Nikolaj Rimskij-Korsakov era uno dei più noti, più importanti e più prolifici compositori russi. La sua opera ‘in stile italiano’ (in effetti seguendo stilemi della verdiana La Forza del Destino che aveva debuttato a San Pietroburgo ed era stata un grande successo in tutti i teatri russi in una versione differente da quella approntata per La Scala e diventata ‘di riferimento’) trattava di una vicenda storica (o leggendaria) del 1572 (la ricerca della terza moglie per lo Zar Ivan il Terribile, vedovo) ed era tratta da una ‘tragedia’ teatrale del 1849 di Lev Aleksandrovic Mej (scrittore e poeta che, come consueto in quegli anni del romanticismo, si ispirava ai drammi storici di Shakespeare). 



Perché nel 1899 non venne accolta in uno dei Teatri Imperiali ma la sua prima assoluta avvenne in una sala secondaria di Mosca, non di San Pietroburgo, ad opera di un impresario privato e grazie ad una sottoscrizione di amici? Il libretto di Ill’Ja Tjumenev ed ancor più la musica, con riferimenti alla tradizione russa ma fortemente ancorata al melodramma italiano a ‘numeri chiusi’ (arie, duetti, terzetti, quartetti, uno strabiliante sestetto, concertati), danno un quadro impietoso di una classe dirigente putrida e corrotta, che guarda all’Occidente solo per recepirne gli aspetti peggiori, stritola gli elementi positivi della giovane generazione. Un’opera, dunque, eminentemente politica che precede di otto anni l’ultimo capolavoro di Rimskij-Korsakov, quel Gallo d’Oro che è una satira feroce della Corte e delle gerarchie militari.



La sera del 2 marzo, prima scaligera del nuovo allestimento coprodotto con la Staatsoper di Berlino, l’opera assumeva un significato particolare per chi aveva passato parte della domenica pomeriggio incollato al televisore a seguire i servizi dalla Ucraina e dalla Federazione Russa. Purtroppo, parte del pubblico delle ‘prime’ della Scala è iperconservatore e non ha compreso la portata della regia di Dmitri Tcherniakov  (che  ha firmato anche le scene mentre i costumi sono di Elena Zaytseva, le luci di Gelb Filshtinsky ed i video dell’équipe della Raketa Media), della concertazione di Daniel Baranboim (che non ha dilatato i tempi ma ha enfatizzato le tinte scure della partitura) e la bravura del cast. Ci sono state proteste nei confronti della regia – fortunatamente travolte da ovazioni.



Una Sposa per lo Zar: quella molto rappresentata in Russia è una delle opere di Rimskij-Korsakov meno frequenti sui palcoscenici italiana. Credo che prima di adesso non sia mai stata vista a Milano. Negli  Anni Ottanta, a Roma si è vista un’edizione con la Galina Visnevskaja e le scene Zack Brown (nonché Rostropovic sul podio) creata Washington Opera negli Anni Ottanta. Alla fine degli Anni Novanta, il ‘Massimo Bellini’ di  Catania ha portato in Italia una messa in scena dalla Helikon Opera con la regia di Dmitri Bertman. Le ho viste ambedue dal vivo. La prima era un grande affresco storico. Nella seconda, con pochi mezzi, quel genio di Bertman trovava un equilibrio tra tradizione ed innovazione: l’azione restava nel 1572 ma non troppo velatamente mostrava una Russia in disfacimento politico e morale.

Dmitri Tcherniakov sposta l’azione ai giorni nostri – all’epoca di e-mail,  tweeter, alta tecnologia che rende paradossalmente più facile il terrore di massa. Al fine di rendere di rendere lo spettacolo  più avvincente, elima  un coro folkloristico al primo atto, accentua l’alcolismo tra le guardie del corpo dello zar e la loro violenza sulle donne. Mentre lo zar (che nell’opera compare come personaggio muto per appena un paio di minuti) è, nell’impostazione drammaturgica di Tcherniakov, una pura invenzione tecnologica di una ‘cupola’, tra cui primeggia la guardia del corpo, convinta che l’Impero ‘sta andando a rotoli’ e necessita di un  leader (meglio se solamente mediatico) per restare unita. Spettacolo avvincente. 

Come accennato, Barenboim non dilata – come suo uso – i tempi. Al contrario, non solo li tiene serrati ma, proprio per accentuare la tensione, effettua alcuni tagli (quali il coro con la ‘canzone del ruscello’ al primo atto). 

La lettura della partitura è fortemente drammatica con colori musicali accentuati. Un elogio merita il coro diretto da Bruno Casoni; è un vero protagonista che si destreggia con maestria in russo. Nel vasto cast, primeggiano le voci femminili; specialmente, le due protagoniste, Olga Peretyatko e Marina Prudenskaya. Tra le voci maschili, di grande impatto Johannes Martin Kränzel, un po’ stanco Anatoly Kotscherga (di cui proprio alla Scala si ricorda un grande Boris Godunov ) e più stentoreo che morbido Tobias Schabel. Nonostante queste imperfezioni è spettacolo da vedere e rivedere (da augurarsi che ne venga prodotto un dvd). Un concorrente di valore per il ‘Premio Abbiati’ per gli spettacoli del 2014.