In quei mesi del 1976 era impossibile non ascoltarla: ogni qualvolta accendevi una radio, la canzone Hurricane di Bob Dylan usciva fuori. Anche nella provincia dell’impero come era ed è ancora oggi l’Italia, così lontana negli anni 70 dal mondo dello spettacolo, della musica e della politica americana, Stati Uniti, il cuore invece dell’impero. In quei giorni Internet era neppure un sogno nella testa di qualche scienziato, eppure la forza di quella canzone fu così devastante che bucò ogni barriera, diventando un singolo di successo planetario. Fu un impatto multi mediatico e multi culturale. Addirittura si ballava nelle prime discoteche, agli albori della disco music che sarebbe esplosa poco dopo con i Bee Gees, per quel suo ritmo incalzante e arrembante. Sbucò anche in televisione, dove Bob Dylan negli ultimi mesi del 1975 si era recato per partecipare a un programma in tributo al discografico che aveva scoperto anni prima lui e tanti altri, ad esempio Bruce Springsteen, John Hammond, e l’aveva cantata in anteprima.



Quella serata venne trasmessa anche alla televisione italiana nei primi mesi del 1976 e per molti fu come se la vita cambiasse nel giro di pochi minuti. Chi scrive quella sera era un ragazzino di 13 anni che cambiò canale così per caso e rimase intrappolato da quella voce mai ascoltata prima, che spalancava orizzonti infiniti, che inquietava e che malediceva, che non era simile a niente altro che avevi ascoltato prima e che ti inchiodava davanti al televisore senza possibilità di proferire un solo “eh”. Per il sottoscritto e per molti altri quella sera la vita cambiò, anzi iniziò, e dopo aver ascoltato Hurricane fu una valanga che dura ancora oggi alla ricerca del cuore e del significato delle canzoni rock.



Hurricane, dopo quasi dieci anni che era scomparso dalle scene, riportava Bob Dylan al centro della musica rock come star mondiale; di più, lo riportava a fare qualcosa che aveva abbandonato immediatamente appena iniziato la sua carriera, lui che l’aveva inventata: Hurricane era una canzone di protesta. Pubblicata come 45 giri (su due facciate, perché durava circa 8 minuti) nel novembre 1975, anticipava il disco “Desire” che l’avrebbe contenuta, uscito nel gennaio 1976. 

Ma cos’era Hurricane? Era una lunga invettiva di rabbiosa denuncia contro l’incarcerazione del pugile Rubin “Hurricane” Carter, che, come cantava Dylan, avrebbe potuto diventare il campione del mondo dei pesi medi. Quella canzone non era solo un brano di protesta: era un feroce atto di accusa contro il sistema giudiziario americano, gestito da pochi potenti per interessi personali, in cui Dylan chiama per nome ognuno di coloro che avevano portato in carcere Rubin: Alfred Bello, Patty Valentine, Arrhur Dexter Bradley, beccandosi più di una denuncia per diffamazione.  Arrestato nel 1966 e incolpato di un triplice omicidio in un bar di Patterson nel New Jersey quando era uno dei più quotati pugili americani e del mondo, Carter sarebbe diventato uno dei casi giudiziari più controversi della storia americana. Sempre proclamatosi innocente, fu evidentemente vittima del clima razziale di quei giorni, quando le  rivolte nei ghetti erano una realtà che incuteva timore alla maggioranza bianca. Lui ci mise del suo, personaggio controverso e poco chiaro, violento e finito in riformatorio già da bambino. Uscito di prigione, nel settembre 1961 diventò pugile professionista,  e ben presto si guadagnò riconoscimenti e vittorie, ma nel 1965 era già cominciato il suo declino. Durante un viaggio a Londra, per motivi mai chiariti un colpo di pistola venne sparato nella sua camera d’albergo. Fu così che nel luglio 1966 viene incriminato per una rapina in un bar di periferia in cui vengono uccise tre persone. Poche e confuse le prove contro di lui: verrà condannato all’ergastolo.



Nel 1974 un tentativo di riaprire il caso con un nuovo processo viene respinto. Carter scrive un libro, pubblicato l’anno dopo, intitolato The Sixteenth Round. Eì diventato una sorta di guri, spirituale e politicamente impegnato. Tra quelli che leggono quel libro anche Bob Dylan, che ne rimane colpitissimo, visita Rubin in prigione, scrive la canzone Hurricane e insieme ad altri attivisti dà vita a una campagna per riaprire il suo caso culminata in un memorabile concerto, The Night of the Hurricane al Madison Square Garden di New York a cui prende parte anche Muhammed Alì, il pugile Cassius Clay. Il clamore dell’iniziativa fa tremare le mura del carcere in cui è rinchiuso Rubin Carter.  E’ la Trenton State Prison, dove Dylan si recherà anche a suonare. Ma anche un secondo processo, nonostante fosse ormai chiaro che i testimoni che avevano incastrato Carter avessero mentito, finì con la conferma della condanna all’ergastolo. Bob Dylan si sarebbe tirato fuori dalla causa, mai più eseguendo dal vivo la canzone Hurricane. Non così alcuni avvocati tanto che nel novembre 1985, dopo 18 anni di carcere, un giudice senza neanche fare un terzo processo, concede la libertà all’ex pugile, perché evidenti sono le manomissioni e le falsità che hanno portato, secondo il giudice, a una condanna motivata solo dal razzismo. Rubin Carter, a 48 anni di età, è di nuovo un uomo libero. Coloro che lo avevano sempre accusato, tentano di portarlo sotto processo per una terza volta, ma i giudici archiviano definitivamente il caso. 

Lasciò gli Stati Uniti, si trasferì a Toronto nel Canada dove lavorò per una associazione benefica che si occupava di casi persone condannate e reputate innocenti. Negli anni 90 venne anche arrestato perché ritenuto colpevole di aver spacciato droga, ma immediatamente scagionato. Come parziale risarcimento, oltre a una laurea honoris causa, nel 1993 gli viene dato quel riconoscimento che il carcere gli aveva sottratto:  la cintura di Campione del Mondo dal World Boxing Council. Nel marzo del 2012 gli viene diagnosticato un cancro terminale alla prostata. E’ morto ieri, a 76 anni, portandosi nella tomba uno dei più grandi misteri americani. Nel 1999 era uscito il film Hurricane – Il grido dell’innocenza, in cui il pugile viene interpretato dall’attore Denzel Washington, un film che da alcuni viene giudicato troppo di parte e troppo superficiale, ma comunque di forte impatto.

Adesso che Rubin Carter non c’è più, resta una canzone che nella miglior tradizione delle canzoni popolari anglo-americane, ha immortalato una figura rendendola mito e leggenda. Come Jesse James, come Billy the Kid, Hurricane è entrato in quel mondo affascinante e misterioso della cultura popolare e come cantava l’autore della canzone, essa non terminerà mai: “that’s the story of the Hurricane

But it won’t be over till they clear his name

And give him back the time he’s done

Put in a prison cell, but one time he could’ve been

The champion of the world”

Hurricane – Bob Dylan from on Vimeo.