“E’ la seconda volta che suoniamo in Italia in quasi quarant’anni” dice Tom Verlaine a un certo punto. E’ vero, e la dice lunga delle barriere che ancora esistono tra certa musica rock e la nostra terra dei cachi. I Television sono apparsi sul palco dell’Alcatraz di Milano come una visione, come una testimonianza, come una immagine ferma nel tempo di una scena musicale tra le più effervescenti ed eccitanti, quella di New York della seconda metà degli anni 70. Ma loro erano diversi, fuori da ogni schema e da ogni tempo: i Grateful Dead del punk li definì qualcuno. Ci si può solo immaginare la faccia di chi, entrando al CBGB’s per ascoltare l’ennesimo gruppo punk, si fosse imbattuto nei Television: chi diavolo sono questi e che musica fanno?
La domanda rimane attualissima ancor oggi, anche se dopo “Marquee Moon” disco di esordio datato 1977 e uno dei più straordinari album di esordio di ogni epoca, hanno fatto ben poco, complici gli sbalzi umorali del leader Tom Verlaine. Il quale, senza la sua band, in Italia c’era comunque venuto diverse volte, ma in un modo o nell’altro aveva sempre deluso. Che fosse stato sul palco insieme all’amica Patti Smith, seduto in un angolo e quasi assente, quasi dimenticandosi di suonare, o che si fosse esibito in coppia con l’altro chitarrista dei Television Jimmy Rip, perso in un irritante solipsismo.
All’Alcatraz invece Verlaine ha tirato fuori tutto il suo straordinario talento, regalando una esibizione da incorniciare. La serata era dedicata all’esecuzione integrale proprio di “Marquee Moon”, un evento per noi italiani, tanto che l’Alcatraz, seppur ridotto nella sua capienza era affollatissimo di un caldo pubblico, e l’atmosfera dell’evento era ben rappresentata dalla presenza di tutti o quasi i sopravvissuti di certo giornalismo rock, gente che come il sottoscritto è cresciuta con dischi come questo e che si è mossa anche da Roma per non perdere questo concerto.
I Television hanno predicato il loro verbo con classe unica e potenza sonica, con quello che per molti è un aspetto negativo, apparire cioè eccessivamente freddi e poco calorosi, dimenticando che quella freddezza solo apparente è la cifra del loro essere newyorchesi fino al midollo, la stessa “coolness” che anche Lou Reed o Bob Dylan dimostrano da sempre. Non è per tutti: I’m Lou Reed and I’m cool, lo può dire anche Tom Verlaine, immancabilmente vestito di nero come i protagonisti di quegli anni 70. Dimostrando poi quanto quel loro disco sia stato seminale per le generazioni a venire, echi che si avvertono costantemente nella musica degli ultimi trent’anni (un gruppo su tutti: i Wilco, nei loro crescendo chitarristici). Un suono indefinibile, ma pienamente newyorchese, metropolitano, a tratti anfetaminico, psychopunk. Ritmi in levare a volte ma ad alto voltaggio schizofrenico hanno fatto capire da dove i primi Talking Heads hanno preso ispirazione, mentre Verlaine e lo straordinario Jimmy Rip, che nel 2007 ha preso il posto di Richard Lloyd, si scambiavano riff e assoli incendiari. Un suono purissimo quello delle loro chitarre, niente distorsioni o feedback, un suono liquido e spaziale che ben ha fatto da ponte verso quella “luna tendina” evocata tutta la sera e poi esplosa in una versione lunghissima e implacabile.
I Television hanno anche pensato di regalare come unico bis una rara 1880 or so, dal loro terzo album, quello del 1992, brano dal grande fascino e una potente Little Johnny Jewel, incisa per “Marquee Moon” ma uscita solo in seguito come bonus track. Hanno anche eseguito Persia, un pezzo mai inciso che ha cominciato a fare capolino nel loro tour del 2002, una straordinaria jam in cui Verlaine e Rip hanno dato il loro meglio. Per il resto, è stato “quel disco” seppure mischiato nella sequenza, cosa che non ha danneggiato per nulla la validità della nuova sequenza, anzi dimostrando la loro voglia a sessant’anni e passa di mischiare ancora le carte e ripartire. Il loro è il suono di un B movie noir anni 70, è un suono pulp degno di Quentin Tarantino, è un magma sonico che non appartiene a nessuno. Rarissimo assistere al concerto di un gruppo che ha appunto inventato “un suono”. Quando gli fu chiesto di citare una sua influenza, d’altro canto Tom Verlain citò i Ventures, leggendario gruppo di rock strumentale dei primi ani 60.
Il batterista Billy Ficca, l’unico insieme a Verlaine della primissima formazione della band nata nel 1973, pur mostrando evidenti limiti tecnici, ha quasi commosso con quel suono un po’ in ritardo un po’ sgangherato ma che faceva andare con la mente all’innocenza di un’epoca storica che della morte del tecnicismo aveva fatto la propria bandiera. A reggere tutto come detto lo straordinario Jimmy Rip, instancabile stantuffo della band, che così poteva permettere a Verlaine di partire per le sue divagazioni soniche.
Senza nessun disco nuovo da reunion usa e getta da esibire, i Television si sono dimostrati umili e onesti, sul palco a testimoniare la bellezza di una musica inventata in un momento di giovinezza e che ancor oggi ha reso loro e noi per sempre giovani. E abbiamo finalmente capito perché Patti Smith una volta disse: « Il suono della chitarra di Tom Verlaine fa pensare all’urlo di mille uccelli».