Il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali, Dario Franceschini, rientrato al lavoro dopo avere subito un serio problema di salute, ha annunciato che riorganizzerà il dicastero e aprirà maggiormente il finanziamento della cultura ai privati.
E’, al tempo stesso, una notizia e impegno importante. Presentiamo subito una proposta: iniziare sostenendo, con contributi diretti e sgravi tributari, alla Orchestra Sinfonica di Roma sino ad ora sostenuta quasi interamente dalla Fondazione Roma, Arte – Musei. L’Orchestra ha ricevuto un encomio dal Capo dello Stato, per quanto sta facendo per fare riscoprire il repertorio sinfonico italiano, obliato per decenni. L’orchestra che ha un programma di 30 concerti l’anno la domenica pomeriggio all’Auditorium di Via della Conciliazione (ciascuno replicato il sabato sera) ed opera anche incidendo l’integrale per due importanti case discografiche internazionali (la Sony e la Naxos) – un progetto di lungo periodo ma per il quale l’orchestra ha già preso 12 importanti premi internazionali.
L’orchestra, l’unica che non riceve alcun finanziamento pubblico in Europa (è stata creata per iniziativa della Fondazione Roma, Arte-Musei, che la sostiene) svolge non solo un importantissimo compito culturale (specialmente nella riscoperta del patrimonio sinfonico italiano), ma anche importanti attività sociali non solo tramite concerti di beneficenza ma anche andando a suonare in ospedali e istituti di detenzione e pena, sta incidendo l’integrale del sinfonismo italiano per due importanti case discografiche internazionali (la Sony e la Naxos) – un progetto di lungo periodo ma per il quale l’orchestra ha già preso 12 importanti premi internazionali ed effettuato tournée in tutto il mondo.
La sua efficienza e qualità sono stati oggetto di uno studio dell’Istituto Bruno Leoni. Pratica inoltre una politica di prezzi diretta a favorire giovani e anziani pensionati; ha una vasta schiera di abbonati. Dato che il supporto della Fondazione Roma sta diminuendo , è essenziale che il dicastero intervenga.
I problemi del Ministero sono stati analizzati nel volume di ASTRID I Beni Culturali tra tutela, Mercato e Territorio a cura di Luigi Covatta, pubblicato nel 2012 da Passigli Editori. Le conclusioni sono confermate (in modo ancora più drammatico, nel libro Il Governo della Cultura- Promuovere lo Sviluppo e la Qualità Sociale di Walter Santagata pubblicato postumo da Il Mulino nel febbraio 2014). Anche circa tre decenni fa quando interagivo istituzionalmente con il MIBACT nella mia veste di direttore del nucleo di valutazione degli investimenti pubblici del Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica, avevo la distinta impressione che il MIBAC non brillasse per efficienza ed avesse serie difficoltà ad individuare come valorizzare il patrimonio di beni culturali (in senso lato) della Nazione. La mia esperienza al Consiglio Nazionale mi ha lasciato con la netta sensazione che la situazione è peggiorata sia in raffronto con altre amministrazioni dello Stato sia in termini assoluti.
Indicatore eloquente è la ventennale tendenza del MIBACT di spendere raramente più del 44% delle somme destinategli per spese in conto capitale sia per nuovi investimenti sia per manutenzione straordinaria; misure specifiche per tentare di superare questo nodo approvate all’unanimità dal Consiglio Nazionale e decretare dal Ministro pro-tempore nel maggio 2009 non sono state mai attuate. Non solo l’apposita unità di valutazione della spesa, creata nel MIBACT come in tutte la altre amministrazioni, in base ad una normativa del 1999 ancora in vigore, è stata di fatto smantellata circa dieci anni fa. Indicazioni tecnico-economiche specifiche per la valutazione e la valorizzazione dei beni culturali, elaborate in seno all’apposito comitato tecnico-scientifico per l’economia della cultura ed approvate dal Consiglio Nazionale, non hanno dato corpo neanche ad una circolare amministrativa agli uffici. Non ha avuto alcun seguito il tentativo di mettere in atto programmi di formazione specifici (in valutazione e valorizzazione dei beni culturali) o con la Scuola Superiore di Economia e Finanza o con la Scuola Nazionale d’Amministrazione all’inizio di questo decennio sulla falsariga di quelli organizzati alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione tra il 2000 e il 2005.
Esiste una vasta gamma di fattispecie per la partecipazione tra operatori privati e le pubbliche amministrazioni (oltre al Ministero le autonomie locali che, specialmente dopo la riforma del Titolo V della Costituzione effettuata nel 2001 hanno vaste competenze in materia di varie tipologie di beni culturali). Tali fattispecie, che includono specifiche ‘convenzioni di valorizzazione’ meriterebbero un’analisi approfondita da un giurista specialista del ramo. Tuttavia, sono state utilizzate molto raramente, e che sovente abbiamo dato luogo a polemiche (l’esempio più noto è quello degli invertenti per il restauro del Colosseo) che hanno avuto l’effetto collaterale di incoraggiarne la diffusione.
