Dai marciapiedi di Bologna all’incontro con Lucio Dalla. Sono cose che succedono. E’ successo a Marco Sbarbati, 28 anni, giunto nel capoluogo romagnolo dalle Marche per studiare al Dams. Tra un libro e l’altro, la sua passione per la musica lo porta anche a fare il busker, il suonatore di strada. Ed è per le strade di Bologna che lo scopre Lucio Dalla. Da qui nasce una collaborazione che porta Lucio Dalla a voler inserire un brano di Sbarbati, “I don’t wanna start”, nella colonna sonora del film AmeriQua di Marco Bellone e Giovanni Consonni, Dalla spinge Marco a provare a scrivere in italiano: è del 2012 l’incontro con Caterina Caselli, produttrice di vaglia, scopritrice di tantissimi talenti. Nel 2013 ecco il contratto con la Sugar e adesso il primo singolo, Backwards, anticipatore del suo esordio discografico. Abbiamo parlato con lui, ecco cosa ci ha detto.



Il tuo modo di rendere il canto sembra ricondurre differenti esperienze musicali all’interno di una tua espressione particolare e già riconoscibile.  Dalle esperienze folk d’annata come Joan Armatrading e Tracy Chapman ai moderni cantastorie del genere come Glen Hansard e Damien Rice.  Sono tutti artisti che fanno parte del tuo background o in alcuni casi ti sei accostato a loro inconsapevolmente?



Sono sempre stato un grande fan di Glen Hansard, Tracy Chapman e Damien Rice, quest’ultimo in particolare l’ho ascoltato molto quando ho iniziato a suonare in strada. Penso che “O” sia un interessantissimo album, che ha la capacità di restare per sempre. Non mi capita spesso di affezionarmi così tanto ad un album. Tutti gli artisti che hai elencato mi hanno ispirato perché li ascolto spesso. Mi piace mescolare gli stili, per esempio tempo fa ho avuto la fortuna di lavorare con Bluey degli Incognito, una band che non conoscevo benissimo, il cui genere si allontana dal mio. Tuttavia è stato molto interessante accostarsi a quel sound. Bluey è una persona speciale e molto professionale, lavorare con lui a Londra è stato bello.



La musica migliore secondo me nasce dalla contaminazione dei generi, per questo cerco di ascoltare sempre musica nuova e diversa.

L‘approccio alla scrittura, almeno in questa “Backwards” sembra strizzare maggiormente l’occhio al mainstream del pop-rock anglosassone di questi anni pur con accenni al cantautorato folk soprattutto a livello di arrangiamenti.  E’ un approccio che caratterizzerà l’imminente album d’esordio oppure nello stesso si potranno trovare differenti esperienze, anime e suoni?

Per ora ho registrato cinque brani con Corrado Rustici in California. Lui vive e lavora negli States da anni ed entrambi volevamo che le canzoni avessero un sound internazionale. Quasi tutti i pezzi si avvicinano alle sonorità di “Backwards” ma nell’album ci sarà spazio anche per qualcosa di diverso. Dopo anni passati ad esibirmi accompagnato soltanto dalla mia chitarra, ho sentito il bisogno di arrangiare i miei brani con diversi strumenti, come quando facevo parte dei The Shabbies, la mia prima rock band. Conoscevo il lavoro di Corrado da tempo, desideravo lavorare con lui e sono contento di esserci riuscito.

Come è avvenuto l’incontro con Lucio Dalla? A te piaceva la sua musica prima di incontrarlo? Cosa ha significato la sua morte e che ricordo hai di lui? 

Ho incontrato Lucio Dalla in Piazza Maggiore durante una mia esibizione notturna. Ricordo di essermi accorto di lui grazie alla mia coinquilina Silvia, perché ad un certo punto ha iniziato a muovere le braccia per attirare la mia attenzione, come per dirmi “girati, guarda chi c’è alla tua sinistra!”. Terminata la mia esibizione, lui si è avvicinato a me e dopo essersi complimentato con una forte stretta di mano, mi ha dato un bigliettino stropicciato con scritto sopra il suo indirizzo e-mail. Voleva che gli mandassi dei miei pezzi e così ho fatto. In quel periodo lui stava lavorando alla colonna sonora di un film e ha pensato di inserirci un mio brano, così è incominciata la mia collaborazione con Lucio, che poi mi ha introdotto in Sugar.

Lucio era una persona professionale ma al tempo stesso molto “alla mano”. Per me rappresentava non solo una persona con cui lavorare, ma anche un artista da cui imparare. Lo incontravo spesso in giro, l’impressione che mi ha dato era di essere un tipo che, come me, amava vivere la sua città nella piazza, tra la gente. La notizia della sua scomparsa è stata come un fulmine a ciel sereno, il giorno del suo funerale sono andato in piazza e vedendo il mare di persone lì riunite, ho capito quanto fosse amato.  

 

Del tuo incontro con Lucio Dalla mi ha colpito questo particolare, che ti ha incoraggiato a scrivere e a cantare anche in italiano.  È qualcosa su cui stai già lavorando e come pensi di conciliare questo con la tua naturale propensione verso una musica dagli ampi riferimenti british?

 

Conoscevo le sue canzoni, tuttavia dopo averlo incontrato ho avuto la curiosità di approfondire meglio la sua musica e capire la sua grandezza.  Lucio Dalla mi ha spinto a scrivere in italiano, diceva che la lingua italiana era la più bella del mondo, la più “musicale”. All’italiano ci sono arrivato piano piano, con i mie i tempi. È un percorso che sto continuando anche adesso.