Una varietà di note che è come un flusso continuo di stupore, contemplazione e vita.  Questa è la musica che si lascia svelare e che svela il nostro profondo smarrito nella disattenzione cronica di un quotidiano frenetico ed esausto che avvolge esistenze e imitazioni di umanità.

Questa è la musica liquida di Chiara Rosso, talento puro e prezioso fuoriuscito dalle pendici del Monviso e questa è la linfa di un bel disco, vivo, che non lesina spunti e soluzioni che fanno vibrare quell’intuizione originaria come fresca ed attuale.



Cantautorato jazz? Pop maturo e raffinato? Songrwiting evoluto benedetto da una voce dalle grandi qualità tecniche e improvvisative? Difficile se non impossibile inquadrare e restringere la scelta artistica della Rosso ad uno piuttosto che all’altro di questi aspetti.  Come nei casi migliori della musica che fa il suo mestiere senza lasciarsi incasellare in schemi o cliché, ciascuna di queste inflessioni può essere colta senza poterne limitare l’espansione.  Una forza misteriosa vive e si impone sotto un tessuto di note, arrangiamenti e intuizioni al calor bianco.



Disco d’autore certo, e nel senso migliore del termine.  Libertà, creatività, tecnica, ferri del mestiere strappati all’estemporaneità caotica e inseriti in un contesto armonico e coerente che dà senso e direzione a quelle intuizioni.  Intorno alla protagonista una band di ottimo livello che piuttosto che farsi ingolosire da ambizioni di jam, suggerisce, riveste e sottolinea la forza nuda e intima delle canzoni e delle strutture vocali allestite dalla protagonista.

Fascino morbido e fanciullesco, voce allevata alla scuderia di nobili padri e madri di generi e controgeneri del jazz, la Rosso mette in fila una serie di canzoni di livello buono, ottimo con tre o quattro picchi d’intensità fuori dal facile senso comune della cosiddetta musica che funziona.



Divenire è l’inizio, una nuova partenza, il sentore di continuità con un passato che lascia segni buoni di sé.  Pop raffinato, tendenze world-soul delle ultime decadi, uso non comune di semitoni sparsi.  Qui come in altri episodi l’incipit è fornito da un design pianistico che evoca un movimento di gocce d’acqua.   E poi Parigi, dolce quadretto di cabaret-chantant che imbarca con disinvoltura riflessi di tradizione e di arte di strada.  Situazioni che si ripetono e si definiscono più avanti nel lavoro in episodi come la quasi title-track Acqua o nella forza ammiccante ed estroversa di Leggera.  E ancora piccole perle che sviscerano, con perizia e solidità di riferimenti, mischiamenti furtivi tra jazz, pop e lascito della grande musica melodica americana.  Significative in questo senso la morbida Rain e soprattutto Niente stelle, sfondo notturno e sinuoso, tiro melodico memorabile per una canzone dalle atmosfere serrate e dai fugaci accenti rock.

Pastiche d’autore, fantasie musical ed echi cameristici vanno a comporre un collage che sa sorprendere per avvicendamento continuo di punti di riferimento spingendosi a tratti dove ha osato la Spalding dell’ambizioso “Chamber Music Society”.  E’ il caso del finale di In una sera/Sogno.  Qui il pianismo nobile dell’alter ego musicale Enzo Fornione introduce un intenso commiato dove la vocalità ammaliante della Rosso si alterna al risoluto forcing di sax soprano dell’eclettico Franco Olivero.

In definitiva una varietà stimolante che concede un surplus di respiro al disco.  Da Dindalan, ninna nanna multiarmonica e onirica che ne mette a fuoco ed esalta il volto contaminato tra suggestioni sciamaniche, escursioni di ottave e nenia popolare, alle movenze suadenti ricche di feeling e memorie nostalgiche dell’irresistibile bossanova Adone

E così fino alla fase più genuinamente jazz del lavoro che ben introdotta da Salto nel vuoto, viene esaltata dalla smagliante sortita in duo di Deviazioni improvvise vero e proprio pezzo di bravura dove il continuo assist pianistico di Fornione e l’inesauribile slalom vocale della nostra riempiono tutto lo spazio consentito e non, evocando – da soli – la potenza e la ricchezza di un tour de force orchestrale.  

Questa è l’acqua di Chiara Rosso, acqua come incontenibile espansione, dinamismo, indicibile desiderio di vita e di senso.  Non quella di seminari, conferenze o feudi culturali, ma quella del sobrio ed umile uso quotidiano, da quella che conforta e ritempra a quella che fa crescere germi d’affezione, da quella che si muove e continua a rigenerare i luoghi cari di ciascuno a quella che sostiene – tra arnesi e tenacia – il nostro nutrimento nella trasparente semplicità dei locali di vita quotidiana.