Quale guerra è veramente necessaria? Quale guerra si è mai dimostrata veramente giusta al punto da restituirci un mondo migliore? O ancora: quale guerra ha realmente raddrizzato il corso della storia giustificando il sacrificio di “alcuni” per il “bene” di tutto il mondo?
Sono le domande che rimbalzano nel cervello mentre, andando ad un appuntamento di lavoro, ascolto in macchina il nuovo disco di Massimo Bubola “Il testamento del capitano”. L’ultimo lavoro del cantautore veneto è dedicato alla Prima guerra mondiale, di cui (pochi ricordano) quest’anno ricorre il centenario. Si tratta di un disco condiviso al 50 % con i soldati e in particolare con gli alpini. Solo 6 dei 12 brani, infatti, sono di Bubola mentre gli altri 6 sono brani della tradizione rivisitati in chiave country\folk: “Bombardano Cortina”, “Sul ponte di Perati”, “Il testamento del capitano”, “Sui monti scarpazi”, “La tradotta” e “TaPum”. Tutte ben arrangiate e ben prodotte. E non potrebbe essere altrimenti, visto che Massimo Bubola è uno dei pochissimi che in Italia possa permettersi di produrre ed arrangiare un disco con padronanza e reale conoscenza dei suoni, degli strumenti e degli arrangiamenti che arrivano dall’America e, più in generale, dal mondo folk. Succede quindi che la canzone che da il titolo al disco, già bella di suo, venga addirittura valorizzata nel contrasto musica\testo dal ritmo country e dall’ottima pedal steel di Enrico Mantovani. Si capisce, anche nel modo in cui la canta l’uomo di Durango, che si è divertito a fare questo disco.
Il disco si apre con una classica folk-ballad dal titolo “Neve su neve”, nella quale l’autore sembra voler mettere le mani avanti e dichiarare, a scanso di equivoci, che l’ultima parola sulla vita o, meglio, sulla morte di quei soldati non sono il silenzio o il nulla. “Tornerò vicino a te” canta alla propria amata l’alpino morto sul monte Pasubio protagonista della canzone. “In quel bosco mi han sepolto, tra il ruscello e la trincea, pietre ed assi sono il mio tetto, il mio tetto senza te, erba e muschio sono il mio letto, il mio letto senza te”, ma “Tornerò vicino a te”. La bellezza prima o poi tornerà e mi riporterà a te.
La musica corre via piacevolmente come la strada che sto percorrendo in macchina. Mentre ascolto “Bombardano Cortina” costeggio un grosso campo dove a bordo strada svettano mille e più papaveri rossi. Penso a Piero, alla sua guerra ed a quelle che ci sono state dopo e che ci sono ancora oggi. Sorrido. E penso che a volte il destino si diverte. Il bel gioco di banjo, dobro e chitarre acustiche in “Bombardano Cortina” trasforma il celebre canto in una ballata con un ritmo ternario dal sapore “Irish”. “Sul ponte di Perati”, invece, rimette nella giusta prospettiva il dolore da cui sono nati questi brani e diventa una lenta preghiera che fa da sottofondo al “Coro dei fantasmi che viene giù dai monti” a quel “coro degli alpini che sono morti”. Allo stesso modo l’armonica a bocca in “Ta Pum” si adatta perfettamente al testo e sembra far uscire dalle proprie tombe i morti di quel cimitero dei soldati che ricorda, a chi è sopravvissuto, la precarietà della sua vita.
“La tradotta” è una ballata che racconta dello spostamento dei soldati verso il fronte. Bello l’intreccio di fisarmonica, banjo e steel che riesce nell’arduo compito di dare credibilità ad una melodia tipica della tradizione popolare Italiana, dandole una veste da “southern ballad made in US”. Tutto ben fatto. In questa canzone la voce di Massimo sembra prendere un passo a lei più congeniale, con meno inflessioni nel cantato, meno versi sussurrati e un incedere quasi attento a non uscire dal ritmo della canzone. Si ha l’impressione che il cavaliere elettrico stia “studiando” nuovi stili canori che magari lo allontanano dall’immaginario del folksinger ma meglio si adattano al suo timbro vocale.
