Si intitola “Sinfonico Jannacci” il concerto di Capodanno che Paolo, figlio del grande Enzo, porterà in scena la sera del 31 dicembre al teatro Dal Verme di Milano. Si riparte dunque da dove ci si era lasciati, la sera del 3 giugno scorso sempre al Dal Verme, giorno del compleanno di Enzo Jannacci, in cui Paolo accompagnato dal suo terzetto (Marco Ricci al basso, Daniele Moretto alla tromba e Stefano Bagnoli alla batteria) e dall’orchestra I Pomeriggi Musicali di Maurizio Bassi, aveva reso omaggio al repertorio paterno. “Un momento di festa e di comunicazione emotiva” sarà invece l’evento di fine dell’anno come lo ha definito Paolo in questa conversazione con il sussidiario.net, con un repertorio in parte diverso a quello del 3 giugno. Tante le sorprese e le idee scoppiettanti in programma come anticipa sempre Paolo Jannacci: “A mezzanotte, invece del solito valzer di Capodanno, Maurizio Bassi ha scritto appositamente un boogie-woogie che saluterà il nuovo anno”. Dunque, perché no? potremo anche saltare in piedi sulle poltrone e ballare: a Enzo sarebbe sicuramente piaciuto.
Hai salutato Milano lo scorso 3 giugno con lo spettacolo “Ciao Enzo!” e concludi l’anno con “Sinfonico Jannacci”: che differenze e che repertorio dovremo aspettarci?
Sarà un momento di festa e di comunicazione emotiva. Anche il repertorio sarà in parte diverso: ho in mente di fare un brano semi-sconosciuto che si chiama Il giramondo, una canzone del 1961, corta e molto bella, che parla di questo uomo che gira il mondo con un cane bassotto, tre matite e un disco rotto. Questa e altre sono piccole storie in grado di far ritrovare le emozioni della vita ed è bello per questo riascoltarle. Tra i brani già nel repertorio che sto portando in giro farò Il palo nella banda dell’Ortica. I brani accompagnati dall’orchestra saranno invece di più, circa 6-7, tra cui Com’è difficile di Luigi Tenco, Sfiorisci bel fiore, L’uomo a metà, El purtava i scarp del tenis.
Con te ci sarà di nuovo l’orchestra diretta da Maurizio Bassi, cosa vuol dire lavorare con questi musicisti?
Con Maurizio Bassi con cui sto anche scrivendo alcune cose per il mio nuovo disco mi trovo molto bene. Ha lavorato con papà come produttore dal 1983 al 1989, e ha scritto un bel boogie-woogie simpaticissimo, in cui suona anche l’orchestra. Quindi, invece che il solito valzer, faremo questo boogie-woogie come finale alla mezzanotte. Il tutto insieme a pezzi del repertorio caratteristici. Sarà un bel concerto, di classe, di grande insieme.
Che altro ci puoi anticipare di questa serata?
Dallo spettacolo “In concerto con Enzo”, oltre a brani del papà ci saranno alcuni brani miei: immagini tradotte in musica, un viaggio nello spazio alla ricerca di sonorità, quindi alla ricerca dell’inconoscibile, e anche dedicate alla musica latinoamericana. Altri brani: Io e te, Vincenzina, La vita la vita, Quelli che…, Ci vuole orecchio, Messico e nuvole, Vengo anch’io in una versione partecipata dall’orchestra e dal pubblico. Sarà davvero una bella serata, ne sono certo.
Più passa il tempo dalla scomparsa di Enzo, come cambia – se cambia – il tuo modo di affrontare le sue canzoni?
Col passare del tempo divento sempre più attento nell’interpretazione e nell’esecuzione perché mi piace farle. Prima, quando lo accompagnavo magari stavo più attento al testo, ora c’è un’attenzione particolare e c’è una voglia particolare nell’interpretazione.
Hai detto che stai lavorando a un nuovo disco, ci puoi dire qualcosa al proposito?
Sì, sto lavorando a delle storie inedite da raccontare, perché non siano parole buttate al vento o le solite rime che si può fare anche a meno di ascoltare. E’ un po’ il mio desiderio: mi piace ascoltare una storia che mi racconti qualcosa, che mi faccia stare attento all’evoluzione del racconto.
E dove le trovi queste storie?
Intanto sto lavorando alla musica. Tranne un brano, per cui sono partito subito con parole e musica a cui sto lavorando con Michele Serra. Per gli altri sto lavorando con Maurizio Bassi. E poi sto pensando a cosa raccontare, ma intanto sto definendo le idee musicali. Se vengono insieme, ben venga, però il mio approccio è prima definire il tema melodico, la musica, anche perché la metodologia di scrittura adesso è molto diversa da quella di dieci, vent’anni fa. Il mezzo comunicativo dev’essere necessariamente più intellegibile per il grado di frammentazione che c’è nella comunicazione.
Per uno come te che viene dal jazz, dalla forma musicale libera, non deve essere facile limitarsi, o no?
Si tratta di condensare il senso di una cosa in un tempo breve. E’ un po’ un peccato perché ti limiti con il minutaggio. Anche se poi mi viene un pezzo da dieci minuti lo faccio lo stesso. Anzi, c’è una cover del papà – Fotoricordo – un pezzo bellissimo, che mi rimase impressa da quando la compose, nel 1979. Nel rifarla do spazio all’improvvisazione, alla musica, ai musicisti… Insomma, non sto facendo un disco pop. Io sposerei il rock, il jazz-rock, o comunque il folk-rock, poi le cose cambiano, in una ventata di minuti perché sono coinvolte più persone, compositori che stanno scrivendo e mandando delle proposte. E il contributo di altri cambia l’estetica e la metodologia musicale.
A quasi due anni dalla scomparsa di Enzo, pensi che istituzioni e colleghi musicisti lo abbiano ricordato in modo adeguato o si dovrebbe e potrebbe fare di più? Penso, ad esempio, all’Expo che sarà inaugurato tra qualche mese a Milano, potrà essere un’occasione per ricordarlo?
Una cosa vorrei fosse chiara a quelli che vorrebbero vedere una fondazione a lui dedicata: io dico di no. Vorrei che le canzoni, la poetica del papà fluisse libera, come qualcosa di presente sullo scaffale, senza il bisogno di un ricordo, di nuove compilation da “artista che non c’è più”. Io vorrei che i suoi pezzi rimanessero liberi. Lui era un pensatore libero e i suoi pezzi devono fluire senza nessun tipo di etichetta. Ben venga chi lo vuole ricordare, ma io vorrei che fosse trattato come quando era in vita.
In questo modo le canzoni restano di tutti, è così? Senza etichettature…
Sì. Un brano non cambia perché l’autore non c’è più, il suo modo di vedere le cose non cambia perché non c’è più. Per ciò che riguarda gli interessi degli artisti, osservo quello che fanno. Ci sono cose più o meno meritevoli, fatte col cuore. Non do mai nessun tipo di restrizione (a meno che uno non voglia proprio storpiare le cose! In quel caso mi opporrei). Ma chiunque voglia lavorarci, benissimo, non ho nessun tipo di remora perché sono cose fatte con buone intenzioni e sarò ben curioso di vedere cosa succede.
(Paolo Vites)