La morte di Manlio Sgalambro, popolarmente conosciuto come autore di alcune canzoni di Franco Battiato, ci ha purtroppo privati, oltre che di una persona di indubbia intelligenza, anche di un’esperienza abbastanza singolare: quella della collaborazione tra un uomo di cultura, un filosofo, poeta, intellettuale e un uomo di spettacolo, un cantante. Quella tra Sgalambro e Battiato non è in realtà un’esperienza unica, ma certamente rara. Per una sorta di snobismo che alligna nella nostra tradizione culturale soprattutto recente, infatti, raramente un intellettuale presta la sua opera e il suo ingegno per operazioni che comportino il coinvolgimento del grande pubblico, colto e incolto che sia. Invece il lavoro comune tra i due ha portato alla composizione di canzoni di grande qualità: basti pensare a La cura, il cui testo è appunto di Sgalambro (“Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare. E guarirai da tutte le malattie, perché sei un essere speciale, ed io, avrò cura di te”), universalmente riconosciuta come una delle più belle canzoni d’amore di sempre, per comprendere la possibile efficacia del connubio tra capacità di intelligenza e possibilità di farsi ascoltare da un pubblico vasto. È questa infatti una canzone amatissima, soprattutto dalle donne, che vedono nell’io narrante (o, meglio, cantante) che in essa si rivolge a loro, l’uomo ideale che sa essere presente alla propria amata, averne cura e proteggerla. Quando un autore riesce a cogliere esteticamente un sentimento diffuso e a dargli voce, siamo sempre di fronte non solo ad un’operazione di tipo commerciale ma anche a un’intelligenza attiva.
Sgalambro è definito generalmente un filosofo nichilista, un elogiatore del pessimismo. E basta scorrere alcuni dei titoli del suo vasto catalogo di opere pubblicate da Adelphi per sentirsi confermati in queste definizioni: De mundo pessimo, Crepuscolo e notte, Della misantropia, La conoscenza del peggio, Trattato dell’empietà. Influenzato dalla filosofia di Friedrich Nietzsche ed Emil Cioran, è proprio quest’ultimo pensatore, il quale dava la colpa di tutti i problemi del mondo alla “carne”, alla presenza nel mondo dell’uomo stesso, che ce lo fa inquadrare meglio come un grande pessimista che di fronte alla consapevolezza della miseria umana e della caducità della vita reagisce chiudendosi in uno scetticismo che sembra piuttosto la ricerca di ciò che segretamente potrebbe essere la riscossa dell’umano. Tagliente, ad esempio, era il suo pensiero sulla politica che vedeva come la “la tutela dei minorati”, sulla quale affermava: “Che io debba essere governato: ecco da dove inizia lo scandalo della politica”.
Le posizioni prese da Battiato, che non è certo stato un esempio di raffinatezza per alcune frasi sul mestiere delle donne in parlamento o le sue idee su chi vota a destra (“è certo che la destra italiana è una cosa che non appartiene agli esseri umani”) non devono trarre in inganno sulla natura del suo amico e maestro di un’intera stagione: Sgalambro sembra più un reazionario che un intellettuale di sinistra. D’altronde è lui che ha affermato che “se Karl Kraus avesse scritto Il capitale lo avrebbe fatto in tre righe” e la sua scarsa fiducia nell’uomo, soprattutto quando è organizzato in società, la dice lunga sulla sua lontananza dai progressisti: “La società dovrebbe salvarci dall’universo che ci ingoia. Ma cosa ci salva dalla società?”. Ancor di più stupisce quindi che un pensatore fondamentalmente aristocratico si sia “sporcato” con la musica leggera, anche se era quella di Battiato, con la sua aura un po’ filosofica, religiosa, persino esoterica. L’ha fatto sempre con leggerezza, adoperando il mezzo della musica per quel che è: in fondo, sono solo canzonette, direbbe Bennato. Il ruolo della rock-star lo divertiva e di fronte a quello del cantante non aveva mai perso il senso delle proporzioni: “Il cantante deve convincere delle sue tesi. Contrariamente al filosofo, però, lui può farlo senza argomenti”.