Pochi giorni fa è stato l’anniversario del celebre concerto di Johnny Cash nella prigione di San Quentin. E da allora sono passati ben 45 anni. Per molti il più bel concerto di Cash nonché uno tra i migliori live di sempre.
Un concerto intenso, di altissima qualità, reso godibile e arricchito dalle doti da intrattenitore e di showman di Cash (non dimentichiamoci che di lì a breve metterà in luce tutte le sue qualità diventando la “ Voce d’America” con lo spettacolo televisivo Johnny Cash show).
Sin dal 1957 Cash suonava nelle carceri e da tempo mostrava l’intenzione di registrare una di quelle esibizioni. “Live at Folsom Prison” del gennaio 1968 è stata la prima incisione: “Il carcere è l’unico posto dove registrare un album dal vivo: non avevo mai sentito una reazione simile alle mie canzoni”.
L’impegno e l’attenzione di Cash nei confrontidei carcerati, spesso oggetto delle sue canzoni, e le sue abituali frequentazioni delle prigioni… come visitatore, come “ospite” (qualche nottata in cella per ragioni legate al consumo di droghe) e come performer, sono note ai più. Del resto le intenzioni di Cash sono chiaramente espresse nella sua canzone manifesto Man in Black: “Indosso il nero… per il detenuto che ha a lungo pagato per il suo crimine, ma è lì perché lui è una vittima dei tempi”. I detenuti potevano contare su Cash, loro dovevano sapere che non erano stati dimenticati.
Filmato e registrato con l’intenzione di essere immesso sul mercato “At San Quentin” negli anni è stato proposto in vari formati: come Lp nel giugno del 1969, come riedizione ampliata nel 2000 e in Legacy edition (2cd + dvd del documentario) nel 2006.
Carismatico e performer formidabile, quello che sorprende ed entusiasma di Cash è la sua spontaneità: sin dai primi suoni si percepisce che in quel contesto si trova perfettamente a suo agio. Le immagini disponibili del tempo presentano un artista in perfetta forma fisica e ben determinato fin dal suo ingresso nel carcere. Un uomo vissuto, un volto segnato dal peso degli anni, spalle larghe, capelli perfettamente laccati e una camminata lenta e spavalda. Sulle note di Big River John si presenta al pubblico con il rituale e naturale “Hi, I’m Johnny Cash” che gli consente di rompere il ghiaccio e di prendere il controllo della scena già dalle note iniziali.
Un saluto diventato consueto nel tempo, così come l’espressione: “It’s good to be with you”. Cash non perde mai il suo senso dell’umorismo, tanto che gli inframmezzi tra una canzone e l’altra sono piacevoli e divertenti: “Sapete siamo in tour da una settimana e dopo l’ultima sessione di registrazione hanno detto che il vecchio Johnny Cash (avrebbe compiuto 37 anni due giorni dopo) lavora bene sotto pressione”! Cash comunica al pubblico che il concerto sarebbe stato registrato e trasmesso da una televisione inglese. Deciso ma con voce tremante Cash scalda il pubblico: “mi hanno detto di fare quella canzone, di fare quest’altra canzone, di stare in un certo modo e di comportarmi così… non hanno capito, sono qui per fare quello che voi volete che io faccia e per fare quello di cui io ho voglia. Cosa volete sentire”?. Boato, urla, richieste e Cash che attacca con una versione incendiaria di I Walk the Line (per l’appunto “Rigo Dritto”).
Per l’esecuzione di Darlin’ Companion di John Sebastian, viene raggiunto sul palco dalla sua anima gemella June Carter che aveva sposato in seconde nozze un anno prima e che rimarrà la sua compagna per il resto della vita.
