Erano i Fab Four americani. Erano i nuovi Beatles. In quell’estate del 1974 nessun altro artista rock era come loro, neppure i Rolling Stones, da anni ormai sulle vette e giustamente definiti “la più grande rock’n’roll band del mondo”. Neanche i Led Zeppelin, che furoreggiavano sui palchi da anni, neppure Bob Dylan che pure nel gennaio di quello stesso anno era tornato alle scene dopo otto anni dall’ultima volta con un tour che aveva fatto registrare la più alta richiesta di biglietti della storia. I Beatles, ovviamente, si erano già sciolti. Ma nessuno prima di loro aveva fatto un tour negli stadi. Quella che oggi è la normalità, allora fu un azzardo che spostava in alto ancora una volta l’asticella di un mondo, quello del rock, che sembrava superare se stesso ogni giorno.
Erano giorni straordinari, erano quei giorni in cui, come disse qualcuno, “dei giganti camminavano sulla faccia della terra”. Erano i giorni in cui tutto sembrava possibile: mandare a casa un presidente corrotto, Richard Nixon, fermare la guerra in Vietnam e loro quasi ci riuscirono e sì, come diceva una loro canzone, “cambiare il mondo”. Decenni prima del “yes we can” di Barack Obama, loro cantavano “we can change the world”.
Ma non tutto sarebbe stato così facile. Ogni grande storia chiede un grande prezzo, e loro stessi ne avrebbero pagato le conseguenze, in termini di ricadute, galera, amori finiti male e soprattutto la loro stessa amicizia mandata in malora. Che dietro ogni grande storia di musica ci sono innanzitutto degli amici, ma il successo, il volare troppo vicino al sole prima o poi ti schianta. C’è un limite, e pretendere di superarlo non va bene. Qualcuno lo capisce solo provandoci. Questa comunque sarebbe stata una autentica storia rock, di sesso, droga e appunto rock’n’roll. Con alcune delle più gradi performance musicali che questa storia abbia mai conosciuto.
Esce in questo primo scorcio di luglio un cofanetto unico nel suo genere. E’ acquistabile in diverse opzioni: 3 CD e un DVD set, Pure Audio Blu-Ray (192kHz/24-bit) e un cd single con sedici canzoni. Tutti tranne il cd singolo hanno in dotazione un libro di 188 pagine con foto e la storia di quanto avvenne. Infine, per i nostalgici, anche una edizione limitata di mille copie con sei lp a 180 grammi e un libro formato coffee table. Neanche a dirlo, è l’acquisto dell’estate, soprattutto per chi ha aspettato decenni per avere in mano queste registrazioni. Questa estate Natale cade a luglio.
Per la prima volta il meglio dei 31 concerti che Crosby, Stills, Nash and Young tennero nell’estate del 1974 vengono pubblicati in qualità audio straordinaria. A lungo sospirati, per anni sognati, qualche scampolo di pessima qualità audio circolava nel mondo delle registrazioni pirata. Loro, i diretti interessati, non ne avevano voluto sapere ai tempi di pubblicare una documentazione live di quei concerti. Ne avevano un pessimo ricordo. Di quegli show infatti a loro erano restate brutte storie di litigi, di scontri di ego impossibili sul palco, di droga a tonnellate consumata prima e durante i concerti (e anche dopo). Per loro, quei concerti erano stati pessimi. Riascoltati oggi, ovviamente non è così, anche se si sente la tensione, a volte anche le stonature, ma che sfida fu cantare in quattro con le chitarre acustiche davanti a 80mila spettatori? Una sfida da giganti, ovviamente.
