Pochi eventi, nella storia del mondo moderno, hanno avuto un impatto profondo come quello della Grande Guerra sulla cultura europea e, al contempo, rare sono le grandi svolte epocali altrettanto impreviste, devastanti, traumatizzanti. Fra il 1914 e il 1918 la Grande Guerra produsse mutamenti di vastissima portata sul piano politico, economico, sociale, culturale, come pure, e inevitabilmente, sul piano intimo e profondo delle coscienze individuali. Nel corso di quegli anni il flusso della vita e della storia si interruppe almeno per un momento e lì, in quell’arresto cardiaco della storia europea, si poterono cogliere simultaneamente l’agonia del vecchio mondo (la Finis Austriæ ma non solo, Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus…) e l’irrompere del nuovo: l’una non ancora compiuta, l’altro non ancora pienamente dispiegato ma già chiaramente visibile tra i lampi e le terrificanti esplosioni (veicolo di esperienze sonore di inaudita potenza). L’esperienza della guerra insegna la moltiplicazione e la frammentazione delle immagini visive e sonore del mondo ed incorpora la maggioranza delle trasformazioni nel tempo e nello spazio del periodo ad essa antecedente, segnando una tappa decisiva della transizione del mondo occidentale verso la società di massa (tant’è che la seconda guerra mondiale ne apparirà piuttosto come un prolungamento). 



Con il sanguinoso “rito di passaggio” della Grande Guerra (non a caso “Le Sacre du printemps” deflagra a Parigi giusto un anno prima dell’inizio del conflitto) si dispiegò un nuovo paesaggio mentale. Fu allora che lo specchio della civiltà occidentale andò in frantumi. Fu allora che un “colpo di tuono” – come scrive lo storico Antonio Gibelli – “squarciò il velo del progresso e aprì le porte della modernità, disvelandone la micidiale ambivalenza”. E rimane più che mai attuale l’interrogarsi del soldato Robert Musil: “già oggi suona di nuovo incredibile come sia stato possibile a uomini normali, in serie, milioni per tutta Europa, vivere per quattro anni dove la vita era logicamente un assurdo senza smarrire la ragione, senza perdere d’umanità, conservando intatta la capacità di esere allegri, di gustare piccole gioie animali, di coltivare legami d’affetto; sostituendo valori nuovi ai valori sconsacrati, trovando nella propria coscienza giustificazioni all’assurdo e all’orrore”. 



Il grande edificio della civiltà ottocentesca – secondo Eric J. Hobsbawm – crollò tra le fiamme della guerra mondiale e i suoi pilastri rovinarono al suolo: senza la guerra non si può comprendere il “Secolo breve” (1914-1991), un secolo segnato dalle vicende belliche, nel quale la vita e il pensiero sono stati scanditi dalle guerre mondiali, anche quando i cannoni tacevano e le bombe non esplodevano. E così la prima guerra mondiale, definita “grande” a partire dal 1915, non soltanto resiste al tempo e continua ad essere solidamente presente in seno alle società occidentali contemporanee, ad un secolo dal suo sinistro avvio. Strana presenza



L’avvicendarsi stesso delle generazioni sembra giocare un ruolo contrario a quello che ci si potrebbe attendere, tanto che la maggioranza dei giovani oggi sembra considerare quel tragico evento come uno degli avvenimenti più importanti del XX secolo, e più le generazioni sono giovani più la sua importanza viene sottolineata. In tutto il mondo occidentale il legame con i “fatti del 1914-18” non si è spezzato ed al contrario sembra di assistere al suo rafforzamento e così oggi, nonostante i molti anni che ci separano dal massacro, la Grande Guerra è ancora assai lontana dal cadere nell’oblio o dal suscitare indifferenza.

E’ interessante notare che per ora in Italia solamente un festival musicale (quello di Ravenna, giunto ad un quarto di secolo) sia dedicato alla Grande Guerra: dal 5 giugno al 4 luglio, la prima guerra mondiale sarà il filo conduttore della Manifestazione : si riascolteranno la messa degli alpini e quella delle alpi marittime (nonché il requiem verdiano tanto nella città romagnola quanto nel Santuario di Redipuglia,gli echi di battaglie ed i rapporti tra amore e guerra attraverso musica di vari secoli, ci saranno spettacoli di prosa ispirati a quegli anni, molte grandi orchestre italiane e straniere con sinfonica ispirata al tema. Mancherà quasi completamente la lirica (L’Elisir d’Amore e La Bohème verranno messe in scena in inglese da un complesso di dinner theatre britannico) anche e soprattutto perché dal 1914 al 1919 l’opera , soprattutto quella italiana, parve ignorare la guerra. Scorriamo i titoli delle prime assolute di maggior successo: Parisina di Mascagni, Francesca da Rimini di Zandonai, Madame Sans Gêne di Giordano, Fedradi Pizzetti, La Rondine di Puccini, Lodoletta di Mascagni . Ci si rifugiava in mondi lontani od in commedie leggere. I Teatri erano lontani dal fronte. Non così in tutti i Paesi europei. In Germania, ad esempio, Strauss e Hofmannsthall reagivano alla guerra con la vittoria di eros su thanatos (Ariadne auf Naxos)oppure con un grande inno alla vita (Die Frau ohne Schatten).

E’ tema complesso che il festival di Ravenna ci indurrà ad approfondire.