Mirco Menna, classe ’63, bolognese di adozione in qualche modo. Musicista, autore e cantautore dal 2002 con il disco “Nebbia di idee” riceve il premio MEI come artista dell’anno. Un disco importante che si fregia anche del plauso autografo del grande Paolo Conte: “…finalmente un disco saporito ed elegante…”.
Da qui seguono una serie numerosa di successi, dalla collaborazione come cantante e frontman con Il Parto Delle Nuvole Pesanti fino al suo ultimo disco nel 2010 dal titolo “…e l’italiano ride” assieme alla Banda d’Avola, ospite e protagonista anche sul palco del Premio Tenco dello stesso anno.
Mirco Menna torna in scena oggi on un lavoro che vuole rendere omaggio al genio di Domenico Modugno con un lavoro che ripercorre la sua produzione con un piglio decisamente attuale e del tutto personale, seguito nella produzione artistica da Francesco Paracchini e da un ensemble di musicisti di tutto rispetto come Enrico Guerzoni al violoncello, Maurizio Piancastelli alla tromba e tastiere e Roberto Rossi alla batteria, percussioni, flauto e cori. Non mancano ospiti illustri della nuova scena autorale italiana, come Mario Incudine (nel brano “La donna riccia”) e Patrizia Cirulli (nel brano “Tu si ‘na cosa grande”).
Abbiamo scambiato qualche parola con lui, proprio nei giorni del Tenco. È stata un’occasione molto utile per capire qualche cosa in più della sua musica e del suo modo di scrivere canzoni.
Mirco Menna e il Premio Tenco. Che soddisfazione è per un cantautore?
L’ultima soddisfazione da cantautore con il Premio Tenco l’ho avuta quando mi invitarono nel 2010, anno del disco “… e l’italiano ride”, con Banda di Avola. Questa volta è una soddisfazione da interprete, come dire, mi sono state riconosciute doti da performer. Stare dentro la “cinquina del Tenco” è stata una bella notizia anche per i miei compagni di palco, siccome stiamo parlando di un disco che è la registrazione di un concerto dal vivo.
La musica di Modugno per te oggi vale più di ieri?
Mah, credo che le canzoni si comportino come il resto delle cose al mondo… ce ne sono di quelle che durano un attimo e sono significative per quell’attimo, altre che scavalcano milioni di attimi e continuano a significare. Non so se la musica di Modugno valga più o meno di ieri, certamente significa tanto anche oggi.
Oltre le righe che racconti sempre, davvero chi è per te Domenico Modugno?
Uno che ho sentito cantare in giro per casa da sempre, come fosse di famiglia. E al quale, da adulto del mestiere, ho riconosciuto vero quello che si dice di lui, cioè che sia un’architrave, il capostipite dei nostri così chiamati cantautori. Uno che nel ’56 si azzardava a fare di un suicida il protagonista romantico di una canzone, per esempio, o che dice “nun me ‘mporta ‘e chi t’avuto” ad una donna, in tempi non proprio adatti, e infatti viene censurato. Uno che porta la canzone popolare a livelli lirici e armonici notevolissimi, ne scompone l’architettura, usa parole e argomenti del tutto nuovi. È ricco nella scrittura e nell’espressione, sa maneggiare l’ironia, la comicità, il dramma e la tragedia, è languido, è appassionato. È il più italiano di tutti. Son cose che mi è già capitato di dire, in effetti: ma sono precisamente il motivo per cui siamo qui a parlare di un lavoro su cui altrimenti non mi sarei impegnato e che invece ritengo sia coerente al mio modo di essere “cantautore”. Ecco, di più dirò questo: chi è davvero per me Modugno? Un maestro.
Di Mirco Menna invece che raccontiamo?
Che è stato allievo di molti e nessuno di loro lo ha mai saputo, nemmeno Domenico Modugno. Che ha esordito come cantante e autore nel 2002, ha ricevuto via via premi e applausi bastanti a suggerirgli di insistere, così che a tutt’oggi ha all’attivo cinque dischi, uno dei quali con il Parto delle Nuvole Pesanti di cui è stato anche cantante. Che ora smetterà di darsi dell’egli e mi darò dell’io come la gente civile: Mirco Menna sono io ecco, e faccio il cantautore. Perché? Perché nonostante abbia quasi cent’anni le canzoni mi emozionano ancora, a volte perfino quando le canto: non le mie che pare brutto, ma con quelle degli altri mi capita a volte di dover domare la voce e corro il rischio di singhiozzare al microfono, magari fuori tempo. Per questo motivo mi piace scriverle, per via quella specialissima intimità che si pratica con una canzone. La si ascolta, certo, la si sente insinuarsi più o meno profondamente, certo: ma la si agisce anche, una canzone può cantarla chiunque. Per esempio, è possibile che in questo momento qualcuno stia canticchiandosi una canzone di Modugno evocando chissà quali pensieri, e magari lo sta facendo assieme a me che gli esco dallo stereo. Molto bello, no?
