“Mi fa sempre un certo effetto tornare a Milano. In questa Feltrinelli poi ci venivo spessissimo, quando abitavo qui. Adesso vivo a Città di Castello, vicino a Perugia. Milano è troppo cara e poi quei posti sono bellissimi. Però questa è una città a cui rimarrò sempre molto legato”. Paolo Benvegnù è alla celebre libreria di Piazza Piemonte per presentare il suo ultimo lavoro, “Earth Hotel”, uscito da poco meno di due settimane. Un disco bellissimo, come del resto era lecito aspettarsi, da uno che non ha mai fatto un passo falso in carriera. Siamo riusciti ad incontrarlo personalmente prima del momento pubblico e ne è data una chiacchierata molto piacevole e interessante, quella che solo un artista profondo e consapevole come lui è in grado di offrire.
Innanzitutto complimenti per il disco. “Earth Hotel” rappresenta sicuramente un bel passo avanti rispetto ad “Hermann”, almeno in termini di concept musicale e di visione della realtà.
Io credo a tutto ma sono scettico su di me. Sul negativo mi ci confronto in maniera adeguata, sul positivo faccio più fatica.
Non lo so, io in realtà questa volta non ho scritto nulla: “Hermann” era frutto di una meditazione, ci ho pensato a lungo, qui invece pensavo già di aver detto tutto con il disco precedente e forse un po’ è anche così, per cui mi sono messo in una stanza aspettando che le cose arrivassero da sole. È stato un processo creativo realizzato attraverso un andare nel vuoto. Poi la cosa divertente è stata questa: ho aspettato a lungo ma le cose sono arrivate davvero, alla fine!
Fammi capire meglio: in che senso dici che non hai scritto ma hai aspettato?
Normalmente scrivi il pezzo, di solito io parto dal testo, poi tiro giù una sequenza di accordi, vedo se stanno bene insieme, poi magari ti manca una parte, ci pensi… Sai, la parola parlata ha tutto un altro codice rispetto a quella scritta. Qui usciva una sillaba, un accordo, un’idea, tutto un pezzo alla volta, senza pianificazione: è stato tutto un lavoro di autoanalisi. Mi sono messo in questa stanza, come ti dicevo, con solo un basso, una batteria elettronica, un sintetizzatore e il vuoto. È uscito tutto in maniera sequenziale, sillaba dopo sillaba. È stata una cosa nuova per me, che sono abituato a scrivere prima il testo e poi a limarlo.
E quanto è durato tutto questo processo creativo?
Un paio di mesi per scrivere tutto. Poi altri tre per trovare il coraggio di farlo sentire ai miei compagni della band e chieder loro di lavorarci insieme. Non pensavo proprio di aver fatto un lavoro che valesse la pena di mettere su disco. Capirai il mio imbarazzo in questo momento: specialmente per gli anziani, gli onanismi andrebbero tenuti a casa. Io poi sono un onanista praticamente da quando sono nato (ride nda)!
Trovo che da “Hermann” in avanti, tu ti sia spostato da una dimensione cantautorale intima ad una dimensione maggiormente cosmica, universale, anche per quanto riguarda i temi trattati. Che ne pensi?
In realtà già “Armstrong” degli Scisma era un disco corale. C’era già una coloritura da filo rosso, la presenza di un discorso unico che viene portato avanti per tutto il lavoro. Se pensi a Truffaut o a Fellini, consideri la loro produzione in blocco, difficilmente vai ad isolare i singoli film. Uno come Fellini, ad esempio, parla sempre delle stesse cose ma con modalità diverse. Le sue ossessioni sono sempre le stesse, e probabilmente anche per me è la stessa cosa. È come se, un disco dopo l’altro, io stessi cercando me stesso. Questo ultimo è sicuramente figlio di “Hermann” ma non so dove vada, non so in che direzione mi porterà. Ad esempio, la scrittura è partita in un certo modo ma poi negli ultimi brani c’è stato un rivolgimento verso l’interno, anche più positivo, se vogliamo. Più che un salto “cosmico”, come dici tu, direi che sto cambiando, sto crescendo e ora mi sento più pulito rispetto a un po’ di tempo fa. Ma non è che abbia capito tutto, non ti saprei dire…
In che senso dici “pulito”?
