Famiglia di musicisti e produttori di razza per sé e per conto altrui, i Novecento hanno segnato un’epoca nel dettare una precisa e originalissima espressione sonora tanto da contrassegnare in maniera differente e viva tutti i decenni successivi a quello del loro esordio, quel 1984 che ha salutato con favore con il singolo Movin On un esempio di raro talento nel plasmare le nuove tendenze easy dell’italodisco con il grande lascito melodico del decennio precedente.
Da lì, album dopo album, una continua definizione e messa a punto del proprio patrimonio di riferimento dal grande rock dei ’70, al soul, alla fusion. Tutto ciò è confluito è andato a impreziosire e arricchire la loro esperienza di musicisti quanto quella di music-maker.
Da sempre riservati, schivi e dediti unicamente alla passione per il proprio lavoro, reduci dalla fresca pubblicazione del loro nuovo bellissimo “A New Day” (recensione qui), hanno gentilmente accettato l’invito del Sussidiario per una intervista che a buon diritto può dirsi esclusiva. Da lungo tempo se non da sempre portavoce ufficiale della band, abbiamo incontrato il tastierista e compositore Pino Nicolosi.
Un nuovo album “A New Day” che come da un po’ di tempo a questa parte rompe un silenzio di circa 5-6 anni come nel caso del precedente di “Secret”. In quel caso il lavoro razionalizzava all’interno del vostro particolarissimo stile, gran parte delle influenze musicali che hanno rappresentato la vostra formazione, dal rock sinfonico anni ’70, alle folk ballads, alla fusion. Con questo nuovo album pur all’interno di un tratto epico che ha sempre fatto parte del codice musicale del gruppo, si avverte un salto deciso rispetto a quanto lo ha preceduto. C’è un’anima orchestrale molto più decisa, una dinamica che allude spesso alla colonna sonora, il rock e le atmosfere sostenute sono più rare e lasciano spazio alle arie in diminuendo. E’ stato un processo consapevole o è venuto fuori di getto?
E’ stato un processo consapevole che, penso dovuto alla passione anche per la musica classica che ci accomuna. Quindi il risultato è stato un “ sound “ molto orchestrale che si è aggiunto al pop – rock e alle tipiche atmosfere che caratterizzano la nostra band.
Il disco vede all’opera un gruppo i cui apporti si combinano in maniera differente rispetto al passato. Le tue tastiere insieme alla voce di Dora risultano pertanto dominanti, Lino oltre che delle chitarre si occupa spesso dei suoni etnici di sfondo, Rossana non sempre suona. Insomma l’originalità del progetto risiede nel fatto che in certi momenti la band è come spettatrice stessa del proprio far musica.
E’ come dici tu… in questo album la band è spettatrice di se stessa, ed è già successo in passato. Dipende un po’ da quello che vogliamo ottenere. Il risultato in questo nostro ultimo progetto è stato una voce dominante, molte parti orchestrali e chitarre.
Tra le tante cose di alto livello che il lavoro annovera quella che mi ha sorpreso di più è stata Surround Me. In una ballad dal respiro epico vengono sintetizzate forse al meglio le varie tendenze del lavoro. La struttura del canto richiama le grandi ballate pop del gruppo (Dreamland Paradise), l’orchestra e gli abbellimenti percussivi sono invece il trademark ricorrente dell’album, dulcis in fundo il fitto lavoro sugli accordi bassi del pianoforte richiama le insolite successioni armoniche di Tony Banks (Genesis).
E’ vero, il brano ricorda le atmosfere del brano Dreamland Paradise, e il nostro sound di quel periodo. Riguardo alle successioni armoniche che riecheggiano il linguaggio di Tony Banks , penso sia dovuto al fatto di avere ascoltato molto la musica dei Genesis e di Peter Gabriel.
Torniamo ai primi anni della vostra carriera. Nell’esordio del 1984, pur nella accessibilità delle atmosfere del periodo si intravedeva già quel qualcosa di più che poi andrà a comporre la vostra unica cifra espressiva. Take a Chance richiama i forcing funky della migliore black music, It’ s Too Late le composizioni ariose e i grandi arrangiamenti di ensemble e artisti come Chic, Change, Mayfield. You Could it Change it Again vira invece su arie da musical alla Bacahrach. Da che esperienze venivate prima di debuttare ufficialmente come band?
In effetti siamo un band abbastanza “ atipica “ , e abbiamo avuto esperienze musicali legate alla black music e al Jazz – Rock degli anni settanta , oltre che al pop e alla musica classica.
Penso che sia questo che porta i nostri album ad una rotazione tra questi generi musicali.
Ancora un paio d’anni ed ecco con Dreamland quello che forse rappresenta la migliore sintesi della vostra prima maniera e quello che rimane uno dei vostri album più belli, con un sound più grintoso rispetto all’esordio. Dal pop rock dance di Excessive Love, alla intensa epic ballad di Dreamland Paradise. In generale dalla prima all’ultima nota pur accettando il confronto con le sonorità ultra-sintetiche del periodo, si nota una fisionomia del suono molto solida e compatta per quei tempi.