Per l’occasione Johnny ha composto e presenta delle nuovi canzoni, tra le quali Starkville City Jail. Sul palco non trova il testo della canzone e chiede aiuto ai secondini di recuperargli la borsa con la sua roba (all my dope…, un gioco di parole provocatorio). La canzone parla del suo arresto alle due di notte per mano della polizia di Starkville. Una notte in cella e una multa di trentasei dollari per avere colto dei fiori… o più verosimilmente perché stava girovagando in stato di ubriachezza. Cash: “non chiedetemi cosa mi avrebbero fatto se avessi colto una mela o altro”!
Dove lo trovate uno, un’artista affermato s’intende, che viene a fare uno show “a domicilio”, che scrive una canzone appositamente per i suoi “ospiti” e che esegue questo brano per due volte di fila? “Pensavo a voi giusto ieri, sono già stato qui tre volte e penso di avere capito un po’ meglio di come vi sentiate su certe cose, non è affare mio di capire come vi sentiate su altre cose e su altre cose ancora invece proprio non mi interessa!”. San Quentin è un’altra canzone composta per l’occasione in cui Cash si è voluto immaginare detenuto in quel carcere dal 1963: “San Quentin you’ve been livin’ hell to me… San Quentin I hate every inch of you”! Cash sa come conquistare i cuori e i favori del pubblico e tra i boati di acclamazione propone: “One more time”? e dopo il classico “Can i have a glass of water” ripropone San Quentin per la seconda volta. “Prima di andare via probabilmente la rifarò… mi sto piacendo”! Un gigante.
Meritevole di menzione anche l’esecuzione di Wanted Man scritta la settimana precedente in Nashville con Dylan: “Non devo dirvi certo io chi sia Bob Dylan, the greatest writer of our times” (ed era solo il 1969)! Anche A Boy Named Sue è una canzone nuova, il suo testo gli era stato dato da Shel Silverstein qualche giorno prima. Primo singolo dell’album, riscuote un notevole successo di vendite. La canzone parla di un padre che prima di abbandonare il figlio maschio decide di chiamarlo Sue (un nome da femmina) per metterlo fin da subito di fronte alle difficoltà della vita: “Bill or George! Anything but Sue”!
L’esecuzione di Folsom Prison Blues è forsennata e il suo testo, crudo e spietato, che è stato scritto dal punto di vista di un detenuto: “Ho sparato a un uomo a Reno solo per vederlo morire” fa ancora oggi raggelare il sangue al suo ascolto.
In una sala illuminata a giorno dalle luci dei neon, i secondini armati sono in costante tensione e pronti ad intervenire per placare eventuali rivolte. Comunque Cash dimostra di sapere il fatto suo e come scrisse Ralph Gleason sulle pagine di Rolling Stone dell’epoca: “Ciò che ha fatto era al limite, se si fosse spinto un millesimo più in là il pubblico sarebbe esploso. Sapeva quando fermarsi”.
Fervente cristiano e amante della Bibbia, anche in questo show Cash include in scaletta delle canzoni gospel: (There’ll be) Peace in the Valley e He turned the water into wine. “Una cosa seria” e Cash racconta del suo viaggio con June in Terra Santa nell’anno precedente, della piccola cittadina di Cana, della sua chiesetta, luogo in cui è avvenuto il primo miracolo di Gesù dell’acqua trasformata in vino: ”Una volta uscito ho avuto un’ispirazione, se mai ne ho avuta una, ecco l’ho avuta allora” e andando verso Tiberiade in macchina nei minuti successivi ha scritto He turned the water into wine.
Johnny Cash sapeva mettere tutti d’accordo. Amato dagli adulti per il suo trascorso nell’esercito, per le origini umili e di provincia, per suoi canti popolari e per i suoi testi religiosi, trova apprezzamento anche tra i più giovani a cui piace la sua immagine da ribelle e da fuorilegge: emblematica in tal senso la celebre foto di Jim Marshall che ritrae Cash che mostra il dito medio proprio durante lo show a San Quentino. At San Quentin è un disco imprescindibile in cui la grandiosità di Cash trova la sua piena espressione. Johnny Cash non è solo un eroe americano ma è anche un vero eroe dei nostri tempi.