“Ghost Stories”: sesto album in studio per i Coldplay. Certi dischi si capiscono solo avendo presente quello che la band è stata, quello che la band è diventata e quello che ha dato a milioni di persone sparse in ogni angolo del mondo: forse è ancora presto per dire che i Coldplay sono una band “storica”, ma non è sicuramente sbagliato dire (e ammettere) che sono una band che hanno fatto la storia di molte persone.
“Ghost Stories” è un album intimo, riflessivo, minimale… diverso, insomma. Non più inni da stadio, ballate commoventi o ritornelli per tutti da cantare, da far propri, da vivere: le cose si semplificano musicalmente, eppure si complicano per l’ascoltatore nostalgico e abituato ad una certa facilità d’ascolto.
E’ intimo, perché la voce di Chris Martin è forse la più pura e leggiadra che mai abbiamo avuto l’occasione di ascoltare; le eccezioni ci sono in quanto alla purezza (che in realtà si può dire venga amplificata), come in Midnight, dove è il vocoder in perfetto stile Bon Iver a fare da co-protagonista, e poco in quanto alla leggiadria, come nel caso di A sky full of stars, allegra canzone dance pop che vede la collaborazione delle tastiere elettroniche di Avicii (sapientemente alternate da momenti di sola chitarra acustica e momenti di irruenti cavalcate al pianoforte). L’intimità prevede cori angelici e chitarre ultra-delayate fin dalla opening track Always in my head, che dopo un po’ di ripetizioni di ritornello finisce per rimanere “in your head” tanto è ipnotica.
E’ riflessivo, e coinvolge molte dimensioni dell’esperienza umana. Ghost Stories sono essenzialmente i ricordi del passato di ognuno di noi: quanto influenzano questi ricordi i nostri pensieri sul futuro e le scelte del presente che continuamente si mescolano nel nostro cervello? Quanto peso diamo nella nostra vita quotidiana a quello che ormai non si può cancellare, ai fantasmi che ci perseguitano ancora? L’uscita dell’album è stata anticipata dalla notizia della separazione di Chris dalla moglie attrice Gwyneth Paltrow, e molti ritengono che l’influenza di questo episodio sul mood del disco sia evidente… se questo è evidente dal punto di vista musicale, è anche piuttosto chiaro da quello lirico. Basti leggere il testo della bellissima True love: “For a second, I was in control. I had it once, I lost it though. And all along the fire below would rise, and I wish you could have let me know what’s really going on below. I’ve lost you now, you let me go but one last time tell me you love me, if you don’t then lie, oh lie to me. And call it true, call it true love”.
Quanto è vera nel nostro presente la bellezza di un passato irrecuperabile? La paura del buio è infatti alle porte: non a caso, infatti, nella successiva Midnight la voce tremante di Chris chiede “In the darkness, before the dawn, leave a light, a light on”.
E’ minimale, perché basta poco ad un concept album come questo per esprimere quello che si vuole. Molta elettronica occupa lo spazio di percussioni altrimenti troppo invasive e le liriche scarne lasciano molto tempo “vuoto” a disposizione dell’ascoltatore. E’ il caso di Oceans, dove basta una chitarra e una prova vocale commovente a soddisfare quell’ammarezza a cui un primo ascolto superficiale e in cerca di garanzie potrebbe portare. Garanzie che arrivano alla fine della tracklist dal pianoforte di O, che ci fa capire che forse i Coldplay sono soltanto un po’ “tristi”, ma sono sempre i Coldplay, la cui caratteristica principale è quella di essere uomini di speranza. Che scrivono e suonano speranza, che danno speranza, perché hanno speranza.
Basti ascoltare O: “A flock of birds hovering above, just a flock of birds: that’s how you think of love. And I always look up to the sky, pray before the dawn, ‘cause they fly always; sometimes they arrive, sometimes they are gone: they fly on. So fly on, ride through. Maybe one day I’ll fly next to you.”
Una metafora azzeccata per la loro storia musicale, per le loro storie personali. Per la nostra storia. Universale.
“Still believe in magic? Oh, yes I do… of course I do”
(Tommaso Pavarini)