Grazie per il complimento, e a questo proposito ci tengo a dire che per noi è sempre stata importante la qualita’ del suono nei nostri progetti discografici, e per questo motivo dedichiamo molto tempo alla fase del missaggio ed in generale alla registrazione.
Come mai il brano Changes che figurava come opening nella tracklist della prima versione dell’album, non è incluso nella versione che attualmente circola su cd?
Si, “ Changes “ è presente solo sulla versione pubblicata su Cd in Giappone ,.. comunque il brano forse si staccava molto dal contesto dell’ album.
Nei vostri primissimi album in più di un brano vengono utilizzati spesso e volentieri interventi al sax non accreditati in copertina. Chi sono i ghost musicians che collaboravano con voi in quegli episodi e in altri (come il “solo” finale di tromba in Broadway)?
Il sassofonista che ha collaborato in quel periodo è Claudio Pascoli, e il trombettista dell’ assolo finale del brano Broadway è Demo Morselli.
“C’è un Mondo che …” – uno dei rari album a non essere stato ristampato dalla sua prima uscita – rappresenta un caso unico e particolare all’interno della vostra produzione, oltre che per la lingua italiana, perché il vostro inconfondibile input melodico è alternato ad una musica spesso sospesa e ad atmosfere che si rifanno a certo etno e lounge-pop in voga nel periodo.
“C’è un Mondo che …” è l’ unico album cantato in lingua italiana, volevamo sperimentarla sul nostro stile musicale, ma in seguito abbiamo preferito l’ inglese, che si adatta maggiormente alla nostra scrittura musicale.
Passiamo all’attività di produzione e music maker per conto altrui. Già nel primo disco si faceva riferimento a uno Studio Nicolosi in Milano. Dove si trovava questo studio e il suo progetto come si collega a quello che è da anni e tuttora lo studio della Nicolosi Productions?
Lo studio è di San Giuliano Milanese, ma ci spostiamo spesso in altri studi di registrazione (a Los Angeles, Londra e New York ).
Sin da quel vostro primo album vi cimentavate contemporaneamente nella produzione di altri artisti (su tutti la Valerie Dore di The Night e Get Closer a tutti gli effetti brani prodotti, eseguiti e suonati dal gruppo). Avevate già ben chiaro già allora dove volevate arrivare in quell’area o eravate più orientati a crescere come band in proprio?
Diciamo che erano due strade parallele , ma cercavamo di focalizzarci sulla nostra band con l’intento di creare un nostro stile musicale.
Avete prodotto una miriade di artisti famosi della musica soul, pop-rock, jazz e fusion. Per quanto sia difficile, avete ricordo di un’esperienza con qualcuno di loro particolarmente significativa sia sotto il profilo sia artistico che umano, qualcosa che vi portate nel cuore e che vi piacerebbe rivivere con quella intensità?
Penso che quello che più è rimasto nei nostri cuori è stato l’ incontro e l‘ esperienza lavorativa avuta con Billy Cobham , Al Jarreau, Eumir Deodato e Brian Auger. Sono stati i nostri miti da ragazzini ed i nostri punti di rifermento. Praticamente siamo cresciuti musicalmente ascoltando la loro musica. Il fatto di averli conosciuti e successivamente prodotto i loro dischi ci ha dato una grandissima emozione. Una cosa, inoltre che ci ha colpito molto di questi artisti è stata la loro umiltà, che abbiamo riscontrato anche con Sting , Chaka Khan e gli altri artisti da noi prodotti.
Fuori dai nomi che avete prodotto, chi sono i grandi nomi – gruppi e artisti – con cui vi piacerebbe o vi sarebbe piaciuto collaborare?
Potrei dirti che ci sentiamo, come dire, … “ appagati “, con tutte le collaborazioni che abbiamo avuto in questi anni. Comunque gli altri artisti potrebbero essere Peter Gabriel, Stevie Wonder, Herbie Hancock e molti altri.
Un’ultima domanda sull’attività live della band. Non è mai stato possibile appurare con certezza quale sia stato il livello di coinvolgimento con i palchi nel corso della vostra carriera. Nei primi anni in quanto eravate esponenti di un’area musicale che non veniva molto considerata dai media (e allora non esisteva internet per rimanere informati per altra via), in seguito perché è apparso ben chiaro che l’interesse principale era diventato quello della produzione o comunque quello di lavorare come recording band. Eppure qua e là si trovano vostre apparizioni live, ad esempio un paio di brani su youtube successivi al periodo della pubblicazione dell’album Secret (2008-2009). Ci sono mai state nella vostra carriera tournée vere e proprie o mini tour, e ci sarà la possibilità di vedere il gruppo in futuro anche solo come evento one-off?
Riguardo alle apparizioni “ live “, devo dirti che non sono state moltissime perché abbiamo sempre dedicato molto tempo all’ attività di produttori. Ci sono stati dei tour negli anni 80-90, alcune date nel periodo di uscita dell’ album SECRET, oltre al tour europeo, nel 2006, col chitarrista statunitense Stanley Jordan, e nel 2007, il “ DRUM ‘ N ‘ VOICE tour “, con Billy Cobham, Brian Auger, Frank Gambale & NOVECENTO. Riguardo a future apparizioni live penso sia improbabile… siamo sempre molto impegnati in studio.