E le battaglie furiose di chitarre tra Young e Stills, con il secondo che alzava apposta la manopola del volume al massimo per coprire le chitarre degli altri e gli altri che lo mandavano a quel paese, l’incredibile mole di brani che allora vennero eseguiti senza mai essere stati incisi prima, le improvvisazioni, l’amore incondizionato per la musica appaiono tuttavia intangibili e purissimi, nonostante tutto. “Era pazzia pura” racconta Graham Nash. “Eravamo sballati in ogni momento. Cocaina, marijuana, pillole per dormire perché quando vai in alto devi tornare giù per forza. Arrivavi in elicottero allo stadio, facevi lo show, e poi c’era il party del dopo show. Era praticamente impossibile dormire. Ma allora eravamo così. Non avevamo problemi a fare dei concerti che duravano quattro ore. La musica era potente abbastanza da permetterci di non fermarci”.
Questo cofanetto non è solo la documentazione di una serie di eccellenti esecuzioni da parte di quattro formidabili artisti. E’ la documentazione vitale e pulsante di quello che il rock con anche le sue contraddizioni e i suoi eccessi è stato nel suo momento di massimo splendore, la metà degli anni 70. Non solo. E’ l’istantanea di un momento storico, con un’America caduta nel suo punto più basso: mentre CSNY passano da un palco all’altro, Richard Nixon è costretto a lasciare la Casa Bianca travolto dallo scandalo Watergate. Qualcosa di inaudito per gli Stati Uniti. Young, preso un ukulele in mano, da solo davanti a centomila persone, improvvisa una canzoncina che ironizza sull’odiato presidente, quello contro cui la sua generazione si era mobilitata, quello che mandò “i soldati di latta” a uccidere gli studenti all’università di Kent che manifestavano contro la guerra. E ancora. Loro sono quelli che hanno cantato Woodstock consegnando l’utopia hippie all’eternità, loro sono quelli dei quattro di Chicago. Sul palco in quei giorni hanno ben donde di celebrare la vittoria di un mondo nuovo contro un mondo vecchio. Durerà pochissimo quella vittoria, come ogni utopia, ma in quell’estate del 74 i loro capelli lunghi, “orgogliosa bandiera freak” come canta uno di loro, i jeans con le toppe, anche la droga, appaiono di una bellezza sfolgorante. E nel loro lucido realismo, questi quattro uomini cantano anche il disfacimento di quella utopia hippie: Charlie Manson, la strage di Cielo Drive, la pancia squarciata di Sharon Tate moglie di Roman Polanski con dentro il bambino che aspettava. Helter Skelter, il sogno hippie che diventa orrore. Patti Hearst, il terrorismo che dilaga al posto di “pace & amore”. Come Bob Dylan negli anni 60 aveva cantato l’America che cambiava, CSNY a metà anni 70 cantano l’America che cambia, dal sogno all’incubo. Sono la voce ci quell’America, più di ogni altro, meglio di ogni altro.
Quando decidono di rimettersi insieme per fare questo tour, CSNY non hanno neanche un nuovo disco da promuovere, dopo i fasti di quel “Deja Vu” uscito quattro anni prima che li aveva consegnati alla storia come il super gruppo dal massimo potenziale commerciale. A quel disco del 1970 era seguita una tournée, documentata in uno dei massimi dischi live di ogni tempo, “Four Way Street”, testimonianza di una spontaneità unica nel fare musica, da protagonisti del piccolo mondo folk che nonostante il successo conservano quella capacità di intimità e purezza. Troppo difficile però tenere insieme quattro geni, e venne il momento di andare per le loro “quattro strade” separate.
A un certo punto nel 1973 però arriva una proposta talmente milionaria in termini di dollari che è difficile rinunciarci, e poi loro amano fare musica insieme nonostante tutto. Un disco in studio viene abortito, e sul palco di questo tour porteranno un sacco di canzoni dei loro dischi da solista ancora non usciti, e una manciata di classici. I pezzi inediti – allora – appaiono quasi tutti nel primo disco, che dopo una furiosa Love the One You’re With che apre i concerti e il cofanetto, danno un tono compassato al primo cd. Carry Me di David Crosby, Grave Concern di Graham Nash scorrono tranquille tra una potenteWooden Ships e una devastante Almost Cut My Hair. Ma qua c’è un inedito soprattutto. On the Beach, che uscirà nel disco omonimo di Young quell’anno, è nella sua versione definitiva. Pezzo di una malinconia trascendentale, è il manifesto della fine del sogno hippie. Young e Stills si scambiano parti di chitarra urlanti paura e angoscia: è un capolavoro.
