Il testo di “Lentamente” di Arisa si potrebbe definire “poetico” se questo termine non fosse pericoloso. Per essere allora più precisi, è un testo in cui gli autori hanno lavorato ad una certa ricercatezza letteraria, senza accontentarsi della facilità testuale di quegli autori che ritengono che la musica pop debba essere immediata, comprensibile in toto al primo ascolto, e in definitiva un po’ banale. Esiste in effetti tutta una maggioranza di operatori dello spettacolo (registi, produttori, autori di canzoni e sceneggiatori) che ritengono che il pubblico sia composti da persone di scarsa intelligenza, a cui fornire prodotti che evitino l’uso del cervello. Arisa e i suoi autori non hanno mai avuto questo atteggiamento: nelle sue canzoni c’è sempre una fresca originalità, un certo desiderio di uscire dai binari consueti, in cui lo stile sanremese facilmente spinge ad immettersi. Certo, stiamo parlando di una “canzonetta”, come le definì Edoardo Bennato in un brano famoso; ma il merito di Arisa è di saper rimanere leggera senza essere banale né ricercare un fantomatico sentimento comune del gigantesco pubblico di Sanremo. Per questo forse ha vinto nella categoria giovani (cioè in quella categoria da cui maggiormente ci si aspetta un guizzo di originalità) tra le Nuove Proposte al suo esordio nel 2009, ma è arrivata seconda nel 2012 tra i Big, battuta da Emma. In questo testo, a proposito di coraggio compositivo, si azzarda anche l’uso della metafora, strumento tipico dell’armamentario dei poeti, anche di quelli più ermetici: “Quell’orologio fermo da un po’ si è sciolto sopra il letto”, ad esempio, oppure “Masticare la realtà nuda” dice, dopo aver giocato con l’immagine ambigua ma non sguaiata della mela. La canzone che, come da tradizione, nessuno dovrebbe aver sentito, è definita un Bolero. Un filo di malinconia l’attraversa, e supponiamo che la musica sottolineerà questa malinconia. Una donna è stata lasciata, in un momento rimasto fermo “sopra il letto”, in un “ultimo abbraccio”. E “Il primo che passa / si prenderà il cuore / la mia voce amara / e l’anima se la vuole”. Potrebbe sembrare il solito discorso: tu mi hai ferita e io vado col primo che passa. Niente affatto. Il suggerimento è più profondo, e questa profondità è denotata anche da quel procedere e avanzare “lentamente”, come sembra suggerire il titolo e probabilmente il ritmo della canzone stessa. La realtà pian piano si fa visibile, in quell’ora in cui lo sguardo è più fresco e aperto, il mattino: “Lentamente si apre il giorno davanti a me/luce calda che l’orizzonte fa nascere/cresce una mela su un ramo ed io vivo/masticare la realtà nuda/certamente poi mi servirà a non avere paura”. Molto bello. Una ferita, in questo caso d’amore, potrebbe spingere a chiudersi, a serrare il cuore, invece rimanere aperti al mondo consente di continuare a vivere, perché “È come guardi il mondo che poi / ti cambia tutto dentro”. Ecco, ci vuole un certo coraggio per mettere in una “canzonetta” una cosa così seria e anche grande. Quanti sono oggi a dire che è il “masticare la realtà nuda” che consente di continuare a vivere nonostante il dolore? Soprattutto quanti autori di canzoni pop? Ma non basta, perché addirittura, in questa posizione che per la sua positività sembra oggi quasi un miracolo, c’è spazio anche per lo stupore: “L’alba è pronta ed io mi commuovo sempre”.



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