In molti Paesi, la leva utilizzata più di frequente per incoraggiare i privati (imprese od individui) ad interventi di valorizzazione dei beni culturali è quella tributaria. Negli ultimi anni, il comitato tecnico-scientifico per l’economia della cultura del Ministero (presieduto prima dal Prof. Walter Santagata e successivamente dall’autore di questa nota) ha tentato di promuovere una razionalizzazione del settore ed un suo graduale avvicinamento a sgravi fiscali allineati su quanto in vigore in altri Stati dell’Unione Europea (UE)- ad esempio, in Francia le deduzioni dal reddito imponibile raggiungono, per elargizioni finalizzate a certe attività culturali le deduzioni raggiungono il 60% del reddito imponibile.
La normativa in atto in Italia è molto complessa e prevede complicate procedure ; la Direzione Generale Valorizzazione del Ministero ha di recente diramato un utile opuscolo per meglio illustrarla ai potenziali interessati. Il suo cardine sono , tuttavia, detrazioni d’imposta del 19%; l’incentivo , quindi, è destramente limitato per persone fisiche e giuridiche sul sui reddito grava un tasso marginale d’imposta superiore al 19% – ossia per quasi tutta la potenziale platea di interessati poiché è difficile pensare che grandi numeri di persone fisiche o giuridiche a reddito basso abbiamo la volontà e la capacità di effettuare elargizioni liberali per la valorizzazione di beni culturali.
A riguardo, è utile fare riferimento ad un altro aspetto non meno importante: in che misura, per path dependance od altre forma di tradizione storico-culturale, gli italiani sono ‘disposti’ ad effettuare elargizioni per la cultura e la sua valorizzazione . Un’analisi effettuata per conto dell’Associazione ‘Civita’ dall’Università di Roma ‘La Sapienza’ nel 2009 – in collaborazione con il comitato tecnico-scientifico del MIBACT – concludeva che gli italiani sono ‘disposti a donare’ ma ‘molto poco disposti a donare per la cultura’In sintesi . ‘il 75% della popolazione italiana di età superiore ai 25 anni dichiara di aver effettuato almeno una donazione nel corso degli ultimi tre anni. Ci troviamo di fronte ad un’ampia disponibilità a donare, con particolare riferimento a ricerca medica (63%), aiuti di emergenza (57%) e assistenza sociale (32%). Il dato delle donazioni a favore di arte e cultura si attesta sul 5,6%.L’analisi dei risultati ci mostra una popolazione con una spiccata sensibilità nei confronti della tematica della conservazione del patrimonio artistico, buona fruitrice di mostre e/o musei nel corso dell’anno (circa 1/3 ha visitato più di 3 mostre nel corso dell’ultimo anno), attiva nel campo del volontariato (poco più del 34% aderisce ad associazioni), che utilizza prevalentemente stampa e Internet per tenersi informata. ‘ Da allora, la situazione non è mutata.
Forse, peggiorata a ragione degli effetti della crisi economica su individui, famiglie ed imprese. Un recente (dicembre 203)documento previsionale del Centro Studi Confindustria (intitolato ‘Cultura, Motore dello Sviluppo) include una dovizia di dati e raffronti internazionali su come gli italiani , pur affermando di dare alto valore a varie forme di cultura e pur essendo coscienti della ricchezza del Paese in termini di heritage culturale, poco partecipino alla stessa fruizione di cultura(visite a musei, a gallerie , a monumenti storici, a concerti, a spettacoli di opera e balletto) anche ove fortemente sussidiati o gratuiti e poco del loro reddito spendano per consumi culturali. Nel 2008, il Centro Studi Confindustria era giunto a conclusioni analoghe nel Libro Bianco La Valorizzazione della Cultura tra Stato e Mercato.
Fatte queste premesse, una semplificazione della normativa sarebbe indubbiamente di grande utilità. E’ stato proposto, in analogia di quanto in vigore per il cinema, un credito d’imposta un credito d’imposta nella misura del trenta per cento degli investimenti sostenuti da persone giuridiche per la tutela, la conservazione e la promozione, anche all’estero, dei beni culturali e paesaggistici La misura del 30 per cento è elevata al quaranta per cento qualora i predetti investimenti siano stati effettuati da persone fisiche ovvero da soggetti a queste equiparate dalla legislazione tributaria in materia di imposizione sui redditi. Naturalmente, ci sarebbe un ‘tetto’ all’importo per il quale, per ciascun periodo d’imposta, si beneficerebbe di credito d’imposta . Verrebbero, ovviamente, specificate, le attività per le quali sarebbe ammesso il titolo d’imposta, le modalità per ottenerlo ed i controlli. Proposte su queste linee sono formulate, a livello tecnico, nelle ultime due Legislatura ma non hanno mai avuto attuazione concreta. Non risulta che il Ministero abbia iniziato discussioni tecniche con il Dipartimento Politiche Fiscali del MEF.
Un segnale importante immediato sarebbe una ‘rete di sicurezza’ per la sinfonica romana (dimostrerebbe un chiaro orientamento a favore delle attività culturali che rendono e che possono essere oggetto di partnership tra pubblico e privato) e la riapertura del dossier sugli sgravi tributari.