Per tutti coloro che amano i suoni antichi, che poi significano belle chitarre acustiche, voci forti, dolenti e appassionate, insomma quell’immaginario tutto americano fatto di cieli infiniti e orizzonti sconfinati (che non fa necessariamente rima con automobili e Chrysler, come Bob Dylan, il padre di tutti questi songwriter ci vuole far credere nel suo ultimo, imbarazzante spot pubblicitario) è arrivata una nuova infornata. In tempi bui e sempre più poveri di autentica bellezza (non quella sbandierata a Sanremo, per intenderci), fa solo piacere, ci conforta e ci dà speranza. Ci pensa l’italiana Ird, storico distributore di musica d’autore, a importarli in Italia.
Ecco allora due belle antologie per due eroi cult che tanto hanno colpito l’anima di molti italiani in passato. Il primo è il Bob Dylan di Austin, Jimmy LaFave, che nei primi anni 90 fece gridare al miracolo tanto che per lui si scomodarono nomi autorevoli come Dave Marsh per lodarne la musica. “Favorites 1992-2001” è un cd che raccoglie il meglio della prima parte della sua carriera. A metà strada tra Dylan e Springsteen, le ballate di LaFave aprono uno squarcio di America profonda, solitaria e ruvida, dove la solitudine è una scelta imposta dalle circostanze. Rock per la classe operaia, tra grintosi honky tonk blues scaldati da slide e sezione ritmica incalzanti, e ballate per cuori spezzati. Non manca la gemma dylaniana, autore a cui LaFave ha dedicato splendide reinterpretazioni: Sweetheart like You, da “Infidels” (1983).
La seconda antologia è “Amarcord” che nel titolo felliniano ricorda il meglio di un personaggio incredibile, Bocephus King. La sua voce roca, spiritata e sofferente ricorda per forza di cose quella di un Tom Waits, così come la sua visione musicale anarchica e jazzata, Sorta di cantautore beat, tra Jack Kerouac e appunto Waits, King personaggio difficilmente inquadrabile, amante delle spaziature libere, visionario dal cuore spezzato e dall’anima piegata in due. Canzoni catartiche che prima bruciano e poi cicatrizzano i dolori del vivere quotidiano. Per chi lo sentisse nominare solo oggi, questo disco è per forza di cose imperdibile, anche per l’elegante confezione con ricco libretto illustrato e commentato.
Due dischi nuovi invece arrivano da voci altrettanto solitarie. “If You Lose Your Light” è l’opera nuova dopo quattro anni di silenzio di un altro beautiful loser, Kreg Viesselman. Voce forte e vellutata allo stesso tempo, come un legno antico bagnato dal Bourbon del Kentucky, si pone a metà strada tra le memorie antiche di The Band e quel Ray LaMontagne che proprio di The Band aveva già ripreso il percorso. Suono minimale, splendide chitarre arpeggiate o strumming, poche voci di contorno, Viesselman canta la solitudine dei boschi, quelli della Scandinavia dove si è ritirato a vivere dopo che l’America è diventata sorda a queste voci dell’anima (è successo anche a Bocephus King e in passato a tanti altri, che hanno trovato un pubblico solo nella più attenta e, va detto, molto più colta Europa). E’ un disco di grande fascino, che riporta di schianto ai bei giorni degli anni 70 quando – incredibile a dirsi – questo tipo di musica andava dritta in classfica.
Con Bap Kennedy invece ci spostiamo in Irlanda: l’ex cantante degli Energy Orchard continua la sua carriera solista (dopo opere pregevoli prodotte addirittura da Mark Knopfler e Steve Earle) guardando però adesso al Texas e al Messico, un curioso ibrido fra Europa e America. Il risultato sono canzoni deliziose, forti di una impronta innegabilmente dylaniana, ma rese particolari dai mille colori del Messico. “Let’s Start Again”, titolo ampiamente indicativo della volontà che anima il musicista, è disponibile anche in versione deluxe doppio cd contenente un secondo dischetto con estratti dai suoi precedenti dischi più due versioni acustiche di Jimmy Sanchez e Please Return To Jesus. Perfetto per diventare suoi amici.



Un nome invece abbastanza noto a chi naviga questo tipo di mari è quello di Jono Manson, piccolo geniale folletto della scena underground newyorchese dei primi anni 90, mentore di band che hanno fatto la storia di quello scorcio temporale, ad esempio i Blues Traveler (il cui leader, John Popper, è presente anche in questo nuovo “Angels on the Other Side”). Manson, che ha vissuto anche per diversi anni in Italia, si divide tra la carriera di songwriter e quella do produttore dal tocco raffinatissimo: in questo disco abbiamo un ottimo esempio di quello che sa fare in entrambi i campi. Voce nera di altissima potenzialità e classe, confeziona il suo classico sound rock blues desertico e asciutto, tra brani da roadhouse e tenere ballate notturne, come la bellissima The Frame. E poii una bella sorpresa: la bonus track inclusa nell’edizione italiana del disco è la versione in inglese di L’isola che non c’è di Edoardo Bennato (con cui si è talvolta esibito da vivo) che diventa Never Never Land in una magistrale rilettura gospel solo voce e piano: da brivido.

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