In Europa ha accumulato premi di qualsiasi genere, e la sua bravura è stata più che riconosciuta da chiunque abbia avuto occasione di ascoltarlo live. Si chiama Marco Selvaggio, viene da Catania, e suona uno strumento tanto affascinante quanto prezioso; l’hang. L’abbiamo intervistato per farci raccontare un po’ di più su questo esperimento del suono applicato alla musica pop perché, ci racconta Marco, di solito l’hang viene prevalentemente utilizzato in contesti di musica classica.
Anzitutto, per chi ancora non ti conoscesse, chi è Marco Selvaggio?
Marco è un avvocato-artista-tutto fare, diviso tra studio legale e musica. So che potrebbe così non sembrare, ma faccio l’avvocato di giorno, per poi sfruttare l’insonnia scrivendo note, testi e suonando per ore la notte. La fortuna del mio strumento sta nella sua rara unicità. Ti ci incolli senza riuscire ad abbandonarlo più. Smetto di far musica solo all’alba, con le mani ormai indolenzite. Ma davvero l’hang è pari ad una droga. Non posso proprio farne a meno.
Ecco, infatti, tu suoni uno strumento rarissimo, di origine Svizzera, dal suono particolare, e dal costo esorbitante. Si chiama han, anche io lo conosco da poco. Tu come l’hai scoperto, e perché ti affascina tanto?
Ben detto. L’hang è veramente uno strumento che mi coinvolge, sia per la musica in grado di produrre, sia per la sua rarità. Tutto è iniziato quasi per caso, ma anche per motivi fra i più disparati. Un pomeriggio stavo camminando, per strada, e sul marciapiede ho visto un ragazzo giovane e dai tratti nordici, con una specie di cerchio metallico. Riusciva a produrre un suono speciale. Sembrava musica proveniente da un locale vicino, ma invece no. Era proprio l’hang quello che lui aveva tra le mani. Io credo nei colpi di fulmine, e stavolta così è stato. Mi sono innamorato di quello strumento immediatamente, ho iniziato a documentarmi a proposito ed ho anche malauguratamente scoperto che acquistarne uno significasse fare un investimento non da poco. L’hang è molto costoso, ma per fortuna sono riuscito a comprarmelo a suon di risparmi, in un tempo nemmeno troppo lungo. E da lì ho provato anche io a sperimentare, finché non mi sono accorto che oramai per me la musica e l’hang stavano diventando inevitabilmente una cosa sola. Ho iniziato a scrivere musica pensando esattamente a quel tipo di suono, a quello strumento, alle sensazioni che con l’hang volevo e vorrei tuttora trasmettere. Da lì non ho più smesso!
Nonostante la relazione passionale tra te e l’hang sia piuttosto recente, la tua attrazione per la musica, tuttavia, non è iniziata solo ieri. Al contrario, le note le hai sentite tue sin da piccolino. Cosa ci racconti a proposito?
Il mio amore per la musica nasce con me, quando ancora ero in fasce. Ricordo benissimo che sin da piccolino amavo viaggiare più di ogni altra cosa. Perché lì, nell’arco del viaggio, in macchina soprattutto, sapevo che ci sarebbe stata la radio, e quindi tanto spazio proprio per la musica. Poi, beh, ad oggi, devo ammettere la mia cultura e la mia voglia di fare in questo ambito artistico e creativo sia cresciuta sempre più. È sempre stata una passione di famiglia, quella per il suono. Tant’è che non posso dimenticarmi di ringraziare in primis i miei genitori, che mi hanno sempre sostenuto fino ad oggi. E ovviamente, non meno importante, la mia producer Simona Virlinzi, che insieme a me e a mio padre ha progettato il mio disco. Sono il suo primo ‘artista’, ed è un onore notare quanto sin da subito lei abbia creduto in me. È stato proprio il mio incontro con Simona a spingere questo grande progetto, nostra prima produzione. Ci ho messo tutta l’energia possibile, e non posso che augurarmi che il mio sia considerato un prodotto originale non solo da me e da chi oramai mi segue da tempo, ma anche dai miei presenti e futuri ascoltatori.
Il tuo album ‘The Eternal Dreamer’ esce il 1 Dicembre, e vedrà tre brani strumentali, due in inglese, e uno soltanto in francese. Come mai hai proprio scelto di evitare completamente la lingua italiana?
La motivazione principale per cui ho puntato sulle lingue europee è semplice; la mia intenzione sarebbe quella di dare un tiro molto più internazionale al disco. Il respiro che cerco di trasmettere vorrei fosse il più rilevante possibile. Anche per questo ho scelto di duettare in alcuni pezzi con artisti di fama internazionale come Daniel Martin Moore ad esempio, oppure ancora con Anne Ducros, Dan Davidson e con il mio amico italianissimo The Niro. Purtroppo la musica in Italia sta morendo sempre più, nonostante qui la produzione resti comunque massiccia. Perciò spero di riuscire ad avere un successo un po’ più semplice spingendo il lavoro forte, là fuori. Il sogno resta il nord Europa. Chi vivrà vedrà…
Beh però l’Europa ti conosce già molto bene. Certo più che l’Italia. Hai partecipato a numerosi Festival come il Buskers di Vienna, ti sei esibito a quello delle Arti Teatrali e Musicali in Belgio, hai riempito l’Electro Park Festival di Genova esibendoti come solista, e hai fatto tappa anche in Svizzera, al Burning Mountain. Per altro, nel 2012, hai ricevuto anche i complimenti dei Coldplay!
Essere acclamato da un pubblico internazionale non è assolutamente male, anzi! Aver partecipato a tante tappe Europee mi ha proprio fatto capire che in fondo la mia musica ha speranza di sopravvivere. E io voglio crederci fino all’ultimo. Diciamo che all’estero le cose sono sempre un po’ più facili. Tutto si basa sulla meritocrazia, e ti chiamano a suonare solo se sei bravo, e non se sei amico di chi organizza la data. E poi, lo ammetto, i privilegi che ti concedono sono tanti; ti pagano il viaggio e ti offrono vitto e alloggio. Senza farti mancare un buon compenso per aver suonato live! Non potrei permettermi di lamentarmi al momento… E i Coldplay sì, sono stati veramente fantastici con me! Hanno scelto un mio brano come loro ‘video del giorno’ da postare sul proprio sito personale. Ho ricevuto molte visualizzazioni e tanti commenti positivi. È stato veramente un momento felice!
Forse là fuori le cose sono un po’ più semplici, ma personalmente l’Italia non l’abbandonerei mai. Tu che ne pensi, hai in previsione un tour anche nella tua terra, il nostro Bel Paese?
Certo che sì. Io amo la mia Sicilia, quindi vorrei proprio partire da lì, dalle mie zone. La mia intenzione sarebbe suonare prendendo il via con una serie di date, da Catania e zone limitrofe fino al Nord. Però ecco, mentirei se dicessi che è solo al Nord Italia che punto. Perché, forse l’avevo già detto, io punto più in alto. Punto al nord Europa!
Insomma, io a convincerlo a restar qui con coi ci ho provato, ma non mi sembra di esserci riuscita più di tanto. Non so quanto la cosa sia negativa. Forse per noi, che rischiamo di perderci un po’ di buona musica, ma magari non per lui che si costruisce così una nuova coloratissima carriera… Comunque, bravo Marco. E viva l’Italia!