Pulito come l’acqua, intero. L’acqua la puoi scomporre ma quello che vediamo, sentiamo è il lato di cui abbisogniamo per placare la sete, la nettezza di una sorgente o anche il suo lato distruttivo. Non avendo più ambizioni, rabbia, mi sento più pulito, la ricerca è ricerca per sè, il percorso è un percorso di per sè senza abbisognare di altro, di confronti o cose così.
Sai, noi come esseri umani cerchiamo conferma, interlocuzione. Quando poi cerchi questo in maniera un po’ malata, cerchi di sedurre, anche le persone che non sono interessate a te. Chi fa musica ricerca questo, inevitabilmente, quindi uno si sente più pulito nel momento in cui non ha bisogno che uno gli dica: “Bravo!”. Anche se, non fraintendermi, è sempre confortante che uno apprezzi il tuo lavoro e vi si riconosca. È una cosa davvero stupefacente ed è l’autentico privilegio del poter fare questo mestiere.
Due parole sui testi. Tu hai una scrittura molto difficile, è arduo cercare di trovare un filo conduttore in ciò che scrivi. Come hai lavorato? Quali sono le cose che ti stavano più a cuore?
Probabilmente è vero, sono complicato come sviluppo di pensiero. In realtà però mi sembra di essere molto semplice, direi nel senso di “mediocre”, alle volte persino banale. Questa volta non ho scritto nulla, ho solo detto e registrato. Facendo un’analisi a posteriori, ora che il disco è fuori, ti dico così. Le canzoni raccontano tante storie d’amore ma non riesco a scinderle da un concetto unitario. Certo, ho vissuto delle esperienze ben precise: quando canto un verso come “imperatrice d’ombra e di vendetta” è evidente che mi riferisco a qualcuno di particolare, che ho conosciuto una donna di cui ho potuto proprio dire così. Poi però parlo delle donne in generale, che sono quelle che custodiscono il mistero della vita, perché la donna è in grado di dare la vita. È una cosa spettacolare, c’è dietro un potere incredibile ma comporta anche una grande responsabilità: l’idea di esserci o non esserci al fianco di una vita nuova (che poi è una scelta che la donna fa) è molto difficile e impegnativo. Per cui, tornando alla domanda, sono venute fuori queste cose, molte me le sono spiegate, altre invece no, altre erano delle mostruosità, come ad esempio “Piccola pornografia urbana”: questa interlocuzione così malata e così sporca con un altro essere umano è una cosa terribile che peraltro mi è capitata, a volte.Ecco, non so come spiegare tutto ma ribadisco, penso di essere molto semplice e mediocre nella mia scrittura, non ho un talento vero e proprio; ho piuttosto, se proprio devo dirlo, il talento del bue, quello di arare i campi indefessamente senza mai fermarsi. Non un talento artistico, quindi, ma il talento di chi lavora con pazienza, che ha attenzione verso le cose. Per questo è stupefacente: che io scriva canzoni e che altri siano interessati a suonarle o ad ascoltarle. Mi capita spesso di vedere cose più sotterranee, musicisti sconosciuti dove riconosco un talento maggiore, un talento che lo vedi chiaramente che è lì. Magari oggi, non avendo più la volontà di sedurre nessuno, quando la riconosco in un gruppo di ragazzi giovani e volonterosi, la apprezzo.
Mi puoi fare qualche nome?
Beh, ad esempio i Fiori di Cadillac, questi ragazzi giovanissimi che sarebbero già al terzo disco se fossero in Inghilterra. O Petramante, che ho anche avuto la fortuna di produrre. Oppure Ettore Giuradei. O i Fast Animals and Slow Kids, molto potenti e ottimi dal vivo. Ecco, cerco di riconoscere le istanze di quel momento, le cose che mi trovo davanti, e di essere pulito nel valutarle. Poi ascolto anche Bach, Mozart, Sostakovich ed è ovvio che mi stupisco, come è ovvio stupirsi di fronte ad una bellezza simile. Comunque, se posso dirlo, in Italia si scrive meglio che da altre parti. Penso ad esempio a “Rimmel” di De Gregori. Neanche Cohen ha scritto a quei livelli…
Mi piacerebbe chiederti di andare più a fondo di due canzoni che mi hanno particolarmente emozionato. Laprima è “Orlando” che, per quanto mi riguarda, penso sia una delle tue cose più belle…
È venuta così, da tutta una serie di suggestioni. Accordi e parole sono venuti fuori insieme, pezzo dopo pezzo: ho preso la chitarra e mi è venuto il primo verso: “Hanno tagliato il grano”, con gli accordi corrispondenti. E così via, fino alla fine. Tutta la prima parte è venuta subito, poi tutto il resto è stato sequenziale: del resto sono un essere umano di sesso maschile e non riesco a fare due cose insieme (ride NDA). Comunque è stata una cosa non tanto dissimile da quell’idea di andare nel vuoto per cercare il vuoto. Il vuoto mi ha risposto con questo pezzo: stai in vita!
