È senz’altro l’artista più atteso di questo festival. Cristiano De André è personaggio di assoluto valore artistico, ma anche molto controverso. Purtroppo spesso balza all’onore delle cronache non solo per le sue produzioni musicali, ma anche per arresti e ricoveri ospedalieri, problemi di cui non si è mai conosciuta l’esatta natura dovuti a dipendenza da alcol e droghe e anche mentali, dice qualcuno. Certo essere figli d’arte è sempre complicato. A Sanremo Cristiano presenta due brani come tutti gli altri concorrenti. Il primo che prendiamo in esame è “Invisibili”, scritto insieme a F. Ferraboschi. È un brano dal testo molto forte ed esplicito.



Cristiano infatti mette bene le carte in tavolo a livello autobiografico: “La mia incudine era un cognome inesorabile”. Ecco: quel cognome, De André, che pesa come una incudine. Non è una canzone d’amore, il cantante infatti si rivolge a un altro uomo, non si sa chi sia. Il dubbio però è forte: si starà rivolgendo al padre? Il fatto che il ritornello sia cantato in genovese rende plausibile la cosa, così come i versi pieni di mestizia e i continui riferimenti alla città natale di Fabrizio, Genova: “Perché a Genova si moriva a vent’anni Ma senza diventare mai, mai degli eroi”.



Ci sono poi altri riferimenti: via dell’amore vicendevole, che ricorda certe canzoni del padre, e il continuo rammarico per un rapporto che non è mai stato quello desiderato: “Tu abitavi in via dell’amore vicendevole E io qualche volta passeggiavo da quelle parti lì Il profumo dell’estate a volte era gradevole E le tue medagliette al merito sul petto brillavano Brillavano molto più dei miei lividi Tu camminavi nell’inquietudine E la mia incudine era un cognome inesorabile Un deserto di incomunicabilità Tu eri laureato in danni irreversibili che la droga provoca al cervello Io un po’ di questo un po’ di quello In fondo niente di veramente utile Tu eri bravissimo a specchiarti nelle vetrine Io altrettanto a svuotare le cantine”.



C’è anche autoironia, quello svuotare le cantine, visti i tanti problemi con l’alcol che Cristiano ha avuto in passato. Il difficile rapporto con il padre risulta ancora in questi ultimi versi pieni di mestizia: “Io ho sempre sperato che qualcuno un giorno Potesse accorgersi di noi Ma eravamo invisibili, che non ci vedevamo mai”. Un padre assente, un desiderio forte, ormai impossibile da realizzarsi visto che lui non c’è più. Un testo bellissimo, che sicuramente si candida al migliore di tutto questo festival, cantato coraggiosamente davanti a pubblico e critici che forse non meritano di entrare dentro a dettagli così personali. Ma è questo che fa la differenza fra l’artista e il semplice cantante.

E infine quel ritornello, con tutta la tristezza che solo i genovesi sanno esprimere: “Stu ténpu Ch’u s’è pigiòu a beléssa e u nòstru cantu Pe ripurtane inderée sénsa ciü un sensu Ma òua che se vedemmu Dumàn tüttu u cangiàa Stu ténpu Ch’u s’è pigiòu a beléssa e u nòstru cantu E u l’à ripurtòu inderée sensa ciü un sensu Ma òua che ghe vedemmu Dumàn tüttu u cangia”. Un ritornello che porta con sé un raggio di speranza: questo tempo che si  portato via la bellezza e il nostro canto, e ce lo ha riportato indietro senza alcun significato, ma adesso che lo vediamo, domani tutto cambierà”.