Premio Tenco a parte. Cosa ci dobbiamo aspettare da dicembre in poi? Un nuovo disco?
In realtà il nuovo disco, che si intitola “Il senno del Pop”, è stato anticipato quest’anno da cinque videoclip chesi possono vedere qui. Poi è arrivata l’estate, sono usciti “Io, Domenico e tu” e “118 Frammenti Apocrifi” (unlibro che vado presentando in forma di spettacolo) e sono stato lontano dai nuovi brani. Ora si è ricominciato a registrare, agli dèi piacendo per la prossima primavera saremo pronti col nuovo disco, il sesto.
Cosa significa per te scrivere una canzone? Nel senso… Quando una canzone che scrivi può dirsi “una canzone di Mirco Menna” a tutti gli effetti? Ci sono dei paletti che ti dai o segui quello che viene fuori? Ti è mai capitato di scrivere qualcosa che ritenevi interessante in un primo momento ma che poi non hai pubblicato perché non ti interessava più?
Cominciamo dalla fine: molte volte ho scritto cose che ho buttato, subito o dopo mesi, conservando qualcosa oppure nulla… credo sia del tutto normale, è un buon esercizio critico eppure riesce anche faticoso: perché ci si affeziona alla produzione delle proprie cose, i bambini lo fanno perfino con la cacca e gli artisti sono i più bambini di tutti.
Per il resto, gli unici paletti che metto, l’unica regola che seguo, è: ciò che scrivo mi assomiglia. Se poi supera l’esame “cacca del bambino” (a volte è facile a volte meno) diventa una canzone di Mirco Menna.
Com’è la situazione della musica in Italia? Esce qualche cosa di interessante oppure siamo condannati a riprendere il passato? Ovviamente non mi riferisco al tuo disco su Modugno, che è invece un omaggio molto sentito. Intendo soprattutto l’atteggiamento di certi giornalisti o di certa tv: nelle trasmissioni televisive spesso si invitano sempre le solite facce, quando si pensa a “rock italiano” vengono in mente solo Vasco e Ligabue… A tal proposito, ho letto che durante la recente presentazione del disco di Vasco, un giornalista avrebbe proprio affermato che dopo Vasco in Italia non è mai più uscito nulla di interessante…
No no, riferisciti anche al mio disco su Modugno, fai bene e hai ragione. Vedi, c’è in questo libro di cui parlavamo, 118 Frammenti Apocrifi, una cosa che si intitola “Tributo al Replicante”, a firma Gian Gianni Eco e dice così: Voler sapere ciò che già si sa / mummificarsi nella stessà età / avventurarsi tra nuove antichità / suonare cover. In effetti questo è l’ambiente, non c’è scampo, il ritritare rianimare ricoverizzare in continuazione, l’antico in salsa moderna, la botulinizzazione della nostalgia, sono pratiche in atto da un bel po’ di tempo e chi fa questo mestiere lo sa bene. I locali in cui si suona sono ricettacoli di tributanti e cover band, e i talent show televisivi, che si propongono come il luogo in cui si fabbrica “il nuovo”, non lo hanno forse sancito in pieno? Ci sarebbe da chiedersi come mai, ma avremmo bisogno di sociologi, psicologi, esperti di marketing editoriale, esorcisti, il discorso si farebbe lungo.
Comunque anch’io che con questo mestiere ci lavoro, ho portato il mio contributo, certamente sentito, rispettoso e sincero, ma in piena logica corrente e lo ho scritto pure nelle note del disco. Quel che ho cercato di fare, anche nella ricerca del suono acustico e “vivo”, è astrarre queste canzoni da un tempo contingente. Mi sono ben guardato dal “modernizzarle”, Modugno è lì a dimostrare che “vecchio-nuovo” sono categorie di giudizio che alcuni possono permettersi di neutralizzare. Moltissimi di questi brani se uscissero “nuovi” ora, sarebbero interessanti nonostante Vasco, con buona pace del giornalista di cui dici e che probabilmente non sa quante cose interessanti ci siano in giro fuori dalle play list.
(Alessandro Riva)