate per il resto del mondo, come d’altro canto aveva sempre fatto. Che a pagarne un prezzo altissimo sarebbero stati anni dopo in milioni, nessuno lo poteva immaginare. Ma Springsteen poneva quantomeno un dubbio. Gli ascoltatori invece sembrarono accontentarsi: Bruce ci parla dei problemi degli immigrati ispanici, cita Woody Guthrie, fa il verso a Dylan. Il buonismo clintoniano sembrava appagato. Ma naturalmente come in ogni grande canzone, come già in Watchtower di Dylan, c’erano dentro profezia e apocalisse, ma in pochi se ne accorsero.
Quindici anni dopo quell’incisione, Springsteen torna in studio per riprendere il dialogo interrotto con il fantasma di Tom Joad. I tempi, da allora, sono cambiati. Adesso la profezia è decisamente compiuta e anche i più lenti di comprendonio capiscono a che cosa si riferiva la canzone. Il Nuovo ordine mondiale ha compiuto il suo dovere: non sono più gli immigrati i protagonisti della canzone, adesso siamo noi, tutti noi. Il mondo occidentale è stato devastato dall’apocalisse degli “uomini di affari che bevono il mio vino, e i contadini che straziano la mia terra”. Neanche Tom Joad può più farci niente, il protagonista del romanzo di Steinbeck che aveva osato sfidare un altro ordine mondiale. La disperazione è tanta, impossibile da contenere per come la dignità dell’uomo è stata presa, rivoltata, fatta a pezzi: per la strada, nelle macchine dormono i tuoi vicini di casa, tuo padre e tua madre. Ci hanno fatto credere che la colpa della crisi sia nostra: perché compriamo di meno (cose inutili), perché osiamo chiedere una pensione, perché desideriamo una casa per le nostre famiglie. Quello che è stato fatto è imperdonabile, per come hanno deriso la nostra dignità, il nostro lavoro, per come ci hanno presi in giro, per come hanno manipolato la realtà. E come fece Hendrix con Dylan, l’indignazione non è più contenibile, la rabbia esplode e l’apocalisse non è più una ipotesi. Nel cantato di Springsteen c’è adesso una tale consapevolezza da risultare difficile da ascoltare e allo stesso tempo la sua voce è magnifica, piena di dignità, una dignità che rifiuta di farsi calpestare; nella strofa presa in mano da Tom Morello, uno che aveva cantato la battaglia di Seattle, anticipatrice dell’apocalisse oggi, c’è disgusto e fastidio. Ma c’è anche un giudizio morale. Poi esplodono le due chitarre.
Un assolo di chitarra autentico non è soltanto una costruzione di note, un assolo di chitarra nei suoi momenti migliori è una voce che declama, si dispera, bestemmia, implora. Lo avevano insegnato i vecchi bluesmen: la chitarra parla. In pochi sanno far parlare una chitarra, e uno di questi è sicuramente Springsteen. Quella di Springsteen soffre, si ritorce, sembra ingabbiata, vorrebbe urlare, ma ferisce a fondo. Quella di Morello invece urla e impreca, le due chitarre dialogano. Dopo le altre strofe e un ultimo ritornello urlato in modo scomposto, dimentico quasi della melodia originale, lo spazio lo conquista unicamente Tom Morello. Springsteen sembra eclissarsi (in realtà è ben presente, la sua chitarra macina un riff implacabile di supporto).
La chitarra di Morello suona esattamente come se a suonarla, oggi, nel 2014, ci fosse Jimi Hendrix. Le citazioni del suo assolo su Watchtower si sprecano. C’è anche il rumore di bombe, mitragliatrici, bambini morti in Siria, sono le note che fuoriuscivano dalla chitarra di Hendrix a Woodstock. Non a caso l’ex Rage Against the Machine sul suo strumento porta scritto “arm of the homeless”, questo è il braccio dei senza casa. C’è una vergogna che viene mandata in pezzi, c’è un’ ultima richiesta di dignità, ma soprattutto c’è tanta rabbia, del tutto giustificata. E’ il rumore quello che conta adesso. Il rumore ve lo rimandiamo indietro, sembrano dire Morello e Springsteen. Poi ogni cosa cade a terra e si frantuma e neanche Morello può più contenere il suo strumento che adesso suona da solo. Mentre l’assolo finale sfuma, ecco ripetersi come un ostinata maledizione lo stesso riff di Jimi Hendrix nel finale della sua Watchtower.
Questa nuova Tom Joad è forse la miglior incisione mai fatta da alcuno nel terzo millennio. Ha perfettamente senso e ogni secondo di essa ha un significato. La melodia ti si appiccica addosso come una ossessione. La potenza declamatoria dell’arrangiamento non ammette repliche e verrebbe voglia di suonarla a volume impossibile davanti alla Casa Bianca, dove le promesse sono state tradite, portando a compimento il Nuovo ordine mondiale, quello che sotterra i deboli e se ne infischia di chi perde il lavoro. Non c’è perdono, non c’è assoluzione per nessuno in questa nuova Tom Joad, ognuno ha le mani sporche di sangue. E ancora una volta, come è successo per decenni ormai, non sempre, ma spesso, una canzone rock assume su di sé tutti i peccati del mondo e si fa testimonianza. E’ certamente, adesso molto di più che nell’incisione originale, è la più amara e matura dichiarazione politica di Bruce Springsteen.
Non c’è nessun altra forma di comunicazione più alta di questa, di una canzone rock incisa in questo modo come è stata incisa questa Tom Joad: non c’è Internet, non ci sono Reti, non ci sono blog, siti, giornali, televisioni, talk show, filosofi ed esperti tuttologi, smartphone, social network, ideologi di ogni razza, che reggano il confronto. L’assoluzione, sembra dire Springsteen, la dovete chiedere alle nostre chitarre. Ma difficilmente potrete averla. E come nei suoi momenti migliori, questa canzone chiede di essere suonata e risuonata senza sosta. Chi potrà sopravviverle? Servirà a poco, ma a volte ci vuole un po’ di rumore per sentirsi ancora vivi.