Provo a spogliarmi di tutta la retorica che si usa in certi momenti, per dire con emozione e sincerità quanto mi ha lasciato di sasso e dispiaciuto apprendere della morte di Mango. Credo di non avere mai parlato con nessuno di Mango, e oggi me ne dispiaccio.
Non so perché, ma è così. Eppure l’ho sempre considerato un cantante al di sopra della media, in Italia, un ricercatore della voce, un artista attento alle sonorità dei suoi dischi, con uno sguardo acuto verso ciò che succedeva fuori dai nostri confini. Cantava “Oro”, e molti si fermavano lì, senza approfondire. Anche io, fino a un certo punto. Poi un giorno finii per incrociare la sua produzione in uno studio di registrazione nel Veneto, dove stavo completando la produzione del disco del calciatore rocker Alexi Lalas, e stavano portando via le apparecchiature servite per un disco di Mango. 



Mi resi conto di quanto erano rimasti lì, dell’attenzione che lui aveva messo nella produzione, infine vidi alcuni dischi “di riferimento”, a me molto cari, che lui aveva lasciato. Non lo incontrai in quell’occasione ma iniziai a guardare con altri occhi il lavoro di questo artista per me un po’ misterioso. Fino al giorno in cui me lo ritrovai davanti in uno studio televisivo e qualcuno ci presentò. Non feci in tempo a raccontargli quell’episodio, che lui disse di conoscermi – sorprendendomi non poco – per le mie attività legate a Springsteen e mi fece un sacco di complimenti. Io che sono la persona meno indicata a ricevere apprezzamenti, nel senso che proprio non ne sono capace e mi imbarazzo terribilmente, non sapendo cosa dire ascoltai, e lui iniziò a parlarmi della sua passione per Springsteen, di “The Ghost of Tom Joad” (dunque non lo Springsteen per le masse), del folk rock americano e di tante belle cose. Ascoltai rapito, anche perché davvero non mi aspettavo di ritrovarmi a parlare con Mango di certi argomenti che persino qualche santone del songwriting italiano, da me sollecitato, aveva elegantemente e misteriosamente aggirato. Mi disse che aveva scoperto tante “vie”, disse proprio “vie”, interessanti leggendo i miei libri.
Poco più tardi, dopo che lui ebbe terminato una registrazione video per cui si trovava lì, lo incrociai di nuovo al bar e gli dissi molto più banalmente che apprezzavo la sua voce e anche quella di sua moglie Laura Valente, la quale nella sua breve militanza nei Matia Bazar aveva inciso un pezzo – “Dedicato a te” – che amavo molto, forse per via di un’arrangiamento che sentivo vicino alle mie corde e a certo pop rock americano in cui iL pianoforte “rotola” felice dietro a tutti gli strumenti. 



Non seppi dirgli molto che lo riguardasse direttamente perché pur riconoscendogli il merito di una grande vocalità non avevo molta familiarità col suo repertorio. Me la cavai malamente dicendogli che mi sarebbe piaciuto sentirgli cantare pezzi altrui perché amo molto le reinterpretazioni. Non si dovrebbe dire a uno che compone canzoni. Me ne pentii subito ma ormai era andata.
Ci scambiammo numeri eccetera.
Con mia enorme meraviglia qualche anno dopo mi arrivò a casa il suo disco “Acchiappanuvole”, accompagnato da un biglietto: c’era scritto “altre vie – ciao, Pino”. Non capii, poi lessi i titoli e mi fu tutto più chiaro. Aveva inciso un disco di cover, che è qualcosa che a un certo punto della carriera tocca più o meno a tutti gli artisti di casa nostra. Dunque nulla da mettere in relazione con quello che ci eravamo detti io e Mango anni prima. Non sono mai riuscito ad influenzare più di tanto gli artisti con cui mi è capitato di avere rapporti consistenti, figuriamoci quelli di passaggio, incontrati per caso. I veri artisti seguono il loro istinto, e quello di Mango lo aveva portato a scegliere una serie di canzoni mozzafiato, davvero una più bella dell’altra, per comporre forse il più bell’album di reinterpretazioni che la discografia “interna” a questo paese ricordi. Assai colpevolmente, non l’ho detto mai a nessuno, credo, o semplicemente non ho mai avuto occasione per farlo. Per questo lo scrivo ora.
Titoli per certi versi prevedibili eseguiti in maniera assai poco convenzionale (“La canzone dell’amore perduto”, “La stagione dell’amore”, “I migliori anni della nostra vita”, “La donna cannone”), altri assai meno scontati resi in maniera superlativa (“Amore bello” di Lauzi, “Dio mio no” di Battisti, “La disciplina della terra” di Fossati, “Senza pietà” dal repertorio di Anna Oxa, “Se perdo te” da quello di Patty Pravo). Il tutto confezionato musicalmente in modo eclettico e accurato, non una nota fuori posto, nessuna voglia di strafare, nessun effetto ricercato: un low profile di altissimo livello. Altre vie.
Con due perle, altre vie ancora: “Love” di John Lennon e “Have you ever seen the rain” dei Creedence Clearwater Revival. Molta della musica del mio cuore, italiana e internazionale, racchiusa in un disco solo.
Ho incontrato Pino Mango una seconda e poi una terza e ultima volta due o tre anni fa, durante un Telethon. 



Era afflitto dal modo in cui si stavano mettendo le cose nella discografia italiana, sembrava aver perso il piacere di parlare di musica, lui che di strada ne aveva fatta tantissima e non sempre sotto le luci dei migliori riflettori. Mi parlò dei figli, del suo amore per Lagonegro e la Lucania, di altre cose.
Ho ripreso questa mattina in mano il libretto di “Acchiappanuvole”, arrivato proprio da Lagonegro otto anni fa. L’ho riletto e mi sono commosso. Per la musica e per le parole di Pino Mango.
Leggo frasi sparse, tutte firmate da lui, molte di amore intimo, dedicate alla sua famiglia, altre di sincera passione per la musica, che voglio condividere qui:
“E’ tempo da tacere e da parlare quello di una canzone”.
“Una canzone è un incrocio di nuvole che ogni artista ha regalato al cielo”.
La più dolorosa mi appare ora “Una canzone è un dolore nel petto che s’azzera e zittisce l’accordo sbagliato, se solo il suo odore ti si ficca nel cuore”.

Un dolore al petto ha portato via un grande artista fermandone il cuore, proprio lì, nella sua terra, e proprio mentre cantava, ma in qualche nuvola questo grande artista vivrà per sempre.

Con un abbraccio a sua moglie e ai suoi figli.