Una sensazione che diventa ancora più forte nella bellissima “Vita di Trincea” dove un riff sottende come un mantra tutto il brano e si confonde con il canto dell’autore, che in questa canzone forse da il meglio di sé. Non ce ne voglia il maestro ma questa voce ci ricorda quella di più recenti interpreti della scena italiana, come Bianconi dei Baustelle e, sia chiaro, la cosa non ci dispiace affatto. “I tacchi sbattono, le fibbie scattano” nella vita di trincea e sembra di essere là con i soldati. O forse li sentiamo così vicini perché siamo anche noi dei soldatini della vita di oggi e, 100 anni dopo quei ragazzi, siamo ancora lì a chiederci come loro se “c’è un nemico dietro ogni angolo” o se “c’è un amore dietro ogni angolo”. Oppure dietro all’angolo della strada che sto percorrendo.
“Maledetta la sia questa guerra, che mi ha dato si tanto dolore” canta la bella voce di Lucia Miller nella bella versione de “Sui Monti Scarpazi”. La guerra è brutta, sia per chi la combatte in trincea che per chi aspetta a casa. Così questa sposa trentina non ce la fa ad aspettare a casa il proprio giovane marito arruolato dagli austriaci per combattere sul fronte russo in difesa dell’impero asburgico. Andrà sui monti Carpazi (storpiati in “Scarpazi” nella tradizionale ballata) ma lì troverà solo una croce.
Il Thin Wistle di Emanuele Zanfretta caratterizza l’intro de “L’alba che verrà” e sembra voler alleggerire tutto questo dolore. Ballata di chiara matrice Irish è l’ultima canzone suonata del disco e precede i due brani cantati da coro alpino. Così come nella prima canzone del disco, “Neve su neve”, anche in questa Massimo Bubola ribadisce che il sole rinascerà dopo tutte queste brutture e che “C’è una spiaggia bianca dove il mondo riposerà. È lì che voglio andare quando tutto finirà tenendoti per mano, il vento ti scioglierà i bei capelli rossi nell’alba che verrà”.
Chiudono, infine, il disco le due bellissime e già note “Rosso su verde” e “Noi veniam dalle pianure” entrambe armonizzate per coro alpino ed eseguite dal coro Ana-Milano diretto dal maestro Massimo Marchesotti. Anche chi ha scritto questa recensione viene dalla pianura ed è impreparato alla guerra sulle montagne dove “il ferro è rosso e la pietra è bianca e dura, che per noi della pianura fa solo chiesa e funeral”.E chi è preparato per una guerra? Si è sempre impreparati a qualunque guerra, che sia in montagna o in pianura, giusta o sbagliata, santa, crociata o per interessi aggiungo io.
Ma nonostante tutto il male del mondo e tutta la nostra impreparazione ad affrontarlo, sembra insistere il folk singer veneto, è la speranza l’ultima parola sulla guerra. E per sostenere questa speranza è necessaria la memoria, anche la memoria del dolore. Cosa non estranea all’autore che, già nel 2005, aveva dedicato il disco “Quel lungo treno” alla prima guerra mondiale e, in particolare, ai suoi prozii morti nel conflitto.
Quale guerra, allora, è veramente necessaria? Continuo a chiedermi mentre aspetto in una saletta la persona che devo incontrare. Nessuna. O forse tutte. …chi lo sa. Una cosa è certa però: non c’è guerra che possa togliere dal cuore dell’uomo la bellezza, il cui riflesso è rimasto vivo nelle canzoni dei soldati morti 100 anni fa, grazie anche alla memoria storica e musicale di Massimo Bubola. Soldati che nel cuore portavano il volto dell’amata, le stelle nel cielo, le montagne e tutto ciò che nessuna guerra potrà mai uccidere. Basterebbe fare memoria di questo, forse, per costruire un mondo migliore, con o senza guerre.
“Buongiorno” dico al mio ospite, e gli sorrido.
(Francesco D’Acri)