Un taxi che sfreccia alle prime luci dell’alba; un uomo in giacca e cravatta, che si rimette al dito la fede nuziale; un tassista, occhiali e cappellino con la visiera, che guida e guarda avanti. Sono le immagini del video della canzone “Quelli che benpensano”, uno dei maggiori successi di Frankie Hi -Nrg. Datata 1997, raccontava in rima le ombre di una nuova classe che all’epoca stava iniziando a salire i gradini della scala sociale. Una generazione di furbetti di quartiere, cresciuta nel mito del potere, dell’apparenza, del perbenismo, che il rapper torinese descriveva come mostruosa, nei versi di quel ritornello (“sono intorno a me, ma non parlano con me…”) da cantare come, lui, in macchina, muovendo ritmicamente la testa. A 17 anni di distanza, Frankie – Hi – nrg è cresciuto e ha saputo rendere il rap e l’hip – hop accessibili al grande pubblico italiano. Anche attraverso la partecipazione al Festival di Sanremo, vetrina della musica, tempio del nazional – popolare.



La prima volta, nel 2008, partecipò con una canzone dai ritmi latini, che nelle rime del rap invitava alla rivoluzione “senza alcuna distinzione”. Quest’anno ritorna con due canzoni che segnano una nuova pagina della sua vita. “Ho sentito l’esigenza di guardare non più fuori, ma verso l’interno”, ha spiegato qualche giorno fa ad una intervista al Corriere della Sera, raccontando di un nuovo album,”Essere umani”, in uscita il prossimo 20 febbraio. Leggendo il testo di una delle due canzoni per il Festival, “Un uomo è vivo”, si intravede l’inizio del percorso di crescita e (dolorosa) maturazione, che inizia con una perdita dei genitori e continua con il ritorno nella casa di famiglia.



La canzone si apre con l’immagine di un posacenere pieno di polvere, “che è sempre stato di là, quello che usava papà”, primo oggetto che cattura l’attenzione di un uomo che si sta guardando intorno, in uno spazio che non riconosce più. Le parole in rima del rap ricostruiscono così l’intimità di una casa, la tranquillità di tradizioni, e volti, e storie perdute. Una casa fatta di “mobili, compagni stabili, con gambe solide” che “i terremoti son riusciti a scuotere, che hanno visto la pianura e il mare, che hanno avuto tempo per pensare” che “c’erano ad ogni Natale”. Una casa che ha vissuto la quiete e la tempesta senza cadere, e che ora sembra immobile cristallizzata. Delicatissimo il passaggio che parla “dell’ennesima visita, con mani da stringere, giacche da scegliere, tutti a convincersi dell’irreparabile”, che lascia intravedere il dolore del distacco, e quegli ultimi attimi infiniti, segno di un definitivo passaggio di vita: è la perdita dei punti di riferimento, di chi dava vita a quella casa di famiglia, e che ora rivive in quel figlio che diventa padre, che diventa uomo.



Segno di una vicenda personale , omaggio ad una storia di famiglia, e testimonianza di gratitudine. Ma anche racconto di quel momento in cui la vita ti mette così di fronte alle “cose importanti: cose da grandi. Cose che arrivano, che non domandi, non rimandi, che tramandi”, insegnamenti che hai ricevuto e che trasmetti, insieme ai ricordi, insieme agli oggetti. Nel ritornello “Un uomo è vivo quando respira – un uomo è vitale se fa respirare . C’è un istante nel quale ogni uomo diventa suo padre.  Un uomo nascendo conosce l’amore”, c’è la gratitudine per un amore che ti è stato donato, fin dall’inizio, e che ti ha dato respiro. E rivive negli oggetti, nei ricordi, nel cuore di quel figlio, un uomo, a cui quel mondo ha dato la vita e che ora ha imparato a vivere ed amare. In quella casa, in quelle mura, nelle pieghe della vita di quella famiglia, raccontata dalle rime che scorrono con dolcezza, possiamo ritrovarci anche noi. In quel figlio che diventa padre e madre e cresce, in quel passaggio, c’è la storia di ogni vita, il ritmo che scandisce ogni esistenza, in una rete di continuità e di speranza.

 

(Maria Elena Rosati)