Quarantott’ore circa dalla fine del festival di Sanremo, sale sul palco del teatro Arcimboldi di Milano Antonello Venditti (dato il tutto esaurito, una replica è prevista per il prossimo 15 aprile). Ecco: vincitori e concorrenti tutti del festival avrebbero dovuto essere portati qua, stasera, in prima fila, a imparare cosa significhi cantare e interpretare canzoni. Le canzoni vere, non quelle usa e getta confezionate da un riproduttore automatico, e cantate pure malamente che tanto del pubblico di Sanremo non si accorge nessuno che sei stonato. Qua avrebbero forse imparato cosa significhi che una canzone è la vita, non un banale passatempo.



E’ incredibile che distanza anni luce passi tra la pochezza di Sanremo e quello che stiamo vedendo sul palco: un uomo di 64 anni, che canta da cinquanta di questi anni. Lo spettacolo, infatti, comincia con Sora Rosa, scritta a 14 anni e dedicata alla nonna “che mi portava a Messa tutte le domeniche alle otto e mi faceva mangiare fino a pesare 94 chili”, racconta: è lo spunto per una narrazione in parole e musica che durerà circa quattro ore. Quello che poi racconta Antonello è che a mezzogiorno anche i genitori lo portavano a Messa, da cui un evidente rapporto conflittuale con la fede…



Come mai prima infatti Antonello si racconta, da solo, su di un palco, la testimonianza di un percorso umano e artistico unico perché unici erano quegli anni, i 60 e i 70, che Venditti ha avuto la fortuna di vivere da protagonista. E’ uno spettacolo non facile, che richiede attenzione, ma anche rispetto per l’artista che affronta una sfida difficile.

Tra i tanti aneddoti ce n’è uno solo che vogliamo riportare. Quello in cui racconta come, a metà degli anni 60, lui e tanti altri giovani amassero passare le giornate e le serate in Piazza Santa Maria di Trastevere, dove si incontrava tutta Roma: quella del cinema, quella del teatro, quella della musica. Qui, racconta, conobbe Pasolini, Gian Maria Volontè e tanti altri. Qua c’era la vita in carne e ossa, non quella di oggi, dice, che si consuma su facebook cliccando “mi piace”. E’ proprio così: allora c’era la vita vera, oggi c’è una vita virtuale che rende tutti soli e disperati. Come non potevano non nascere grandi canzoni in quell’atmosfera?



Ed ecco quindi uno sfracello di brani che mettono i brividi per la loro ancora intatta e attuale bellezza, eseguite in splendida solitudine al pianoforte: Mio padre ha un buco in gola, Roma capoccia, Le cose della vita, una commovente Campo de’ Fiori, una emozionante Compagno di scuola che fa esplodere ancora tutta intera quella domanda (“ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?”), una straziante Lilly in versione rallentata. E ancora, una possente Lo stambecco ferito, con una coda finale al pianoforte che sembra non finire mai, tra classica e improvvisazione. Straordinario. In pochi minuti abbiamo una testimonianza, vitale, di come si faceva musica dal vivo negli anni 70.

Il racconto e le canzoni si spostano avanti negli anni, fino ad arrivare agli 80: certo, non è uno spettacolo facile questo, tra teatro e musica, e qualcuno, i più giovani, protesta. Chiedono più canzoni e meno parole, ma lui li riguardisce come si deve: se volete le canzoni e basta compratevi i dischi e statevene a casa. Perché i giovani di oggi non hanno più la pazienza di ascoltare storie di vita, aggiungiamo noi? Semplicemente perché oggi non si vive più. Ma le storie continuano e così le canzoni:Sotto il segno dei pesciNotte prima degli esami (intanto sono arrivati sul placo anche alcuni componenti della sua band e l’accompagnamento musicale adesso è più ricco), la sempre divertente ed efficacePenna a sfera, dedicata a tutti quei giornalisti “servi del potere” ieri come oggi, e ancora Giulia con le sue complicate alchimie sonore, e Sara, due delle mille donne cantante con tenerezza da Venditti. 

Il quale stasera ha davvero stupito: quattro ore sul palco, un concerto che è la sua e la nostra storia, attraverso alcune delle canzoni più belle di questa storia. Non è un festival: è la vita. Che fantastica storia è la vita, come cantava lui stesso…