Beh, le cose che qui dici sull’amore sono incredibili…
Mi piace molto perché alla fine dovrebbe essere molto più semplice: siamo qui, tanto vale che ci dedichiamo ad esserci l’uno per l’altro, accettando il modo in cui ognuno è fatto. Lo puoi vedere anche in negativo: ad esempio, il fatto di avere davanti una persona che ha un’umanità sublime, ti spinge ad essere brutale. Come il film di Milos Forman su Mozart: hai in mente come si riduce Salieri, a causa dell’invidia che prova? Perciò dobbiamo arrenderci alla meravigliosa e terribile complessità della vita, cercando di farci del male il meno possibile, e di farci prendere dallo stupore. È l’unica cosa che so di questo disco, il resto sono tutte domande che mi sto facendo e a cui non ho ancora trovato una risposta…
Nel frattempo ci stiamo ascoltando tutto il nuovo degli U2 (diffuso da più di mezz’ora dagli altoparlanti della Feltrinelli): non è che ci sia da stare allegri…
(Ride NDA) ma no, dai! Fa tutto parte del disegno meraviglioso della vita. Se parti dal fatto che tutto è miracolo, vanno bene anche gli U2… persino le parrucche dei Motley Crue possono andar bene! Sai, è un periodo che sto pensando tanto ai Motley Crüe, non so perché…
Beh, io che ho un passato da metallaro, li ho ascoltati molto a suo tempo. Tra l’altro, al momento stanno portando avanti il loro tour d’addio…
Ah, vedi? Tutto torna, alla fine…
Il secondo pezzo è “Nuovo sonetto maoista”: penso che dal vivo farà sfracelli…
Dici? In realtà non so se la faremo dal vivo… Comunque, anche questa è arrivata come doveva arrivare. Sono partito dalla considerazione che buona parte della frustrazione delle persone deriva dal non saper capire il perché delle proprie problematiche. Uno dei problemi del nostro momento è l’iper desiderio, ma questa canzone vuole anche dire: attenzione, perché queste cose succedevano anche tanti anni fa. Quando parlo della falsità delle madonne del Rinascimento., ad esempio. Quando Renzi ha detto: “Facciamo un nuovo Rinascimento in Italia”, mi è venuto da ridere perché io avevo già ironizzato su questa cosa qui. Ovviamente lui non poteva saperlo (ride NDA)!
Comunque trovo che in questo pezzo tu dia un giudizio lucidissimo sulla crisi sociale e antropologica che ci affligge…
Beh, non ha la pretesa e la voglia di dare risposte. In tutta sincerità, la parte che mi piace di più è quando dice: “Continuate pure a cercare nuove intuizioni, miglioramenti”. Da un lato c’è lo sfruttamento delle menti migliori; dall’altra, l’essere messi tranquillamente al proprio posto, cosa che oggettivamente è un problema per questo paese. Poi per me non è un problema, in realtà: sotto questo cielo è tutto meraviglioso, come dicevo; la cosa migliore è essere lieti nel quotidiano e nel personale. Le piccole rivoluzioni le fanno gli uomini, non le forze politiche. Spesso infatti dico che l’unica rivoluzione vera in Italia è stata l’approvazione della legge Basaglia, quella che ha eliminato i manicomi. Ha portato la diversità nella normalità, oppure la diversità nella diversità, perché come si fa a dire che cos’è normale? Per me al di fuori di questo non c’è altro. Tutti gli altri cambiamenti sono legati al denaro, al potere, questa invece è stata una cosa fatta per poche persone. Basaglia ha iniziato nel personale e nel quotidiano, credendo in quello che stava facendo. È stata una rivoluzione di bellezza, dove sono riusciti a piegare un sistema che era fermo da un centinaio di anni.
