L’opera prescelta per l’inaugurazione della prima stagione scaligera di Alexander Pereira nella duplice veste di sovrintendente e direttore artistico e per l’ultima di Daniel Barenboim nella veste di ‘direttore scaligero’ è Fidelio o l’amore  coniugale di Ludwig van Beethoven. La sera di Sant’Ambrogio l’esecuzione del lavoro (per la terza volta scelto per inaugurare una stagione della Scala) è stato accolto con 12 minuti di applausi ed ovazioni a tutti gli interpreti. Parte del successo è un augurio alla nuovo sovrintendente. Parte un arrivederci a Barenboim. Parte all’opera che – ma pochi nel pubblico se ne sono accorti – è stata presentata in una versione differente da quelle di solito in scena in Italia. 



Fidelio è l’unica opera di Ludwig van Beethoven. E’ basata su una “pièce à sauvatage” (dramma teatrale con finale lieto in quanto gli innocenti vengono salvati dell’inatteso arrivo dei buoni loro alleati), genere consueto, specialmente in Francia, nel periodo tra rivoluzione francese e il Direttorio. Racconta di Leonore che nella Spagna settecentesca si traveste da ragazzo per farsi assumere come secondino dal carceriere Rocco al fine di salvare il proprio marito Florestano, preda di un crudele signorotto di provincia, Pizzarro, di cui Florestano ha denunciato i delitti. 



Le belle fattezze di Leonore-Fidelio attirano l’attenzione della figlia di Rocco, Marzelline, facendone inalberare il fidanzato Jaquino. Il salvataggio arriva mentre Pizzarro sta per uccidere Florestano sia perché Leonore estrae una pistola dal corsetto sia grazie al provvidenziale arrivo del messo del Re. Vicenda banale – già messa in musica da altri prima che Beethoven la prendesse come spunto per la sua opera per il teatro (ne aveva tentato un’altra senza portarla a compimento).

Per Beethoven è stato un lavoro travagliato, durato 12 anni che ha portato a tre edizioni differenti (in Italia la prima versione è stata messa  in scena nel 2006 a Bologna ma non ha suscitato grandi entusiasmi). I dettagli della complessa elaborazione del lavoro si hanno nella lettura del bel saggio sul compositore di Piero Buscaroli.



E’ un’opera ambigua sia per il genere scelto, il Singspiel in cui parti cantate si alternano con numeri musicali (un genere tipico di commedie più che di drammi come dimostrato dal fatto che fiorirà nella opéra-comique francese) sia perché sempre in bilico tra la pièce di equivoci mozartiana (la prima parte) sia dal grande lavoro epico ed etico (la seconda parte). Lo spartiacque è la grande aria di Leonore Abscheulichee, wo elist du hin? nel primo atto.

Soprattutto. Fidelio non ha condotto ad un nuovo stile nell’opera tedesca– ciò sarebbe avvenuto qualche anno più tardi con “Il franco tiratore” di Weber ed “Il vampiro” di Marschner – ma un tentativo, colmo di difetti tecnici (pur nella versione  definitiva) eppur diventato un capolavoro e giustamente ritenuto tale. 

La sua ambiguità è stilistica. Il primo atto è denso di momenti mozartiani ma non si può pensare che Beethoven sia un epigono di Mozart. Dopo la  grande aria di Leonore il tono è differente ma non siamo nell’opera romantica tedesca, piuttosto nella grande opera imperiale di Gaspare Spontini che utilizzò temi analoghi sia alla corte francese che soprattutto in quella prussiana.

Per decenni, specialmente in Italia, le letture sceniche di Fidelio hanno presentato interpretazioni che spostavano l’attenzione dal tema dell’eroismo di Leonore alimentato da Die eheliche Liebe, “l’amore coniugale” – all’esaltazione della libertà contro la tirannide. Nè Nicolas Bouilly, autore della pièce à sauvetage, nè J.F. Sonnleithner e G.F. Treitschke, a cui si deve l’insulso libretto, avevano lo spirito di Vittorio Alfieri. Né, tanto meno, Beethoven, peraltro sotto il profilo politico ‘un vero conservatore’, intendeva comporre un’opera contro il potere costituito. Nell’opera il “salvataggio”, compiuto da Leonore, viene ratificato da un “dittatore benevolo”; la punizione è per un tirannello sadico di provincia che ha trasgredito, per l’appunto, le regole della imperiale benevolenza. Lo documenta nel già citato  monumentale “Beethoven” (1400 pagine) di Piero Buscaroli e l’inteso carteggio che accompagnò la tormentata lavorazione dell’opera. 

In primo luogo, nella produzione andata in scena alla Scala per Sant’Ambrogio, la regia di Deborah Warner pone l’accento sulla vicenda d’amore e reintroduce i consueti tagli nelle parti parlate del primo atto. Le scene ed i costumi (di Chloe Obolensky) e le luci (di Jean Kalman) ci portano in una fabbrica mal ridotta in un Landorientale (forse la Turingia). 

Barenboim modifica l’ultima versione beethoveniana dell’opera , facendola precedere dalla seconda ouverture non da quella definitiva e come è sua prassi dilata i tempi dando un’impostazione molto solenne al lavoro (ed in certi momenti) coprendo la protagonista Anja Kampe che la sera della prima non era al meglio in quanto volume. Quindi l’ambiguità resta ed anzi viene accentuata. Ottimi coro ed orchestra, tra gli interpreti, tutti di alto livello, il gruppo maschile (Peter Mattei, Falk Struckmann, Klaus Florian Vogt, Kwanchul Youn, Florian Hoffmann), è parso prevalere sui due soprano , Anja Kampe e Mojca Erdmann.