Tristan und Isolde ha inaugurato la sera del 30 aprile il Maggio Musicale Fiorentino. Un’operazione coraggiosa, dato che la messa in scena di Tristan und Isolde richiede un forte impegno produttivo, specialmente se, come in questo caso, si tratta di un un nuovo allestimento. L’ultima volte che il lavoro si era visto a Firenze era frutto di una coproduzione con il Festival di Pasqua di Salisburgo nel 1999. Era sempre Zubin Mehta a concertare ma l’impostazione drammaturgica di Klaus Michael Gruber, già allora piuttosto anziano, era datata e non dava giustizia all’ottimo cast (Ben Heppner, Deborah Polanski, Marjana Lipovsek, Franz-Josef Selig, Falk Struckmann). 



Allora si era ancora in anni di vacche grasse per i teatri e i festival. Ora il Maggio fiorentino sta faticosamente uscendo da una grave situazione finanziaria e da una drastica riduzione d’organico. Grazie all’abilità del Commissario e del direttore artistico, questo Maggio Musicale – contrassegnato anche dall’operatività del nuovo, e tecnologicamente avanzatissimo teatro –  dovrebbe essere il festival della svolta.



Una seconda inaugurazione avrà luogo in una serata di gala il 10 maggio all’Opera di Firenze, costruita ai bordi del Parco delle Cascine, con un programma in quattro parti: due atti di differenti opere (“Otello” di Verdi e “Tosca” di Puccini) e due balletti (di Ravel e Pãrt). Il programma di questo 77esimo Maggio Musicale (che si estende sino al 4 luglio) comprende altre tre opere (“Roberto Devereux” di Donizetti, “L’amore delle tre melarance” di Prokofiev ed “Orfeo ed Euridice” di Gluck) oltre a balletti e a una vasta serie di concerti, con alcune delle migliori bacchette su piano mondiale. Torna anche la musica contemporanea e l’elettroacustica. Per il ricco menu, i prezzi dei biglietti, le prenotazioni, si suggerisce di consultare www.maggiofiorentino.it



L’’azione in tre atti’- così la chiamò Richard Wagner; sulla scena si assiste principalmente a racconti più che ad azione drammatica in senso stretto – è stata analizzata su questa testata quando nel 2012 in occasione della nuova produzione presentata a La Fenice. In questa recensione, quindi, è utile soffermarsi sulla messa in scena ed esecuzione fiorentina. 

Un aspetto centrale è la direzione drammatica di Stefano Poda, giovane regista (di provenienza dal teatro sperimentale e che opera principalmente in Austria). Le sue parole riassumono efficacemente le scelte che Poda (autore anche di scene, costumi e luci) ha effettuato:”In principio solo il vento: è su una nave a vela che prende abbrivio il viaggio di Tristan und Isolde; ed è un viaggio dell’anima dai continui ritorni, ciclico, attraverso paesaggi presagiti o avvistati da nebbia lontana. Lo spazio per contenerli, la scena, è una stanza della memoria: un ambiente primitivo e corroso, vuoto ma al tempo stesso carico di vita, in un monumento alla vanitas dell’essere che è impressa in tutto ciò che vede la luce. Mai come in Tristan Wagner anticipa tutto il Novecento di Freud e di Proust: gli echi e i Leitmotive si inseguono con una poesia che esclude le logiche razionali, come le intermittenze dei ricordi che sopravvengono durante una visita impreparata a luoghi non più visti da tempo. Così, alla ricerca – quasi psicanalitica – di una qualche verità, il simbolo viene offerto come se fosse uno strumento ottico affinché chi guarda e ascolta guardi e ascolti la storia dell’anima propria, lontano dal rumore della moderna civilizzazione, lontano dal miserere delle immagini perdute e delle parole sprecato Il dramma non è una storia d’amore, bensì la parabola di due solitudini dannate all’impossibilità di unirsi: insieme toccano culmini ed abissi, da regni della notte a spazi della luce, eppure lo sviluppo individuale non può mai coincidere e fondersi nell’altro. Sono già morti, condannati a vivere e ad amare secondo Sehnsucht.Come chi erige castelli per riempire gli occhi, così costruiscono il loro esistere: ed ogni notte, puntuale con la luna, sale la marea a cancellare ogni traccia. Attorno a loro, mille ombre si alternano come in un Oltretomba gravido di un inventario di umanità tra sacro e profano: due sono le vie d’uscita, le Porte del Sonno, una di corno e una d’avorio, da cui escono i sogni veri o fallaci. Lo spettatore non si affretti a capire: anche Tristan ed Isolde tardano ad eleggere una delle due aperture.” Uno spettacolo astratto, visivamente molto bello (anche se probabilmente a costi contenuti) in cui il dramma è tutto interiore.

Zubin Mehta – si è detto – è alla direzione musicale come del 1999. Ma in questi quindici anni l’impostazione è profondamente mutata, Tre lustri fa l’accento era sulle anticipazioni del Novecento, sui cromatismi estremi che avrebbero portato alla dodecafonia. Oggi invece il suo Tristan und Isolde è decisamente post romantico, con tempi stringati, accento dissonanze e forte risalto alla Tristan chord , ormai riconosciuta come il suggello dell’opera.

Dispone di un cast vocale di grande livello. Come è noto, il primo atto è impervio per Isolde (Lioba Braun), un mezzo soprano (piuttosto che un soprano drammatico come spesso avviene) in grado di acuti molto elevati e di gravi molto profondi. Il terzo è ‘l’atto di Tristano’, un tour de force per il protagonista, Torsten Kerl, un tenore eroico ma dal timbro molto chiaro. 

Il contrasto tra la vocalità brunita di Isolde e quella chiara di Tristano aggiunge spessore al lungo duetto del secondo atto. Un vero colpo di teatro affidare a Stephen Milling il ruolo di Re Marco; con la sua voce di basso possente il monologo del secondo atto acquista consistenza nello spiegare il suo dolore per la slealtà di Tristano (che ha allevato come un figlio) non per il tradimento di Isolde (sposata per motivi politici e mai sfiorata a ragione della differenza di età). Efficaci Julia Rutigliano nel ruolo di Brängane, Martin Gantner in quello di Kurwenal e Kurt Azesberge in quello di Melotto.

In breve un’ottima partenza.