Sono molti anche i pezzi da dischi solisti già pubblicati, ad esempio Johnny’s Garden dai Manassas di Stills, Change Partners dal suo secondo solista. Ma c’è un pezzo che merita quasi il prezzo del cofanetto.Prison Song, di Graham Nash, uscirà quell’anno nel suo secondo disco solista. Brano di denuncia del sistema carcerario americano dove sta in galera chi non ha i soldi per pagarsi la cauzione mentre i ricchi se ne escono subito, denuncia anche i ragazzini condannati ad anni di carcere nel Texas per aver fumato uno spinello. La versione live non è rabbiosa, ma piena di composta indignazione. I quattro sfoderano le loro voci e il loro impegno sociale folk, e miracolosamente mettono in silenzio uno stadio da 80mila persone. Brividi, emozioni fortissime, eccoli al meglio della loro capacità di raccontare l’America. Altrettanto da brividi è una intensissima Only Love Can Break Your Heart dal terzo disco solista di Young, con un finale tenerissimo a cappella, voci nude gettate nell’arena. Solo l’amore spezza il cuore: è vero.
Gli episodi da raccontare sarebbero tantissimi, tutti in pratica. Blackbird dei Beatles, la divertente e rimasta sempre inedita Hawaiian Sunirse di Young, una inedita Long May You Run che con incredibile senso della profezia cantano da soli Young e Stills come faranno due anni dopo incidendola per l’unico disco in studio dei due in coppia. E ancora: la ferocissima, quasi punk Revolution Blues che maledice l’orrore di Charlie Manson. Finendo inevitabilmente con una roboante, esplosiva, declamatoria, incazzatissima Ohio. Sì: quelli erano i giorni, per i fortunati che ne presero parte. Non sarà mai più così, la musica non sarà mai più in grado di esprimere allo stesso modo l’appartenenza tra artisti e pubblico, tra momento storico e momento artistico. Tra vita, sogno e realtà.
Arrivarono per una sola data, il 14 settembre. Fu la prima e unica volta che CSNY insieme avrebbero messo piede sul nostro continente. Il concerto che si tenne allo stadio di Wembley a Londra fu un evento in una tournée che era già stata un evento. Sul palco prima di loro il meglio del meglio della musica americana di quegli anni. Prima Joni Mitchell, amica, amante, ispiratrice di tutti e quattro; poi The Band, il gruppo che aveva accompagnato per anni Bob Dylan. E poi loro. Fu girato anche un film di quell’evento, mai pubblicato per le solite discordie dei quattro, ma che circola abbondantemente sulla Rete (di cui otto tracce sono documentate nel dvd compreso nel cofanetto).
Quella sera, al termine del concerto, Stephen Stills uscì sul palco tenendo in braccio il figlioletto di un paio di anni. Lo prese tra le mani e lo alzò in alto davanti alla folla estasiata. Più che un grido di vittoria, quel gesto fu una testimonianza. Quello che abbiamo fatto, sembrava dire Stills, è sempre stato motivato da una cosa, nel bene e nel male: dall’amore. Questo è il simbolo del nostro amore, questa è la nuova generazione a cui passiamo il mondo. Abbiamo provato a cambiarlo, non ci siamo riusciti, ma ci abbiamo provato. Fu l’apoteosi di una generazione che aveva sognato l’amore, senza riuscirci, perché l’uomo da solo non ce la fa. Ma andava bene lo stesso. Averci provato con tutte le contraddizioni che questi quattro uomini avevano vissuto, ce li fa pensare, grandi, grandissimi uomini. E le loro canzoni resteranno nei secoli a testimoniare tutto questo.