Ci sono diverse parti parlate nel disco: che cosa vogliono significare?
Noi non siamo disgiunti dall’altro. Non siamo se non in rapporto all’altro. Mi sembrava interessante muovermi con altre voci e situazioni, per significare di come noi siamo visti dall’altro, di come gli altri percepiscono noi. Come Fellini in “Amarcord”: Mastroianni parla con chiunque e dietro passano turisti che parlano in diverse lingue, è come un tuffarsi nel grande mare dell’umanità. Noi siamo molto altro rispetto alle nostre parole e ai nostri gesti. Potrebbe essere un’idea per le prossime cose che scriverò. Cercare l’impossibile: alla fine è questo che facciamo. E dov’è, questo impossibile? E come il limite tendente all’infinito della matematica: mi ha sempre entusiasmato questa cosa…
Tu scrivi delle cose parecchio tristi eppure sei un tipo molto allegro. Nei concerti poi questa cosa è sorprendente: fa impressione vedere come sai fare battute divertenti e subito dopo tuffarti in un testo malinconico… Come si conciliano questi due aspetti?
Più vai avanti nel tempo e più ti rendi conto di quanto sei ridicolo e insopportabile (ride NDA). Mi ritengo insopportabile e una maniera di reagire a questo è quella di prendersi un po’ in giro. Poi le intuizioni, qualunque esse siano, sono importanti, come può essere importante una carezza. Perciò anche darsi poca importanza è una cosa importantissima, da questo punto di vista. Siamo intrisi di serietà sulle cose, ci prendiamo sempre troppo sul serio. Io per primo sono disciplinato, serio nel lavoro ed è anche giusto esserlo. D’altronde “esistere” viene da “ex stare”. Io sono “extra me”, alla fine. Se sono troppo a contatto con me stesso, è difficile non riuscire a ridersi addosso…
Parliamo dei musicisti con cui hai fatto questo lavoro: era una cosa già evidente in “Hermann” ma ormai si vede proprio che siete diventati una vera e propria band…
La partenza è stata mia, questa volta, ho scritto io è basta, forse perché ne avevo bisogno. Poi, una volta che ho avuto il coraggio di farglielo sentire, loro ci hanno lavorato riportandomi all’acqua e al sale. E io devo star lì, all’acqua e al sale, vale a dire all’essenziale. Sono loro che mi danno una mano a fare questo, sono indispensabili.
Cosa mi dici invece del video di “Una nuova innocenza”?
Mauro Talamonti ha fatto un video bellissimo, davvero un capolavoro! Collaboriamo già dai tempi di “Hermann”, è lui quello che ha fatto la copertina. Quando abbiamo finito il disco, gli ho mandato i pezzi e lui è rimasto molto colpito. Tutti insieme abbiamo deciso di fare quel brano come primo singolo, quindi abbiamo iniziato a pensare al video. Lui era a Bangkok per lavorare, per cui mi ha detto se volevo fare un video lì. Mi ha chiesto se riuscivo a raggiungerlo ma non avevo i soldi neanche per arrivare a Perugia (ride NDA), per cui mi sono dovuto accontentare di far recitare la mia parte ad un attore… per altro bravissimo, magari io riuscissi ad invecchiare così bene!
Siamo arrivati alla fine. Dopo avere rifiutato in maniera divertente una bottiglia di prosecco gentilmente offerta dallo staff della Feltrinelli, comincia il momento di presentazione del disco. Con l’atteggiamento guascone e autoironico che gli è ormai proverbiale, ha introdotto i numerosi presenti ai segreti di “Earth Hotel” e ha cantato tre pezzi, accompagnandosi con la chitarra acustica: “Nello spazio profondo”, “Hannah” e il singolo “Una nuova innocenza”. Un’esecuzione intensa ed emozionante come al solito, anche in questa veste così scarna. Un piccolissimo assaggio di quello che potremo ascoltare nel tour che partirà il 31 ottobre da Roma. Con un disco del genere, e conoscendo la bravura e l’affiatamento dei musicisti coinvolti, siamo sicuri che ne vedremo delle belle. Nel frattempo, vale la pena di dare un ascolto a “Earth Hotel”, probabilmente la cosa migliore uscita in Italia quest’anno…