Les contes d’Hoffmann di Jacques Offenbach è un’opera che in Italia ha riscosso un crescente successo soltanto negli ultimi quindici anni, dopo un lungo periodo d’oblio. Eppure, dopo il debutto a Parigi nel 1881, aveva raggiunto il palcoscenico del Teatro dell’Opera di Roma già nel 1905 (quindi, per l’epoca, dopo un lasso di tempo non eccessivo). E’ un’opera ‘fantastica’. Come si è avuto occasione di sottolineare  più volte su questa testata, questo è un genere che non ha mai avuto molto gradimento presso il pubblico italiano. Inoltre, è un’opera dal sapore agro-dolce. Offenbach è noto principalmente per le sue operette – segnatamente per Orphée aux Enfers e La Belle Helaine , piccanti satire della Francia del Secondo Impero- mentre in Les Contes i momenti ‘brillanti’ si situano nella parabola amara del poeta quarantenne alla ricerca di una compagna (nei mondi e nei modi più differenti) ma costretto a restare nella propria solitudine (e con l’affetto unicamente della Musa che lo ispira). 



In aggiunta, è un’opera rimasta incompleta a ragione della morte dell’autore ; quindi, nonostante esista una versione di riferimento (quella pubblicata nel 1907), direttori artistici e registi si sbizzarriscono nel comporre la sequenza dei tre atti, incastrati tra un breve prologo ed un’ancor più breve epilogo. Ciascuno dei tre atti ha, ovviamente, una protagonista femminile, ma con vocalità marcatamente differenti: dal soprano lirico di coloratura al soprano drammatico. Raramente si dispone di un unico soprano per i tre ruoli .



In questi ultimi anni l’’opera fantastica’ di Offenbach ha avuto un crescente successo. La scorsa stagione un’edizione semplice ma pregevole è stata vista nel circuito toscano ed a Novara. Questa stagione si confrontano due edizioni differenti che hanno una caratteristica comune: essere co-prodotte con teatri francesi. La prima ha debuttato a Rouen, e circuita sino alla fine dell’anno nei teatri della Lombardia e delle Marche. La seconda, dopo il debutto a Tolone, si vedrà in Emilia. E’ un’idea intelligente che permette di fare sinergie e di suddividere i costi di produzione tra più teatri. Nel caso specifico di Les Contes ha anche il vantaggio di dare quella patina tutta francese (piccante anche se melanconica)  che è spesso mancata in produzioni più ricche di fondazioni liriche. Sovente, la vera innovazione si ha nei ‘teatri di tradizione’ che alcuni critici continuano a considerare ‘figli di un Dio minore’. Il teatro di Rouen è di medie dimensioni, ma lo spettacolo può essere adattato anche a palcoscenici più piccoli; in Francia ad esempio, si è visto al teatro reale della Reggia di Versailles-



La produzione ha inoltre l’obiettivo di mettere in luce il talento dei vincitori del 65° Concorso per giovani cantanti lirici d’Europa. La regia di Frédéric Roel, attualmente  direttore artistico e generale dell’Opéra de Rouen, sfronda l’apparato di qualsiasi orpello tipico dell’ “opéra- comique”. L’elemento centrale della scena è costituito da un grande cubo: una vera e propria scatola che ruotando rivela prima la bambola Olympia ma scompare nella scena di Giulietta (uno scintillante boudoir di specchi) e riapparire come stanza di Antonia. La scenografia ed i costumi (di Lionel Lesire) sono raffinati. Le luci alternano con sapienza i momenti scuri con quelli di una luminosità abbagliante. Molto efficace il primo atto – quello dell’amore per una fanciulla rivelatisi una  bambola meccanica con il palcoscenico popolato da automi (gli  artisti del coro) in uno spazio essenzialmente vuoto: i loro movimenti rigidi contrastano con la sinuosità della bambola. Il salone veneziano della escort Giulietta pullula di  avventori che si celano dietro scuri e  parrucche magniloquenti . Nel terzo atto, la stanza di Antonia è lugubre, mortuaria sin dall’alzarsi del sipario.

Tutta la compagnia è giovane . Il maestro concertatore Christian Capocaccia si muove abilmente e sa rendere bene il sapore più amaro che dolce del lavoro. L’orchestra è quella dei I Pomeriggi Musicali che normalmente suona con perizia al Dal Verme di Milano ; abili tutti in particolare gli strumenti a fiato, mentre il Coro del Circuito Lirico Lombardo, diretto da Diego Maccagnola, si distingue per l’ottima tenuta e per la bella ricerca di colori.

Di gran livello le voci femminili, specialmente la giovanissima Larissa Alice Wissel che a Jesi ha interpretato il ruolo di Antonia ma , per una serie di circostanze, a Pavia ha dovuto essere anche Olympia e Giulietta, sfoggiando tre vocalità molto differenti. Ha una voce ricca e  molto estesa, che potrà darle grandi soddisfazioni ma dovrà essere curata con grande attenzione. Potrebbe essere una nuova Damrau ma se accetta ruoli non ancora  adatti a lei potrebbe avere una carriera breve come quella della Gasdia. Bianca Tognocchi ha svettato nella coloratura di Olympia e Maria Mudriak è stata una Giulietta più sensuale che passionale. Brava Alessia Nadin nel ruolo di Niclausse, la Musa. 

Tra le voci maschili, Mickael Spadaccini è un Hoffmann scenicamente appropriato e vocalmente generoso ma dovrebbe dare più attenzione all’eleganza , non solo il vigore, degli acuti ed acquisire maggiore morbidezza. Il basso baritono Abramo Rosalen incarna il Male attraverso i quattro ‘cattivi’ della storia: Lindorf, Coppélius, Dapertutto e Miracle. Di alto livello sia scenicamente sia localmente. Bravi gli altri nelle numerose parti minori.

Teatro gremito e plaudente.